Parliamo delle spinte. Sono i nostri punti di forza, e insieme i nostri punti deboli. Le “spinte” sono voci interne che ci guidano, così chiamate perché ci spingono a comportarci sempre in un certo modo. C’è chi obbedisce alla spinta “sii forte!” e non ha mai momenti di debolezza, chi alla spinta “sbrigati!” ed è un campione di efficienza (ma non di precisione). Le spinte ci caratterizzano, ma possono trasformarsi in trappole, poiché siamo portati a seguirle anche quando non ci conviene. Siamo infatti convinti – sbagliando – che obbedire a questi comandi interiori sia una condizione necessaria per essere apprezzati dagli altri. Quante e quali sono queste spinte? Lo studioso Taibi Kahler ne ha identificate cinque. Tutti possiamo esserne condizionati, ma la maggior parte di noi ha una propria spinta preferenziale (di cui in genere non è consapevole). Vediamo quali sono, e impariamo a utilizzarle al meglio, senza diventarne schiavi.
1) “Compiaci!”
Le persone che agiscono sotto la spinta “compiaci!” fanno di tutto per piacere agli altri. Prima di agire cercano sempre di interpretare quello gli altri si aspettano da loro, e chiedono il permesso per qualsiasi cosa: sono un tripudio di “scusa, posso…?”, “Ti dispiace se…”. Questa spinta è un’ottima risorsa: rende socievoli, empatici, intuitivi, flessibili, tolleranti. Il rischio è quello di non riuscire mai a dire di no, e di non trovare mai il coraggio di manifestare il proprio parere, apparendo privi di personalità.
Alla spinta “Compiaci!” obbediscono molte principesse delle favole, bellissime ma prive di volontà propria, in costante attesa del principe azzurro. Nel cinema, invece, la donna compiacente per antonomasia è la Melania di «Via col vento»: amabile, sempre sorridente, disponibile, attenta alle esigenze altrui e poco alle proprie. Un personaggio che a molti appare scialbo, perché non si capisce mai quello che pensa davvero. La verità è che per piacere davvero agli altri bisogna anzitutto piacere a se stessi. È cioè fondamentale riservare a sé le stesse cure e attenzioni che normalmente si dedicano agli altri.
2) “Sii forte!”
Chi è influenzato della spinta “sii forte!” non mostra mai i propri sentimenti. È come se una vocina interna gli ripetesse: “non lasciare che gli altri sappiano che sei debole”. Il vantaggio è che riesce a mantenere il controllo anche quando tutti si lasciano prendere dal panico. L’altro lato della medaglia è che, avendo poca dimestichezza con le emozioni, fatica a comprendere quelle altrui: appare quindi insensibile. E le rare volte che perde la calma… esplode! Il fatto è che nascondere quello che si prova non reca grandi vantaggi: rende indecifrabili, incomprensibili e allontana le persone. Che vantaggio dà intimorire tutti? È invece importante capire che le emozioni sono una risorsa, non una debolezza. Ci aiutano a comunicare i nostri stati d’animo, e quindi a migliorare le nostre relazioni con gli altri. Tra l’altro non siamo responsabili delle nostre emozioni, e allora perché nasconderle?
Molti “duri” del cinema (ben radicati nell’immaginario maschile) rispondono alla spinta “sii forte!”. Per esempio «l’uomo senza nome» interpretato da Clint Eastwood, freddo e impassibile, in grado di affrontare ogni sfida senza batter ciglio. Ma quando si arrabbia, molto meglio non trovarsi nei paraggi perché ha il grilletto facile!
3) “Sforzati!”
Le persone spinte dal comando “Sforzati!” sono convinte che per ottenere le cose bisogna fare fatica. Il che le porta a dare il massimo in tutto quello che fanno. Il loro motto? Crederci sempre, arrendersi mai. Forse è per questo che sono sempre stressate e piene di acciacchi. Sono anche sempre disponibili a dare una mano (spesso sono impegnate nel volontariato) e in generale si danno un gran da fare, ma sono poco flessibili a cambiare strategia se l’obiettivo che perseguono si rivela più arduo del previsto. Inoltre tendono a impegnarsi in mille cose senza portarne a termine una.
La spinta “Sforzati!” fa venire in mente il mito greco di Sisifo, condannato per l’eternità a spingere un masso in cima a un monte, che però rotola ogni volta a valle. Ma anche il personaggio dei cartoni animati «Wile E. Coyote», che persevera in un obiettivo che non è alla sua portata, la cattura del velocissimo Beep Beep. Un consiglio? Applicare la massima del maestro Yoda di «Guerre Stellari»: “Fare o non fare, non c’è provare!”.
Chi agisce sotto questa spinta, infatti, si concentra sullo sforzo invece che sull’esito, così prova e riprova anche se non raggiunge l’obiettivo. Invece che dare importanza all’impegno, dovrebbe focalizzarsi sui risultati. In che modo? Imparando a distinguere ciò che è fattibile da ciò che è umanamente impossibile. E imponendosi di finire sempre un compito prima di intraprenderne un altro.
4) “Sii perfetto!”
Chi agisce sotto la spinta “Sii perfetto!” ha standard elevatissimi. La sua vocina interiore continua a ripetergli “dovresti fare meglio”: così, qualsiasi risultato ottenga, non è mai soddisfatto e alza l’asticella. Inoltre tende a non rispettare le scadenze perché può essere bloccato dalla paura di sbagliare, di fallire o di perdere il controllo della situazione. Di sicuro non si gode mai la vita. I film di Carlo Verdone forniscono ottimi esempi di vittime della spinta “Sii perfetto!”: chi non ricorda il professor Raniero Cotti Borroni di «Viaggi di Nozze», o l’altrettanto pedante Furio di «Bianco Rosso e Verdone», insopportabile marito della povera Magda?
Cambiare non è mai facile, ma chi è soggetto a questa spinta dovrebbe cominciare a dirsi: vado bene così come sono, anche quando non raggiungo l’eccellenza. Anche perché chi sbaglia ha un considerevole vantaggio: è risaputo che è dagli errori che si impara di più. Insomma: essere troppo perfetti non conviene, perché può bloccare e impedire di imparare davvero dalla vita. Si diventa pedanti, non saggi. La vita di chiunque è costellata di piccoli fallimenti: imparare a riderne, invece che farne una tragedia, è il segreto per uscire da questa trappola.
5) “Sbrigati!”
Chi obbedisce alla spinta “sbrigati!” sente il bisogno di fare tutto il più in fretta possibile, il che significa che fa un sacco di cose. È un pozzo di energia: instancabile, iperefficiente e focalizzato sui risultati. Peccato che, per fare veloce, va soggetto a molti errori e perde dettagli essenziali. Oltre al fatto che dimentica subito quello che fa, perché non lascia il tempo alle sue esperienze di sedimentare nella mente. Rispondono a questa spinta tante mamme professioniste, sempre affannate e di corsa per riuscire a incastrare i tanti impegni familiari e lavorativi. Anche se l’esempio più paradigmatico viene dal mondo della fantasia: il Bianconiglio di Alice del Paese delle meraviglie, sempre intento a consultare l’orologio per affrettarsi a non si sa quale appuntamento.
Ma ha senso darsi così tanto da fare? La risposta è no. Chi corre sempre, saprà sempre meno cose di chi resta calmo e riflette. E non avrà affatto una vita più piena. La fretta, paradossalmente, fa perdere tempo, perché porta a impegnarsi in tante attività futili e inutili e non permette di riconoscere e di apprezzare ciò per cui vale davvero la pena vivere. Come diceva il saggio cinese Laozi: “La natura non ha fretta, eppure tutto si realizza”.
Marta Ebra, psicologa e psicoterapeuta specializzata in Analisi Transazionale. Riceve online e nel suo studio di Milano.
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