La dopamina NON è la molecola del piacere. Chiariamo questo grande malinteso

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Quando osservo le persone agitarsi in questo mondo mi colpisce sempre come la dopamina non premi l’arrivo, ma alimenti l’inseguimento… di un amore non corrisposto, di una notifica, un like, dello scolling infinito, di un nuovo acquisto, un altro boccone, forse l’ultimo, sì l’ultimo!

Mi colpisce ancora di più vedere come la dopamina sia il neurotrasmettitore più frainteso da tutti. È sicuramente tra le molecole più studiate in ambito neuroscientifico ma quando si fa divulgazione si omette sempre di chiarire un dettaglio: la dopamina non è la molecola del piacere ma dell’attesa, dell’inseguimento, della ricerca del piacere… È quel “messaggero” che ti dice che vuoi qualcosa, che vuoi una gratificazione, che hai bisogno di… allentare la tensione, fuggire dalle tue emozioni, cercare nuovi orizzonti. La dopamina è la molla che ti catapulta verso l’ambita ricompensa… non è la ricompensa.

La dopamina è la molla che catapulta verso l’ambita ricompensa… non è la ricompensa: e che differenza fa?

C’è una grande differenza. Soprattutto in un clima in cui in parlamento si parla spesso di vietare lo smartphone agli adolescenti (mi sorprende sapere che la proposta è arrivata da un medico, bah). Il problema, infatti, non sono certo gli smartphone in sé (lo capirai leggendo gli ultimi due paragrafi sull’equilibrio neurochimico). La differenza è immensa anche quando si parla di adulti, di alimentazione compulsiva, dello shopping che usiamo come diversivo e sì, anche in questo caso, delle ore che sprechiamo davanti a un display a caccia di video che possano restituirci una gratificazione di superficie (quelli degli animali sono bellissimi! Il mio feed ne è pieno!).

Il mainstream dell’informazione spazzatura veicola questo messaggio: viviamo in un mondo di gratificazione immediate, tutto è pronto all’uso e non dobbiamo fare sforzi. L’essere umano viene descritto come una sorta di debosciato senza volontà, pronto a cedere alle gratificazioni usa e getta prodotte dalla dopamina. Ma è davvero così?

Non siamo come cactus in una foresta pluviale

La psichiatra americana Anna Lembke, nel 2021, ci ha raccontato che noi umani siamo come cactus in una foresta pluviale. Ha usato questa metafora per descrivere come il nostro cervello, evolutosi in un ambiente con poche fonti di gratificazione, reagisca oggi rimanendo imprigionato negli eccessi di piacere disponibili nel mondo moderno. Tutti si sono accodati al pensiero della Lembke senza il minimo giudizio critico; ma le cose stanno davvero così? Prova a guardarti intorno, ritieni che viviamo in un mondo pieno di gratificazioni? E se così fosse, perché non siamo gratificati?

L’idea che ci propongono è questa: la società moderna è come una foresta pluviale, ricca di stimoli gratificanti come relazioni usa e getta, cibo spazzatura, droghe, social media e altri strumenti di intrattenimento che stimolano il rilascio nel cervello di dopamina. Secondo questa visione pop, il problema sarebbe che il nostro cervello non è abituato all’abbondanza di piacere.

Chi abbia mai studiato, anche solo vagamente, la fisiologia del cervello, sa benissimo che c’è un effetto noto come “abituazione” (un effetto concreto, che apporta modifiche ai collegamenti tra neuroni). Lo avrai vissuto anche tu. Scava nella tua memoria, ripensa al giorno più gratificante e felice della tua vita. Molti dicono “quando mi sono laureato”, altri “quando sono diventato genitore”, oppure “quando ho fatto immersione alle Mauritius”… Ripensa al tuo.

Adesso, pensa a come sarebbe rivivere quella situazione ogni giorno della tua vita. Di nuovo. Di nuovo. Ancora e ancora! Fidati, dopo un po’ quella stessa giornata meravigliosamente gratificante sarà rientrata nella tua routine, uguale a tutte le altre. È naturale. Il tuo cervello è programmato per adattarsi agli stimoli e non reagirà più allo stesso modo. Così la borsetta griffata che ti ha reso tanto felice durante la domenica di shopping, non lo farà con la stessa intensità il venerdì successivo! Allora perché per la dopamina concepita come “scarica gratificante” rilasciata con lo scrolling dello smartphone dovrebbero essere differente? Il nostro cervello non è forse lo stesso? Non è forse programmato per abituarsi alle gratificazioni? La spiegazione mainstream ha qualcosa che non va. Perché parte dal presupposto che stiamo cercando gratificazioni mentre tutto ciò che noi vogliamo è abbassare l’intensità emotiva.

L’attesa del piacere NON è essa stessa il piacere

Non vorrei mai contrariare il filosofo G. E Lessing (ne’ tantomeno lo spot Campari), ma per i nostri sistemi cognitivi c’è una grande differenza tra l’attesa del piacere e il piacere puro. Al piacere noi ci abituiamo, alla ricerca no. Lo scrolling dello smartphone non ci dà piacere, magari qualche volta sì, quando riceviamo notifiche di convalida, quando vediamo dei video di gattini tenerissimi… ma queste cose, dopo un po’ ci danno noia e ci rendono insoddisfatti. È questa insoddisfazione che aumenta la produzione di dopamina. L’uso dello smartphone ci tiene in attesa del piacere.

Ogni notifica, ogni scroll, ogni aggiornamento è un piccolo stimolo che attiva il nostro sistema dopaminergico: non ci gratifica, ma ci spinge a cercare. La dopamina, infatti, non è la molecola della ricompensa ma è della ricerca, dell’attesa della ricompensa. È così che entriamo nel loop: non stiamo cercando qualcosa di reale, ma stiamo inseguendo l’idea che da qualche parte, in mezzo a quel flusso, troveremo ciò che ci manca. Perché questa differenza è saliente? Perché mette in evidenza anzitutto che noi umani non siamo dei debosciati privi di volontà. Siamo semplicemente persone smarrite che non sanno più dove cercare il bene e, alla cieca, lo attendono ovunque, talvolta rimanendo imprigionati in meccanismi tossici che creano squilibri neurochimici, fin ora ho parlato dello scrolling ma è lo stesso identico meccanismo delle relazioni montagne-russe e, appunto, dell’eterna ricerca.

Non serve demonizzare gli smartphone, occorre educare alle vere gratificazioni così da ripristinare un equilibrio neurotrasmettitoriale

Allora impariamo a trovare il bene dove c’è bene; impariamo a costruirlo nei legami a partire da quello che instauriamo con noi stessi! Serotonina, ossitocina e dopamina sono solo tre delle tante molecole messaggero che partecipano a mantenere l’equilibrio del nostro sistema cognitivo. L’equilibrio si scompensa “a favore” della dopamina quando siamo nell’eterna e disperata ricerca di qualcosa e non quando siamo gratificati. È importante aggiustare il tiro della narrazione perché potremmo finire per colpevolizzare chi cade nelle nuove dipendenze, quando dovremmo imparare a vederlo con occhi diversi. Non è un fannullone smidollato, è solo qualcuno che non sa dove trovare “il bene” perché nessuno, purtroppo, glielo ha mostrato.

Dicevo, serotonina, ossitocina e dopamina sono solo tre delle molecole messaggero che contribuiscono a mantenerci in equilibrio. La dopamina ci spinge verso la ricerca di ciò che ci manca. La serotonina ci dà equilibrio (e tanto altro). L’ossitocina ci dà sicurezza e appartenenza. L’ossitocina, infatti, è un’altra molecola segnale fraintesa, può essere prodotta anche da soli (quando cantiamo, durante attività creative, quando riusciamo a essere pienamente noi stessi!) e quando è in equilibrio con la serotonina e la dopamina, funzioniamo di gran lunga meglio. Questi neurotrasmettitori (serotonina per la calma e ossitocina per l’appartenenza e la sicurezza) sono essenziali e vengono prodotti in risposta agli stimoli ambientali. Un ambiente stabile, sicuro, con splendide reti sociali, garantirebbe un magnifico equilibrio neurorecettoriale.

Non viviamo in un mondo con gratificazioni pronte all’uso, viviamo in un mondo instabile, spaventoso, competitivo, privo di punti di riferimento, privo di sistemi che possano sostenere la produzione di serotonina e ossitocina. E allora non ci resta che essere prigionieri di un’eterna ricerca.

Trovare il proprio equilibrio neurochimico

Il senso di sicurezza è tutto. È la chiave che ci porta all’equilibrio omeostatico dei nostri sistemi neurorecettoriali. Se hai voglia di capirti di più, di comprendere a pieno come funzioni, come la tua storia ti ha reso ciò che sei e soprattutto, come coltivare la tua significatività individuale, ti consiglio la lettura del mio libro «il mondo con i tuoi occhi». Lo trovi in tutte le librerie e su amazon. Non sentendoci significativi, non abbiamo idea di dove trovare il nostro “bene”. E, in una società in cui tutto va alla deriva, ognuno ha il sacrosanto dovere, verso se stesso, di mettersi al sicuro, di ritrovarsi. Di non lasciarci consumare del consumo, abbiamo bisogno di proteggerci. Mettiamoci al sicuro e tendiamo la mano a chi amiamo. È l’unico modo per salvarci da insoddisfazione certa e caos.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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