La teoria della mente: come capiamo cosa c’è nella mente dell’altro

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Da adulti, capiamo che ogni persona ha i propri pensieri, convinzioni e desideri; cioè, hanno il loro modo di pensare. Tuttavia, non sempre ne siamo stati consapevoli. Per dedurre correttamente le intenzioni e i desideri di un’altra persona, i bambini devono sviluppare una teoria della mente.

Cos’è la teoria della mente

La Teoria della Mente (‘Theory of Mind’, ToM) o Mentalizing (Frith, Frith, 1999) è la capacità di capire noi stessi e gli altri, dal punto di vista sia implicito che esplicito, in termini di stati soggettivi e di processi mentali (Fonagy, Bateman, 2006; 2008). Per stati mentali si intendono sentimenti, pensieri, credenze, desideri e via dicendo. Per capire meglio il concetto, facciamo un piccolo esempio.

Immaginiamo di affacciarci alla finestra e di vedere il nostro vicino uscire dal portone; non fa in tempo a uscire  che mette le mani in tasca, si gira su di sé e torna dentro all’edificio. Probabilmente non avremo problemi a capire il suo atteggiamento e supporre che abbia dimenticato qualcosa.  Questo è possibile perché siamo entrati nella sua mente e abbiamo interpretato il suo comportamento. È questa la capacità delle persone che in psicologia rientra sotto la denominazione “teoria della mente”

Le origine della teoria della mente

Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, alcuni scienziati e psicologi iniziano a studiare una nuova tendenza riguardante lo sviluppo psicologico del bambino. Iniziano ad indagare sul modo in cui il bambino costruisce la propria conoscenza del mondo psicologico, arrivando a comprendere se stessi e gli altri. Cercano, inoltre, di capire quali sono le motivazioni, i desideri, le intenzioni e le credenze che caratterizzano la sua esperienza di vita. Questa nuova tendenza attribuisce al bambino una teoria della mente, ovvero una teoria di come funzionano gli essere umani in quanto diversi dagli oggetti.

La nascita della Theory of Mind viene fatta risalire al 1978, anno in cui David Premack e Guy Woodruff rendono noto il lavoro di ricerca condotto su un gruppo di scimpanzé richiamando l’attenzione sul dato che gli individui sono regolati, nelle loro interazioni con gli altri, da una teoria della mente (ToM), ovvero da un sistema di inferenze che permette di attribuire a se stessi e ai conspecifici degli stati mentali, e in particolare di spiegare e predire i comportamenti altrui anche quando devono essere ricondotti a credenze diverse dalle proprie.

Nello specifico, il loro lavoro, nel quale pongono il problema se anche gli scimpanzé abbiano una teoria della mente, ha aperto la strada alla considerazione del perché gli esseri umani sono dotati di competenze specifiche che sembrano non ritrovarsi nelle altre specie animali, nell’ipotesi di base che la mentalizzazione sia una specializzazione cognitiva del tutto umana.

Come funziona la Teoria della Mente

In letteratura esistono diversi termini che sembrano riferirsi alla Teoria della mente (spesso abbreviata in ‘ToM’, dall’inglese Theory of Mind). Già nel 1994, Whiten ne individuava ben 18, accordando la sua preferenza al termine mindreading (adottato anche da Baron-Cohen, 1995). Attualmente i termini più utilizzati in letteratura, accanto all’espressione Teoria della Mente, sono quelli di “mentalizzazione” (Fonagy, 1991) e “funzione riflessiva” (Fonagy, Target, 1997).

La Teoria della Mente si sviluppa durante i primi anni di vita grazie ad una sana interazione con le figure di riferimento e permette di avere uno specchio sulle proprie e altrui capacità cognitive. Un punto di partenza comunemente accettato è che a partire di 4 anni possiamo attribuire al bambino il possesso della teoria della mente come sistema rappresentazionale. Potremmo affermare che la Mind Theory si pone alla base dell’empatia.

Da un punto di vista scientifico, è possibile accertare tale comparsa attraverso il Test della Falsa Credenza (Pemmer & Wilmer, 1983), una prova standardizzata utilizzata con i bambini tra i 4 e i 9 anni.  Già prima dei 4 anni però, è possibile rintracciare delle strutture che “preparano” la comparsa della TOM: i bambini, cioè, già durante i primi due anni di vita, acquisiscono delle competenze che si configurano come precursori della capacità mentalistica.

  • A 2 ANNI: il bambino inizia ad adoperare dei termini per descrivere i DESIDERI e le EMOZIONI di sé e dell’altro, comprendendo che i desideri motivano e regolano l’azione propria e altrui
  • A 3 ANNI: il bambino inizia a comprendere le VERE CREDENZE, cioè quelle che corrispondono al dato di realtà; l’elemento che caratterizza tale momento evolutivo è dato dalla triade DESIDERIO-CREDENZA-AZIONE.
  • A 4 ANNI: il bambino concepisce la mente come un SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE; arriva dunque a comprendere che l’azione di una persona può essere determinata anche da una credenza falsa. (“Io penso che tu pensi X”)
  • A 6-7 ANNI: il bambino è in grado di strutturare un pensiero più complesso in cui una metarappresentazione è inclusa in un’altra; coglie pienamente la complessità sociale cioè cosa le persone pensano rispetto agli altrui pensieri (“Io penso che tu pensi che X pensi Z”).

L’esperimento di “Sally e Anne”

I risultati di questo test sono spesso stati dibattuti tra esperti e psicologi. In linea di massima, sino ad oggi si è pensato che solo dai 4 anni in poi i bambini fossero in grado di identificare le false credenze. Un nuovo studio, condotto dall’Università dell’Illinois, afferma invece che questa capacità è presente intorno ai 2 anni e mezzo. 33 mesi per l’esattezza. Già a questo stadio dello sviluppo mentale sono in grado di distinguere quando qualcuno pensa il falso rispetto alla realtà. In qualche modo quindi si può dire che comincino prestissimo a capire la bugia in senso lato. Non che siano in grado di individuarla già a 2 anni, ma cominciano a capirne il principio.

In pratica questo test viene condotto così: si fa vedere ai bambini che ‘Sally’ mette una biglia in un contenitore (A) e se ne va. A quel punto ‘Anne’ la sposta in un altro recipiente (B). Quando Sally torna, viene chiesto ai bimbi dove andrà a cercare la biglia. E i piccoli con meno di 4 anni solitamente rispondono che la cercherà nel contenitore B, quello giusto. Perché non sono in grado di scindere la loro esperienza, la loro conoscenza, da quella di qualcun altro. La loro realtà viene proiettata sull’altro soggetto.

Secondo chi ha condotto il nuovo test, ciò accade perché il test stesso è formulato in modo difficile. Perché quando i bambini molto piccoli vedono dove viene spostata la biglia immagazzinano quella come informazione principale. E non sono più in grado di ‘metterla da parte’ quando Sally torna. La professoressa Renée Baillargeon, a capo del team che ha realizzato le nuove scoperte, ha proposto una variazione di questo test, convinta che il linguaggio del corpo dei bimbi esprimesse in modo palese la loro comprensione delle false credenze.

Un nuovo personaggio, ‘Emma’, è diventato soggetto del test, e come Sally non sa dove è stata spostata la sua biglia. Ma questa volta non lo sanno neanche i bambini: il giocattolo semplicemente esce di scena. Ecco che stavolta i piccoli, anche di soli 33 mesi, sono stati capaci di indicare dove Emma avrebbe cercato la sua pallina. Cioè nel recipiente sbagliato. Questo dimostra che sono stati in grado di identificarsi con Emma e capire che nella sua testa c’era una falsa credenza

In pratica, i bambini che superano il test con successo, si rendono quindi conto che una persona può avere diverse percezioni e interpretazioni della realtà dei fatti e questa persona agirà in conseguenza della propria rappresentazione (falsa credenza) e non in relazione a ciò che è vero. Inoltre, lo svolgimento del compito in maniera corretta, richiede la capacità di inibire ciò che sappiamo della realtà (la nostra prospettiva) in favore della prospettiva dell’altro (Baron-Cohen et al., 1985; McKinnon & Moscovitch, 2007; Wellman et al., 2001; Wimmer & Perner, 1983).

A cosa serve? L’impatto sociale e quello cognitivo

La Teoria della Mente risulta quindi fondamentale nelle relazioni ed interazioni sociali; ma anche nel processo di adattamento ambientale. In particolare, nel campo della comunicazione la capacità consente di cogliere le reali intenzioni, implicite, che si nascondono dietro un messaggio. Nell’ottica di una comprensione completa dell’interlocutore intervengono l’empatia e la capacità di leggere i dettagli della comunicazione non verbale e paraverbale.

L’IMPATTO SOCIALE

La teoria della mente è uno strumento sociale molto importante perché consente ai bambini di spiegare e prevedere i comportamenti degli altri. Sia la cooperazione che la competizione richiedono comprensione degli stati mentali degli altri; È essenziale conoscere le credenze, i desideri e le intenzioni dell’altro per poter collaborare o competere con successo. Quando competiamo, dobbiamo sapere se le intenzioni dell’altro sono in conflitto con le nostre e, in tal caso, fare qualcosa al riguardo. D’altra parte, quando agiamo in modo altruistico abbiamo bisogno di sapere di cosa ha bisogno o vuole l’altro, oltre a capire cosa pensano gli altri di noi (ad esempio, sapendo che l’altra persona sarà delusa se siamo egoisti o viceversa). Cosa c’è di più,

L’IMPATTO COGNITIVO

La teoria della mente consente ai bambini di acquisire nuovi modi di ragionare e di far progredire il loro sviluppo cognitivo. Uno dei passaggi più importanti è la capacità di utilizzare la meta rappresentazione. Che cosa significa? In breve, pensate a ciò che sta pensando un’altra persona e giudicate se la sua rappresentazione mentale è o meno correlata alla realtà, ad esempio considerando falsa la credenza di qualcuno. Sebbene sembri semplice, per sviluppare la teoria della mente abbiamo bisogno di comprendere concetti molto complessi. Implica che riconosciamo che esiste una sola realtà, ma che non tutti ne hanno la stessa rappresentazione. Inoltre, stimola la comprensione di concetti come soggettività, oggettività, fatti e valori. Cioè, ci permette di capire che i fatti non sono negoziabili,

Strumenti per testare la ToM

Un deficit dello sviluppo della ToM, o in alcuni casi un funzionamento distorto, è riscontrabile in varie psicopatologie e anomalie del comportamento. Tra le più comuni i disturbi autistici, la schizofrenia e i disturbi di personalità. La valutazione relativa allo sviluppo della Mind Theory è affidata ad una serie di test.

Il più utilizzato, soprattutto nei casi di autismo e schizofrenia, è il ‘false-believe task’ (test della falsa credenza), il cui obiettivo è verificare la capacità di un soggetto di prevedere lo stato mentale, e quindi il comportamento, di un individuo che agisce sulla base di una falsa credenza. Un altro strumento finalizzato a testare lo sviluppo della ToM è l’Eye test, basato sull’osservazione dello sguardo. Tra i test utilizzati per la valutazione anche il ‘Theory of Mind Picture Sequencing Task’ basato su 6 storie, ognuna delle quali composta da 4 vignette da riordinare sulla base di un senso logico.

A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
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