La questione del soggetto è stato negli ultimi anni centrale nei dibattiti e nelle riflessioni da parte degli esponenti delle diverse discipline umanistiche: sociologia, filosofia, antropologia, ecc.
Gli studi emersi concordano sulla messa in crisi di un soggetto storicamente e culturalmente inteso, manifestando la tendenza e la necessità di una decostruzione e reinterpretazione in modo da smascherare pregiudizi, condizionamenti e convinzioni legate alla cristallizzazione dell’identità costruita su localismi, chiusure ideologiche, ecc.
Ne emerge una visione del soggetto dinamica e inquieta, aperta a nuovi innesti culturali che necessita di una costante riflessione su se stessa. Un soggetto problematico nel suo costruirsi e de-costruirsi che tende in maniera critica a ripensare se stesso attraverso una sua radicale teorizzazione. Un soggetto non più classicamente inteso, intento alla ricerca del fondamento, dell’essenza, di una intima struttura metafisica.
All’opposto il soggetto ora si apre alla tensione inquieta, alla ricerca dell’attraversamento, dello s-fondamento più che del fondamento, soggetto a condizionamenti e manipolazioni, anche di natura tecnologica che costringono costantemente ad un ripensamento ed una ridefinizione in chiave ermeneutica (e quindi interpretativa) del soggetto stesso.
Apertura, incertezza, inquietudini, tensionalità, ma anche riflessività, messa in discussione e dialettica fra le parti rappresentano le modalità che connotano lo stemma del farsi del soggetto. La formazione come processo in divenire non può che farsi critico, costruttivo e de costruttivo, aperto alla dimensione dialettica fra le parti in modo da decantare, anche se in modo mai definitivo, le provvisorie dimensioni che lo connotano e le traiettorie vettoriali.
Se in filosofia della formazione si è arrivati ad un ragionamento di questo tipo circa la questione del soggetto e del suo formarsi, quale è lo stato dell’arte del soggetto in chiave psicologica?
La questione non è semplice. Da una parte abbiamo il contributo delle neuroscienze che aiuta a rimanere su un piano di complessità, dove i processi psichici e morfofunzionali sono inquadrati, letti e misurati, accettando il contributo delle branche della ricerca biomedica, della biologia molecolare, della neuroradiologia, ecc..
Un modo di studiare l’uomo e i processi (percettivi, etc.) rimanendo in un’ottica di complessità, sperimentale e critica allo stesso tempo.
Vi è poi l’esigenza della divulgazione, di riuscire a comunicare con i non addetti ai lavori. La questione si fa complicata. Non è semplice semplificare la complessità anche perché, così facendo, si contraddice il principio stesso di complessità, snaturandolo e facendolo divenire altro.
Accade allora che vi siano forzature, generalizzazioni eccessive e ipotesi fantasiose su dati letti in maniera parziale, che non solo fanno scadere qualitativamente i saperi ma costringono ad una lettura degli stessi in chiave quasi fantastica. Ecco allora che, per esigenze editoriali ma anche comunicative, sorgono testi sui magici poteri della mente, supportati dai dati (fraintesi e manipolati) forniti dalle discipline biomediche e neuro scientifiche.
E negli altri settori della psicologia?
Accanto alle ricerche psicosociali e cliniche c’è tutto un fiorire di testi che, anche qui, partendo da alcuni assunti di base, tendono a costruire teorie fondate su regole da seguire per raggiungere la felicità, l’autorealizzazione, per sviluppare poteri, per superare condizioni patologiche.
Insomma, da disciplina dell’indagine che utilizza la domanda come strumento capace di attivare nell’altro emozioni e riflessioni inedite in grado di risvegliare nuove consapevolezze, sta diventando sempre più spesso la scienza delle risposte a problemi specifici per soggetti generali.
Da psicologia come scienza complessa che entra nel vivo dei vissuti soggettivi e che, in quanto tali, sono unici ed irripetibili, rischia di scivolare verso una banalizzazione della domanda che, privata dei connotati emotivi e della soggettività, diviene domanda astratta e generale alla quale si crede di poter dare risposta attraverso vademecum, regole da seguire, consigli.
Questo processo è pericoloso perché, a differenza di quanto sta accadendo per altre discipline umanistiche che vedono il soggetto come complessità dotata di asimmetrie, aperture, crisi, ecc., sempre da ripensare e rimettere in discussione, c’è la possibilità in questo momento che una certa psicologia dia un’immagine del soggetto come standard che si pone specifiche domande ed alle quali si possono dare risposte immediate.
Dietro ogni domanda vi è una radice complessa tutta da accogliere ed indagare. Una complessità che ha a che vedere con la storia del soggetto, collocato in un certo ambiente, con specifiche reti sociali.
Un soggetto che appartiene certamente ad un preciso momento storico e condizionato da eventi trascorsi ed attuali, con specifici valori che possono aver subito, nel tempo, orientamenti e gerarchie diverse. Insomma il soggetto mantiene caratteristiche di unicità che non possono mai essere ricondotte ad una generica rappresentazione.
L’irriducibilità del soggetto ad un generico chiunque fa sì che nessuna domanda possa essere uguale ad un’altra, che nessuna sofferenza sia riconducibile ad un’altra e che quindi nessun ascolto e nessuna risposta possa essere in nessun modo generalizzabile e valida per chiunque. Almeno per una disciplina che, da sempre, ha fatto della relazione di aiuto il suo motore principale.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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