La Regina degli Scacchi, trama e dinamiche psicologiche

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor
La Regina degli Scacchi
La Regina degli Scacchi, trama e rassegna psicologica

Titolo: La Regina degli Scacchi (The Queen’s Gambit)
Miniserie di 7 puntate
Anno: 2020
Regina: Scott Frank
Temi trattati: alcolismo, dipendenza, adozione, meccanismi di difesa, dissociazione, mania del controllo, spostamento, sublimazione, modelli relazionali, plurivittimizzazione, fiducia epistemica primaria, autoaffermazione, autonomia emotiva.
Voto: 5/5 
Colonna sonora: 8/10

La serie è basata sull’omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis, The Queen’s Gambit (leggi l’estratto gratuito del libro su Amazon).

La trama

Non devi sapere come districarti tra Torri, Alfieri e Cavalli per apprezzare La Regina degli Scacchi. La miniserie Netflix racconta di Elisabeth Harmon (interpretata dall’attrice Anya Taylor-Joy) tracciando il suo cammino dall’orfanotrofio fino ai campionati mondiali di scacchi.

Nel suo percorso, Beth non dovrà affrontare soltanto gli avversari sulla scacchiera ma dovrà farsi carico di grandi problemi emotivi che sfociano nella dipendenza da alcol e da droghe. La storia è ambientata tra gli anni ’50 e gli anni ’70.

La prima puntata inizia con un incidente, quello in cui Beth perde la madre. La bambina, di soli 9 anni, è subito trasportata in un orfanotrofio femminile dove incontra Jolene (interpretata da Moses Ingram), una ragazza vivace di qualche anno più grande. L’incontro con Jolene si rivela fondamentale per lo sviluppo psicoaffettivo di Beth ma ancora più cruciale sarà il successivo incontro con il signor Shaibel, custode dell’orfanotrofio nonché appassionato di scacchi. E’ il custode che insegna i “fondamenti degli scacchi” a Beth. In un batter d’occhio, la bambina in cerca di una via di fuga da se stessa e dalla vita, trasforma il gioco degli scacchi nel suo rifugio più sicuro.

Rassegna psicologica de La Regina degli Scacchi

Attenzione!
Quanto riportato di seguito andrebbe letto solo dopo la visione. La spiegazione delle dinamiche psicologiche e i profili dei personaggi sono ricchi di spoiler. 

Da un punto di vista psicologico, la miniserie racconta di una bambina in balia degli eventi: padre ignoto, madre suicida, affidata all’orfanotrofio dove subisce una somministrazione forzata di farmaci psicotropi, successivamente adottata da una famiglia disfunzionale dove assiste a un secondo abbandono della figura maschile, la madre adottiva è un’alcolista, subisce poi la perdita della madre adottiva (…).

Tante situazioni difficili che generano un carico emotivo enorme, tale che nessuna bambina al mondo sarebbe in grado di elaborare da sola, senza l’aiuto di una figura di riferimento (caregiver). Beth compensa questo suo essere “succube degli eventi” con un ipercontrollo che esercita nel gioco degli scacchi. Qui assistiamo a due meccanismi di difesa: spostamento e sublimazione (vedi glossario a fine pagina).

Quella che sperimenta Beth, infatti, non è una semplice competizione agonistica ma un bisogno pulsionale: il suo mondo è costituito dai 32 pezzi posti sulle 64 case della scacchiera. Gli scacchi si possono controllare, le mosse si possono prevedere, ogni partita vinta restituisce a Beth un’illusoria autonomia e una forma di controllo. Mediante la distruzione dei pezzi altrui, Beth sublima in un modo socialmente accettabile la sua forte rabbia; l’ancestrale rabbia del rifiuto dei genitori biologici.

Nelle sette puntate assistiamo al bisogno di identificazione di Beth che dapprima mantiene il nuovo taglio di capelli che le hanno fatto in orfanotrofio e successivamente acquista la casa della madre adottiva. L’orfanotrofio femminile spoglia Beth di ogni segno identitario tanto che la direttrice le brucia anche il suo unico vestitino.

Successivamente Beth impiega i soldi guadagnati con il torneo degli scacchi per acquistare vestiti, non si tratta di un vezzo di vanità, semplicemente dell’unico modo che Beth conosce per prendersi cura di sé. Analogamente, Beth avrebbe potuto acquistare qualsiasi casa e trasferirsi in qualsiasi posto al mondo, tuttavia sceglie di comprare la casa dei genitori adottivi per il bisogno di appartenere, mettere radici.

E’ con questi piccoli gesti che Beth inizia a sperimentare un labile senso di appartenenza, che tuttavia sembra sempre sfuggire. Non è un caso che, per sentirsi alla pari delle sue compagne di scuola, per non sentirsi diversa, Beth inizia ad avere rapporti sessuali con diversi uomini. Il regista, fin dalla prima puntata, enfatizza l’importanza che danno le ragazze al sesso, un’importanza che la piccola Beth carpisce e che reinterpreta da adulta sperimentando rapporti fugaci e non gratificanti.

Il modello relazionale di Beth è da manuale. Dapprima sembra essere attratta da una persona non disponibile (uno scacchista reporter omosessuale). Successivamente, invita lo scacchista Harry Beltik a vivere con lei, Harry si interessa nel concreto a Beth ma quest’ultima mantiene una glaciale distanze emotiva.

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Nella foto Banny Watts, Elisabeth Hatton e Harry Beltik

Al contrario, sembra volersi avvicinare allo scacchista narcisista e scommettitore patologico Benny Watts. In psicologia questo fenomeno è noto come pluri-vittimizzazione e si traduce in termini pratici così: quando una persona da bambina è stata vittimizzata (abbandonata, abusata, rifiutata, maltrattata…) tenderà poi a rivivere l’esperienza della vittima in modo altrettanto inconsapevole.

Innamorandosi del reporter gay, Beth si è assicurata un rifiuto. Allontanando Harry Beltik, Beth si è tenuta alla larga dall’affetto e dalla cura. Tentando di avvicinarsi a Benny, Beth si sarebbe potuta assicurare un ulteriore abbandono.

I modelli relazionali che ci accompagnano da adulti sono un retaggio della vita affettiva sperimentata da bambini, la miniserie “La Regina degli Scacchi” ha plasmato perfettamente questi concetti.

In linea con i meccanismi di spostamento e sublimazione, Beth non poteva accontentarsi di vincere qualche torneo locale. La sua ambizione era proporzionale alla sua impotenza. Come sublimare? Vincendo il titolo di campionessa mondiale, battendo su territorio russo il campione in carica. Battendo il russo, Beth ha chiuso il suo cerchio, ha raggiunto la sua autoaffermazione.

E’ stato emblematico il finale dell’ultima puntata, quando un incaricato americano propone a Beth di raggiungere la Casa Bianca per un incontro con il Presentente degli USA. Beth rifiuta, scende dall’auto e va a giocare con scacchisti anonimi nel parco della città.

Beth nel suo percorso non ha mai cercato fama o denaro, nelle sue mosse (nella vita come sulla scacchiera) Beth cercava questo: autonomia, autoaffermazione e libertà.

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Le parole di Beth rilasciate durante un’intervista: «fu la scacchiera a colpirmi. Esiste tutto un mondo in quelle sessantaquattro case. Mi sento sicura lì. Posso controllarlo, posso dominarlo ed è prevedibile. So che se mi faccio male è solo colpa mia»

Tra le pareti dell’orfanotrofio Beth ha imparato a dissociarsi dalla realtà ingurgitando psicofarmaci e fantasticando sulle mosse degli scacchi. La dissociazione è un ulteriore meccanismo di difesa palesato negli episodi della miniserie. Con dissociazione in psicopatologia e in psichiatria si intende quel meccanismo con cui alcuni elementi dei processi psichici rimangono “disconnessi” o separati dal restante sistema psicologico dell’individuo. Ecco perché nel descrivere la trama di The Queen’s Gambit ho precisato che il gioco degli scacchi era diventato un rifugio sicuro, perché garantiva a Beth la rapida fuga da una drammatica realtà. La stessa fuga (dissociazione) era garantita con l’abuso di alcol.

Aforismi: ecco alcune frasi da “La Regina degli Scacchi”

In questa sezione ti propongo alcune frasi significative tratte dalla miniserie The Queen’s Gambit. Non si tratta di semplici aforismi ma di spunti di riflessione. Le prime tre frasi proposte sono della mamma biologica di Elisabeth. Con quei brevi salti del passato all’apertura di ogni episodio, lo sceneggiatore ci racconta la storia di una bambina che è stata “programmata” per “sopravvivere senza mai af-fidarsi a/di qualcuno“. Le frasi della mamma di Elisabeth veicolano un messaggio implicito molto chiaro: le persone sono cattive.

«Non devi avere paura del buio, anzi, oserei dire che non devi avere paura di nulla, una persona forte è una persona che non teme di stare da sola. Sono altre le persone di cui preoccuparti, quelle persone che ti dicono cosa fare e cosa provare, in un batter d’occhio hai sprecato la tua vita cercando qualcosa che altre persone ti hanno detto di cercare. Un giorno rimarrai tutta sola, quindi devi imparare a prenderti cura di te stessa.»

E’ chiaro che la vita non è questa ma una bambina di pochi anni non lo sa e prende per buone le parole di sua madre. La madre di Elisabeth racconta il suo personale vissuto in chiave di verità assoluta e universale. Le sue parole sono piene di rancore e inadeguatezza.

Con le sue parole, la mamma prospettava alla piccola Elisabeth un mondo cattivo dal quale proteggersi. Queste parole legittimano il gesto estremo attuato dalla donna: un “suicidio allargato” che si sarebbe dovuto consumare con un incidente stradale. Nell’incidente, però, a perdere la vita è solo la mamma, la piccola Beth sopravvive dopo aver sentito le ultime parole di sua madre: «chiudi gli occhi».

Altre frasi della mamma di Elisabeth:

«Le persone si accontentano di tutto per poter dire di aver qualcosa»
«Spesso le persone sembrano dirci qualcosa per il nostro bene ma è per il nostro male»

Il tema della rabbia è trattato in modo indiretto in tutti gli episodi. In alcuni episodi se ne parla esplicitamente. Fa riflettere questa frase pronunciata da Harry Beltik: «La rabbia è una potente spezia, un pizzico ti risveglia, troppa ti ottunde i sensi.»

Durante la sua permanenza presso l’orfanotrofio femminile, Beth incontra Jolene. Le due diventano amiche, un’amicizia che dà un grande insegnamento a Beth. Ecco alcune frasi significative di Jolene, tratte dagli episodi finali de La Regina degli Scacchi.

«Sei la più brava da così tanto tempo che neanche lo sai com’è per noi.»

the qeen's gambit
Beth e Jolene si godono il sole alla finestra, nel giorno in cui Beth viene adottata

Chiusa in se stessa, Elisabeth non si confronta con gli altri. Non confrontandosi rinuncia a riconoscere i suoi talenti e accentua il suo sentimento di non appartenenza. A Beth non è mai stata data l’opportunità di imparare a entrare in sintonia e in risonanza con gli stati emotivo-affettivi dell’altro. E’ anche per questo che, per buona parte della serie, ha usato il sesso come unico modo per entrare in intimità con l’altro.

«Sono qui perché tu hai bisogno che io sia qui, le famiglie lo fanno

Questa frase racconta dell’amicizia fraterna tra Jolene e Beth. Verso la fine della serie, Jolene presta i suoi risparmi (destinati a coprire le spese per gli studi) a Elisabeth, il motivo? Le persone che si vogliono bene lo fanno, si aiutano a vicenda, danno e sanno di poter avere. Si chiama “impegno emotivo“, non ci si può impegnare emotivamente con una persona se poi non si è disposti a “impegnarsi nel concreto” per lei.

Jolene prestando i suoi risparmi a Beth non ha messo da parte un suo bisogno, ha semplicemente scelto di credere nella sua amica, ha scelto di sostenerla perché le famiglie vere lo fanno, si prendono cura l’uno dell’altro e ci sono al momento del bisogno. Beth impara che ci si può fidare dell’altro. Grazie a Jolene Beth risana la sua fiducia primaria, Beth elabora (comprende emotivamente) che nonostante la lunga serie di abbandoni ed eventi traumatici, esistono persone affidabili, esistono persone capaci d’amore.

Piccolo glossario di psicologia
Lo spostamento e la sublimazione sono due meccanismi di difesa dell’io.
Spostamento: investimento di sentimenti inaccettabili su un oggetto “sostitutivo”, che assume il ruolo di oggetto manifesto o apparente, ed è in stretto rapporto simbolico con l’oggetto reale o la rappresentazione mentale che causa l’attivazione di questa difesa. 
Sublimazione: soddisfazione della pulsione mediante il cambiamento dello scopo o dell’oggetto in direzione più accettata culturalmente.

Questo articolo è parte della rubrica cinematografica e delle serie tv di Psicoadvisor, curata dalla dott.ssa Anna De Simone. Se ti è piaciuto questo articolo, puoi seguirci su Facebook: sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor e sul profilo FB della psicologa Anna De Simone