Le abitudini delle persone felici, 7 psicoesercizi alla felicità

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Se provi a digitare sul motore di ricerca Google la domanda «come essere felice», ti compariranno 61 milioni di “risposte”. Insomma, una vita potrebbe non bastare per leggerle tutte e poi, molte ripetono lo stesso mantra: sorridere, dormire bene, mangiare bene e credere in se stessi. Basta questo per essere felici? Probabilmente non è così semplice, è impegnativo ridurre ai minimi termini la felicità, soprattutto quando l’autore si rivolge a chi, probabilmente, non parte da una condizione di vantaggio. Mi spiego meglio.

È facile credere in se stessi quando tutti prima di te lo hanno fatto. È naturale amarsi e accettarsi quando alle spalle hai già vissuto esperienze di amore incondizionato. Tutti siamo d’accordo con questo, le persone felici trovano in se stesse ciò di cui hanno bisogno. Ma questo vale per tutti? Spesso chi cerca “fuori” qualcosa è proprio perché ne sente la mancanza all’interno. Allora ti dirò che c’è speranza per tutti, perché la felicità è qualcosa che si costruisce e le persone felici sanno costruire dentro di sé ciò che gli manca e gli è sempre mancato fuori. Ma da dove iniziare? Vediamo quali sono i miei personalissimi 10 psicoesercizi che possono portarti sulla strada della felicità e dare una svolta concreta alla tua vita.

1. Le prime volte non contano

Partirò con una regola facile da applicare e che può tornare utile a tutti. Chi ha alle spalle un vissuto difficile tende a pretendere molto, anzi troppo, da sé. Anche se in modo inconsapevole, si aspetta performance eccellenti e spesso è questa aspettativa nascosta a inibirlo. In pratica, chi ha un passato difficile, si preclude molte possibilità perché ha paura di non dimostrare il proprio valore, anzi, di più, ha paura di scoprire che quel valore non c’è. Sappi che quel valore c’è, eccome, sei tu che non gli dai modo di esplodere. Allora vediamo come fare.

Se sei bloccato in una fase della tua vita e non riesci a uscirne, vorresti fare quel passettino in più ma ti senti frenato, questa semplice regola può esserti utile. Cosa dice questo precetto: le prime volte non contano.

Siamo così abituati a condannare ogni minimo errore che non concediamo a noi stessi il lusso di provarci. La regola che “i primi tentativi non contano” puoi applicarla a te e anche agli altri (chi pretende troppo da sé, finisce per essere severo anche con gli altri). Le prime volte che provi a fare qualcosa (oppure se hai già provato, considera “a partire dalle prime volte in cui ci provi consapevolmente”) sappi che fanno parte del trainer, sono solo un allenamento, una sorta di prova per consentirti di familiarizzare. Familiarizzare con l’ambiente, con le tue emozioni, con ciò che ti circonda, con il contesto…

Allora non aver paura delle figuracce, di deludere o di deluderti, non temere i tentativi mal riusciti… Ogni tentativo che ti concedi a cuor leggero sarà un successo perché avrà modo di insegnarti qualcosa. Ti avrà fatto crescere. Allora vai, sbaglia, commenti errori, fallisci e fallisci ancora. Dopo i primi tentativi in cui ti sarai concesso il lusso dell’errore, le cose andranno decisamente meglio! Le prime volte non contano. Servono solo per fare esperienze.

2. Afferma la tua identità

Quando un bambino rimane senza identità, per il resto della sua vita, cercherà se stesso negli altri senza mai trovarsi. Continuerà a smarrirsi, continuerà a cercare all’esterno ciò che non ha potuto costruire dentro di sé, con il costante rancore di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Il genitore guarda il bambino che ha in braccio, e il bambino guarda il viso del genitore e vi si ritrova… a patto che il genitore guardi davvero quell’essere unico, piccolo, indifeso e non proietti in lui le proprie aspettative, paure e ambizioni. In questo caso, nel volto del genitore il bambino non ritroverà mai se stesso ma solo il peso delle aspettative altrui e, non potendo mai conoscere se stesso, è di queste che vivrà.

Quando il bambino rimane senza un’identità, per il resto della sua vita cercherà uno specchio invano. Cercherà se stesso negli altri senza mai trovarsi, continuerà a smarrirsi, continuerà ad allontanarsi da sé. Vivrà di riflessi senza mai sapere chi è, sospirerà e vivrà di rancori e rimorsi per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Al posto dell’identità si ritroverà a fare i conti con un pozzo di dolore, un pozzo che neanche il mondo basterebbe a riempire.

La soluzione a questo mal di vivere c’è. Basterebbe liberarsi degli specchi. Cerchiamo le cose giuste (noi stessi, la nostra affermazione personale, la nostra identità di persone complete…)… ma spesso speriamo di trovarle nei luoghi sbagliati: negli altri. Non possiamo vivere o affermarci attraverso gli altri. Possiamo e, anzi, dobbiamo, imparare a specchiarci in noi stessi perché solo lì ritroveremo il nostro valore, un pezzetto alla volta.

3. Non paragonarti agli altri

Te l’ho già detto in premessa. Il cammino per la felicità per ognuno di noi è diverso. Il motivo? Ognuno di noi ha un punto di partenza differente, una linea del via invisibile. C’è chi parte esattamente alla linea di start, chi ben oltre quella linea e chi, purtroppo, parte a molti chilometri di distanza, più indietro. Ci vuole un bel balzo per arrivare semplicemente alla partenza. Allora è naturale che tutti sembrano “più avanti di te”. Si parla molto di meritocrazia ma in realtà questo concetto avrebbe senso solo in presenza di pari opportunità. E qui potremmo dire tantissimo: disparità economiche, sociali e, non in ultimo, grosse differenze psicoaffettive.

Ognuno di noi ha un cammino diverso. Perché vuoi paragonare il tuo, così unico e speciale, a quello degli altri? Se vuoi fare dei paragoni, guardati indietro e vedi da dove sei partito. Se non ti piace la “distanza” percorsa, allora rimboccati le maniche. Ti riporto un’aforisma «se mai dovessi aver bisogno di una mano che ti aiuti, ne troverai una alla fine del tuo braccio». Quella mano è troppo sottovalutata! Sappi che puoi fare per te stesso molto di più di ciò che stai facendo. Scommetto che quando ti impegni a fare qualcosa per una persona a cui tieni sei un vero portento! Ma quando si tratta di te…. è lì che iniziano le carenze. Allora è da lì che hai bisogno di ripartire.

4. Riparti da te stesso

Allontanati dai luoghi dell’abbandono, del rifiuto, del disamore e delle gioie negate. Allontanati da quei luoghi che non ti appartengono più e che alimentano costantemente le tue ferite, le tue paure e insicurezze. Prenditi per mano, conduci te stesso in luoghi mai visti, posti inediti e meravigliosi in cui meriti di stare. Vai lì dove l’autoaccudimento e l’amore di sé abbondano. Lì dove il tuo valore è davvero indiscusso, dove la libertà di esprimere chi sei e soddisfare i tuoi bisogni non è un lusso ma normalità quotidiana (come dovrebbe essere!).

5. Accettare il dolore

Sembra un ossimoro ma è così, la via per la felicità ha questa tappa obbligata. Accettare il proprio dolore. Accettare il dolore spesso significa mettere in dubbio tutto, guardare in faccia verità scomode, come il peso del disamore, dell’incuria e dell’essere stati abbandonati a se stessi. Sapere che la persona che più di tutte avrebbe dovuto amarci e proteggerci, non solo non l’ha fatto ma ci ha anche ferito, ci ha anche fatto del male, è una verità scomoda da elaborare ma quando ci riuscirai e l’avrai sviscerata nel profondo, non ti terrà più in trappola.

6. Lasciali andare

Quando ci sarai riuscito, quando avrai elaborato nel profondo tutta la sofferenza, allora ci riuscirai, li lascerai andare. Lascia che si allontanino da te, lascia che tu ti allontani da loro. Parenti, amici, vicini o lontani. Sappi che per quanto tu possa sforzarti di spiegare, per quanto tu possa mostrare il tuo dolore, il tuo disappunto, il tuo valore… loro non capiranno mai. Non capiranno mai chi sei veramente -perché non vogliono guardarti- non capiranno mai quanto male ti hanno fatto -perché non vogliono guardarsi-. Questa è la consapevolezza più difficile da elaborare per chi è stato profondamente ferito proprio da chi avrebbe dovuto amarlo e proteggerlo. Ricorda, in ogni momento, puoi costruire la tua emancipazione affettiva, puoi ripartire da te e meriti di farlo!

7. Chiedi scusa a te stesso

«Chiedo scusa a me stessa per averti lasciato decidere quale fosse il mio valore». Potrebbe anche essere «chiedo scusa a me stesso per non aver rispettato il mio corpo», oppure «mi chiedo scusa perché ho sempre messo gli altri al centro e mai me»… i motivi per chiederci perdono sono tantissimi e costituiscono il primo passo per l’autoaccudimento. Mostrandoci compassionevoli con noi stessi ci diamo ciò che non abbiamo mai davvero sperimentato fuori: comprensione e accettazione. Il bisogno di essere compresi, accolti e accettati sono bisogni umani, legittimi. Per essere felice, parti col soddisfare questi tre semplici bisogni. Se ci riesci, sappi che la felicità potrebbe essere davvero dietro l’angolo.

Per approfondire la conoscenza di te stesso e costruire solidamente ciò che non puoi trovare fuori, ti consiglio la lettura del libro bestseller «d’Amore ci si ammala, d’Amore si Guarisce», lo trovi in tutte le librerie o su amazon. Non farti ingannare dal titolo, si tratta di un viaggio introspettivo dentro se stessi per costruire quei luoghi inediti e inesplorati in cui meriti di vivere. La felicità non è qualcosa che arriva all’improvviso, è qualcosa che si costruisce… non importa quanto lontano dalla linea di “start” ti trovi, la meriti e la puoi avere.

Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicologia
Autore dei bestseller «Riscrivi le pagine della tua vita» e «d’Amore ci si Ammala, d’Amore si Guarisce», Rizzoli – Mondadori.
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