La fame emotiva: 5 motivi psicologici dietro il bisogno di mangiare

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Si stima che, in qualsiasi momento, nel mondo, circa il 39% delle donne e il 21% degli uomini stia cercando di perdere peso (Hill, 2002). Il principale ostacolo che incontriamo quando tentiamo di perdere peso non è la difficoltà ad acquisire una buona consapevolezza alimentare. Tutti ormai sappiamo quali sono gli alimenti dall’elevato contenuto calorico che, in un regime dietetico equilibrato, andrebbero limitati. Allora cosa ci frena? Quali sono le difficoltà che ci separano dal raggiungere il nostro peso forma? 

Osservando con attenzione le dinamiche psicologiche che guidano i comportamenti alimentari, le difficoltà che ti separano dal raggiungere il tuo peso forma, sono due:

  • la fame emotiva
  • la consapevolezza corporea

Le diete ipocaloriche, anche quando prescritte da un buon nutrizionista, riescono a fornire risultati solo a breve termine. Il peso corporeo più basso raggiunto non tende a stabilizzarsi, anzi, le evidenze mostrano che alcune persone finiscono persino per pesare più di prima (Langeveld & DeVries, 2015). Sì, perché se è vero che non ti mancano nozioni sulla genuinità degli alimenti o uno schema nutrizionale sano, ciò che ti manca è una buona consapevolezza corporea, cioè un buon rapporto con il tuo corpo e la capacità di gestire le emozioni. Questi fattori sfociano nell’emotional eating o fame emotiva.

La fame emotiva esiste ed è una condizione clinica da non sottovalutare

La fame emotiva non è la scusa per concedersi qualche boccone in più. È un qualcosa di concreto che talvolta può condurre a condizioni severe come sovrappeso, obesità, ipercolesterolemia, ipertensione, diabete e disturbi del comportamento alimentare. Può farci sentire in guerra con noi stessi fino a indurre sensazioni di inferiorità riguardo le nostre forme corporee.

Stando a numerose rassegne sistematiche (per citarne una, Van Strien, 2018), il trattamento nutrizionale di determinate persone che desiderano perdere peso non dovrebbe concentrarsi su una dieta ipocalorica ma sulla gestione emotiva, eliminando completamente quelle che sono le imposizioni nutrizionali.

Indovina un po’? Le diete ipocaloriche, in determinati soggetti, divengono un fattore di rischio che induce fame emotiva e perdita del controllo alimentare. È stato osservato che, quando sottoposti a stress, le persone che seguono una dieta tendono ad assumere maggiori quantità di cibo rispetto a coloro che non seguono un regime ipocalorico. La deprivazione o meglio, l’imposizione di non doler mangiare, innesca il discontrollo alimentare.

Il cibo come mezzo per gestire le emozioni

La fame emotiva, dettata da meri meccanismi psicologici che, però, trovano substrati fisiologici complessi, è la ragione per cui il 95% delle diete fallisce. Per spiegare questo fenomeno, si afferma, in modo semplicistico, che la fame emotiva insorge quando sentiamo il bisogno di controllare le nostre emozioni e, non riuscendoci in modo funzionale, lo facciamo attraverso il cibo. Ma cosa significa esattamente? Significa che le pressioni emotive disinibiscono il nostro comportamento alimentare.

Cosa succede quando siamo insoddisfatti del nostro corpo? La perdita del controllo emotivo innesca una perdita del controllo alimentare che, causando frustrazione circa la dimensione corporea, innesca nuovamente un picco emotivo incontrollabile che innesca nuovo discontrollo alimentare. Sì, come hai intuito, si tratta di un circolo vizioso, un criceto che corre nella sua ruota senza mai arrivare da nessuna parte (ma beato lui che almeno brucia calorie! Noi invece le accumuliamo! Per ironizzare un po’.).

Come spezzare questo circolo vizioso? Agendo a monte del problema. Il problema non sono le calorie, non è il cibo, non è il discontrollo… ma è la mancata accettazione di sé stessi.

In ambito clinico si parla di «Emotional Eating» (alimentazione emotiva) e nei casi più severi «compulsive over-eating» (alimentazione compulsiva); i cinque fattori “a monte” del problema sono:

  1. Immagine corporea
  2. Consapevolezza interocettiva
  3. Alessitimia
  4. Disregolazione emotiva
  5. Alterazioni dell’Asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene

Analizziamoli insieme, uno a uno, per capire come migliorare il rapporto che abbiamo con il cibo e dire addio alla fame emotiva. Partiamo dalla «consapevolezza interocettiva» e dalla cosiddetta «alessitimia» Le tratterò per prime perché anche se hanno nomi un po’ inusuali, sono le più semplici da spiegare.

Consapevolezza interocettiva e alessitimia

La consapevolezza interocettiva altro non è che la misura in cui le persone sono consapevoli dei segnali interni del proprio corpo. Il funzionamento biologico del nostro corpo vorrebbe che noi ci nutrissimo solo a seguito di uno stimolo di fame.

Niente di più lineare: stimolo interocettivo (fame) -> azione (mangiare). All’apparenza sembra tutto bello e lineare. In realtà, è stato ipotizzato che la risposta alimentare inappropriata (cioè mangiare anche in assenza di uno stimolo di fame) sia un comportamento acquisito (Bruch, 1973), cioè appreso durante l’infanzia in conseguenza a pratiche genitoriali inadeguate.

In particolare, quando la risposta del caregiver (del genitore che ti accudiva) è continuamente inappropriata, il risultato è una scarsa consapevolezza interocettiva, cioè una scarsa consapevolezza corporea. Il bambino cresce e diventa un adulto che non sa interpretare gli stimoli del corpo ne’ è consapevole della sua fisicità. Non solo, quell’adulto non avrà imparato a identificare i sentimenti e le emozioni innescati dalle altre persone o da contesti situazionali, ne’ sarà in grado di esprimerle (questa è l’alessitimia). A complicare il tutto c’è un’altra evidenza.

Il cibo come fonte di rassicurazione

Nella prima infanzia, molti bambini apprendono questa associazione: stimolo doloroso – alimentazione. Quanti genitori, per consolare il figlio senza troppo impegno, non forzano la mano dandogli il biberon o il ciuccio intinto in qualcosa di dolce?

Lo scenario è dei più comuni. Il bambino piange, lo fa perché ha paura e vuole essere rassicurato, vuole le attenzioni che merita. Il genitore, non tenta di mentalizzare (capire cosa passa per la mente del bambino) con il figlio ma parte in quarta, il suo obiettivo è quello di farlo smettere di piangere! Cosa c’è di meglio di un dolce biberon? Riconoscere le richieste di un neonato che non sa ancora parlare è difficilissimo e spesso tutte le richieste vengono forzatamente soddisfatte con la somministrazione di cibo. Il bambino finisce per mangiare anche quando non ha davvero fame, anche quando il realtà voleva essere solo rassicurato.

Ecco che, da adulto, il cibo diventerà una fonte di rassicurazione per i momenti di tensione. Non è un caso che la scarsa consapevolezza interocettiva e l’elevata alessitimia, in diversi studi (McDowell et al., 2002. Van Leeuwe et al., 2005), sono stati fortemente correlati all’emotinal eating.

Disregolazione emotiva: incapacità di regolare le emozioni

Nei nostri primi anni di vita, mentre impariamo a parlare e poi a camminare, impariamo a regolare le nostre emozioni. Purtroppo non tutti imparano a farlo. Un modello genitoriale carente (in qualsiasi misura, distratto, assente, negligente, ostile, ambivalente, eccessivamente protettivo o addirittura manipolatorio) innesca diversi gradi di disregolazione emotiva.

È stato dimostrato che strategie di regolazione delle emozioni scadenti (o assenti!) come il tentativo di tenere sotto controllo o sopprimere le emozioni, sono fortemente correlate all’alimentazione emotiva (Zhanh Z et al., 2010). In parole più semplici, quando le tensioni emotive sono troppo alte, ci sentiamo confusi, inconsapevoli di ciò che proviamo… finiamo per mangiare!

L’atto di alimentarsi, per sua natura e perché associato implicitamente a una sensazione di sicurezza, attiva il nostro «sistema di ricompensa» che porta a reiterare il comportamento alimentare. In questo contesto è coinvolto l’intero sistema dopaminergico e serotinonergico. Se ti affascinano le neuroscienze, ti consiglio di leggere il mio articolo: come migliorare la produzione di serotonina. Le implicazioni con la fame emotiva sono enormi! Un umore cattivo (in modo semplicisitico, un calo di serotonina) induce alla ricerca di cibo spazzatura (carboidrati e zuccheri).

Alterazioni dell’Asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) è un insieme di strutture corpore che regolano la risposta agli stimoli stressanti. Uno stimolo stressante può essere qualsiasi cosa: un esame, una minaccia di abbandono, un amore non corrisposto, il dover parlare in pubblico (…). Bene, l’HPA è lo strumento corporeo che ci rende più tolleranti o più intolleranti agli eventi.

Se ci dà fastidio tutto (i rumori di sottofondo come un ticchettio di un orologio, un’auto che ci sorpassa nel traffico, un semaforo che è appena diventato rosso…) allora il nostro HPA è davvero sollecitato: abbiamo una soglia di tolleranza allo stress molto bassa!

Quando si parla di biologia, fisiologia o genetica, tutti pensano che sia qualcosa di innato. Certo, entro dei limiti la genetica guida il nostro sviluppo ma la componente ambientale è altrettanto rilevante. La componente ambientale di forte rilievo in questo contesto riguarda l’ambiente di sviluppo infantile: le cure materne (o genitoriali).

Con gli studi pionieristici di Seymour Levine, replicati in tempi più recenti, è stato dimostrato che i topini che ricevevano più cure materne (toelettatura, leccate…) mostravano una ridotta reattività emotiva e neuroendocrina ai comuni fattori di stress in età adulta. In altre parole, mostravano un asse ipotalamo-ipofisi-surrene a tenuta di stress ed erano meglio regolati, pronti a fronteggiare stimoli stressanti applicati dallo sperimentatore.

Proprio come i topini di Levine, anche noi umani, quando cresciamo in un ambiente sicuro, pieno di cure e attenzioni, impariamo che le emozioni sono naturali e non ci lasciamo sopraffare. Abbiamo una buona soglia di tolleranza dello stress e possiamo vivere felici.

Cosa c’entra tutto questo con la fame emotiva? Se anche la fila al supermercato diventa un fattore di stress e non sappiamo come regolare le nostre emozioni, l’alimentazione diventa l’unica risposta che riusciamo a dare per rassicurarci in modo fittizio.

Immagine corporea e consapevolezza

Ho preferito trattare questo argomento per ultimo perché è da qui che puoi iniziare a lavorare su te stessa/o. Per fronteggiare la fame emotiva bisogna solo imparare che ci si può sentire al sicuro in altri modi. Abbandonare l’idea di deprivazione e costrizione: il «devo fare» o «devo diventare» è il nostro peggior nemico perché parte dal presupposto implicito che «ora non sono abbastanza» «ora non valgo abbastanza».

In realtà tu sei già abbastanza. Non «devi» ma «puoi»Puoi amartipuoi rispettarti, puoi imparare ad esplorare la tua dimensione corporea, perché il corpo che non apprezzi oggi, non hai imparato ad apprezzarlo ieri. Tutto qui. È un allenamento, un nuovo apprendimento che può entrare a far parte della tua vita.

Pensa che hai un corpo solo, forse non è in forma come vorresti ma quel corpo ti accompagna dalla nascita, sai quante ne ha passate? Ti ha affiancato in ogni sfida che hai dovuto affrontare, anche la più spiacevole. È arrivato il momento di imparare ad apprezzarlo, sarebbe dovuto accadere già tanto tempo fa, ma non è tardi.

A cura di Anna De Simone, psicologo – esperto in neuropsicobiologia
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