Le conseguenze dello stress su corpo e mente

| |

Author Details
L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.
stress
Lo stress e il binomio mente-corpo

La parola stress, la cui diffusione risale ai primi anni del ‘900, viene utilizzata frequentemente ed il suo significato viene ricondotto a degli stili e dei ritmi di vita caotici. Cos’è lo stress?

Per stress si intendono un insieme di fenomeni vegetativo-emotivi, cognitivi e comportamentali, i quali tendono a presentarsi in modo congiunto, nonostante ci siano delle differenze individuali e soggettive, quando un individuo è sottoposto a qualunque compito di natura adattiva.

Stress funzionale e stress da esaurimento psicofisico

Lo stress viene considerato una reazione funzionale al mantenimento dello stato di equilibrio omeostatico organismo-ambiente; tuttavia, diventa problematico quando questa risposta è stata sollecitata troppo a lungo o in modo troppo intenso. Queste condizioni determinerebbero un’alterazione delle capacità di adattamento e l’eventuale presenza di una sorta di esaurimento psicofisico.

Quindi lo stress è il risultato della relazione organismo-ambiente e l’attivazione di specifiche risposte psicofisiologiche, che in alcuni casi potrebbero essere problematiche per chi li mette in atto. Esistono vari tipi di stress:

  • fisici: riguardano l’esposizione prolungata a condizioni di rumore, inquinamento, a temperature estreme e/o richiesta all’organismo di sforzi eccessivi a cui non è preparato
  • psicosociale: riguarda tutte quelle situazioni in cui l’esigenza alla quale rispondere viene posta dal contesto sociale dei rapporti umani in cui si è immersi, oppure viene autoimposta.
  • acuti: riguardano quegli avvenimenti improvvisi e di breve durata della vita, siano essi blandi anche se frequenti (multa, oggetto perduto, etc.), o più gravi, ma meno frequenti (trasferimento, separazione, lutto).
  • cronici: sono tutte quelle condizioni persistenti (come conflittualità col coniuge, con il capo etc.) e d’intensità molto prolungata. Gli stress cronici sono molto peggiori di quelli acuti e meno sopportabili, anche se, in alcuni casi, lo stress acuto può trasformarsi in stress cronico (ad esempio, il disturbo post-traumatico da stress).
  • negativo (distress): situazioni valutate dal soggetto come negative e le cui conseguenze sono considerate minacce.
  • positivo (eustress): sono situazioni che, sebbene richiedano uno sforzo di adattamento maggiore del solito, sono tali che lo sforzo viene inteso come un impegno, una sfida.

Sin da quando si è iniziato a studiare e successivamente ad elaborare delle teorie, la parola “stress”, viene utilizzata non solo per alludere agli eventi stressanti ma anche per le risposte psicofisiologiche messe in atto dall’individuo nei confronti di questi eventi e altri sul processo di cambiamento tra uomo e ambiente che dall’evento arriva alla risposta organica.

Pertanto, a partire da queste considerazioni, lo stress, può essere percepito in tre modi:

  • come risposta;
  • come stimolo;
  • come transizione.

Lo stress come Risposta

Lo studioso Cannon, ha approfondito il concetto di “Costanza dell’Ambiente Interno” ed ha utilizzato il termine “omeostasi”, intesa come la presenza di un equilibrio interno nell’organismo, mantenuto da un insieme di processi biochimici complessi. Ogni cambiamento che proviene dall’ambiente esterno, produce nell’individuo un insieme di risposte fisiologiche che hanno l’obiettivo di ripristinare l’omeostasi.

Cannon, inoltre, è stato il primo a studiare la relazione tra emozioni e specifiche reazioni fisiologiche, il cui obiettivo è quello di aumentare le probabilità di sopravvivenza del soggetto di fronte ad una minaccia.
Secondo lo studioso, paura e rabbia sono due emozioni che sollecitano due tipi di comportamenti; la prima, produce nell’individuo la reazione di scappare, la seconda di attaccare; Cannon ha definito questi due comportamenti come “risposta di lotta-fuga”.

Questa risposta, elicita anche delle reazioni a livello fisiologico, perchè permette al soggetto di assimilare le risorse necessarie tese o all’attacco o alla fuga. A livello fisiologico, si assiste all’attivazione del sistema nervoso simpatico e all’inibizione del parasimpatico.

Gli studi di Cannon, furono ulteriormente approfonditi da Selye. Lo studioso ha osservato che tutti gli animali, a cui veniva sottoposto uno stimolo stressante (stressor), mettevano in atto la stessa risposta indipendentemente dalle caratteristiche degli stimoli stressanti. La risposta messa in atto dagli animali di fronte agli stressors è stata definita da Selye “stress”.

L’esposizione agli stressors produce delle risposte fisiologiche, che sono provocate dall’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene; questa condizione viene definita dall’autore “Sindrome Generale di Adattamento” (GAS).

Sindrome Generale di Adattamento

La GAS (sindrome generale di adattamento) consta di tre fasi.

La fase di allarme, in questa prima fase, il corpo si impegna totalmente a richiamare tutte le forze e le energie per far fronte allo stressor nel migliore dei modi.

La principale reazione interna è la produzione di adrenalina (catecolamine) con conseguente aumento del battito cardiaco: il corpo si prepara alla classica risposta “combatti o fuggi”, dominata dal nostro istinto di sopravvivenza. Il nostro corpo percepisce una novità, ma come tale la interpreta come possibile pericolo reagendo di conseguenza: in questo caso il protagonista è sicuramente l’ipotalamo.

Questa importante area dell’encefalo agisce attraverso tre vie:

  • secrezione di cortisolo, adrenalina e noradrenalina (aumento pari anche a 10 volte il normale)
  • produzione di antidolorifici naturali del corpo, le betaendorfine, che innalzando la soglia del dolore permettono di sopportare meglio traumi, sforzi e tensioni emotive
  • attraverso il sistema simpatico inibizione del funzionamento dell’apparato digerente e stimolazione di altri sistemi come quello vascolare, muscolare liscio e ghiandolare

La fase di resistenza o adattamento, in questa fase l’organismo si adegua alle nuove circostanze e cerca di resistere finché l’elemento stressante non scompare.

In questa fase di resistenza abbiamo la sovrapproduzione di cortisolo che causa un indebolimento delle difese immunitarie, arrivando fino alla loro soppressione: questo inizialmente non causa problemi, ma nel lungo periodo con uno stress cronico rende molto più probabile l’attecchimento di molte malattie virali, batteriche e si pensa anche autoimmuni come l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla.

La fase dell’esaurimento, quella conclusiva, assicura al corpo il riposo necessario per rimettersi completamente; in genere comincia quando l’organismo percepisce il pericolo come finito o quando le energie cominciano a venir meno.

Quando la fase di resistenza termina, si possono presentare due casi:

  • le energie non sono esaurite del tutto e la persona avverte la fase di esaurimento come un torpore benefico rilassante, con una sensibile sensazione di debolezza e lassità (come dopo una competizione o un rapporto sessuale)
  • la fase di resistenza è durata troppo e l’esaurimento è dovuto alla completa mancanza di energie, con periodi di recupero lunghi e debilitanti (anche depressivi).

Biochimicamente parlando abbiamo un calo repentino degli ormoni surrenalici (adrenalina, noradrenalina e cortisolo) e la rapida diminuzione delle riserve energetiche.

In sostanza ci troviamo davanti a un’azione depressiva contraria a quella da resistenza che tenderà a riportare il corpo nella condizione precedente allo stress e quindi in equilibrio (il sistema parasimpatico calmante prende il posto di quello simpatico).

Importante è ricordare che molte volte quando il soggetto diventa stress-dipendente, arrivando a vivere fasi di resistenza prolungatissime, può sentire la necessità impellente di utilizzare sedativi, alcool, fumo e altri mezzi per passare artificialmente alla fase di esaurimento e permettere al proprio corpo di riposarsi.

Lo stress secondo la prospettiva dello Stimolo

Lo stress, secondo la prospettiva “dello stimolo”, viene considerato come uno o più eventi di vita che producono un’attivazione psicofisiologica, che predispongono l’individuo a sviluppare una malattia. È possibile distinguere gli eventi stressanti esterni ed interni.

Gli eventi stressanti (ad esempio lutti, catastrofi, perdite improvvise) che si presentano nella vita del soggetto, sono dei cambiamenti che producono una reazione.

Gli eventi stressanti interni, hanno una radice psicologica e sono, per esempio: bassa autostima, assenza di energia, etc.

Lo stress come Transizione

Questo modello si contrappone a quanto è stato esposto in precedenza, in quanto è stato osservato che gli individui non mettono in atto la stessa risposta di fronte ad uno o più stressors.

Secondo Lazarus, l’attribuzione ad un evento come minaccioso dipende dall’individuo; il soggetto valuta ed interpreta cognitivamente gli eventi che si manifestano nell’ambiente, decidendo e decretando se tale evento è minaccioso o meno.

Il modello che è stato elaborato da Lazarus e Folkman enfatizza i processi cognitivi che si attivano quando si presenta un evento potenzialmente stressante e i processi fisiologici che si attivano in risposta a tale evento.

La valutazione cognitiva è sottesa a due processi: primaria e secondaria. Durante la valutazione cognitiva primaria, l’individuo attribuisce un significato ad un evento, la gravità di un evento e gli attribuisce una connotazione (positiva o negativa all’evento). Nella valutazione cognitiva secondaria, l’individuo ricerca la risposta più adatta da mettere in atto per fronteggiare lo stress.

Oltre le fasi che sono state appena annoverate e descritte, ne esiste una terza che è definita “re-appraisal”, che consiste nell’analisi delle strategie usate per fronteggiare gli stressors, e valuta se esse siano state efficaci o se è necessario utilizzarne altre.

Da queste considerazioni, per concludere, è possibile affermare che lo stress si sviluppa nell’interazione tra la persona e l’ambiente circostante.

Gli effetti dello stress nell’individuo

Lo stress varia da persona a persona e variano anche le cause ad esso legate, può infatti essere causato da disturbi legati al sonno come dall’eccesso lavoro, dalle troppe responsabilità, da un momento emotivo o psicologico debole, da periodi intensi o da un evento traumatico. I fattori di stress che possono determinare conseguenze fisiche e psicologiche sono recepiti in maniera diversa a seconda dell’individuo.

I sintomi fisici possono derivare da perturbazioni da parte dell’inconscio, come ad esempio un’incidente d’auto o un infortunio. In questi casi la mente può sfruttare l’occasione dell’incidente al fine di sviluppare il dolore che ha una funzione per l’individuo come sollevarlo da una situazione di lavoro difficile. Attraverso la simulazione e lo studio di un incidente stradale è stato dimostrato che il 10% dei partecipanti aveva dolore al collo 4 settimane dopo “l’incidente” anche se il collo non era stato chiamato in causa durante la dinamica. Coloro che avevano più probabilità di sviluppare dolore al collo erano quei soggetti sotto stress o con pressione emotiva più forte al momento del sinistro. Invece, i conducenti di auto da demolizione che hanno una media di oltre 150 scontri per gara raramente sviluppano dolore cronico al collo.

Inoltre, l’inconscio è collegato a quei sintomi che fanno parte del nucleo familiare, per esempio cefalea e dolori addominali o sintomi citati in riviste, programmi televisivi.

Un altro meccanismo scatenante lo stress è legato agli eventi passati. Per esempio, un soggetto che ha avuto un infortunio in una zona specifica del corpo ha più probabilità di sviluppare dolore psicogeno in quel punto, in quanto il modello neurologico del dolore e della sensibilizzazione nervosa è stato riprodotto in passato ed è ricordato dal cervello.

Infine, alcuni sintomi sono rappresentativi e associati ad un processo psicologico chiaro, come un uomo che sviluppa dolore all’inguine dopo aver avuto una relazione extraconiugale, una donna che sviluppa dolore ai piedi dopo il lutto della madre… Sembra che la mente inconscia sia in grado di produrre sintomi fisici in momenti di grande stress come meccanismo di uscita o fuga per via dell’accumulo di emozioni inaccettabili che non hanno sbocco.

Come gestire lo stress

La capacità e la consapevolezza di saper gestire il proprio ambiente (fisico e sociale) contribuisce ad un miglior recupero psicofisico migliore in seguito ad uno stress.

Dal punto di vista psicologico, la capacità di fronteggiare lo stress consiste nel:

  • saper riconoscere il proprio stato di stress;
  • risalire alle cause che provocano le tensioni nella vita quotidiana.

Per gestire lo stress e per tornare ad uno stato di benessere psicofisico è necessario riconoscere le cause di tensione e di stress della vita quotidiana e delle situazioni eccezionali che la vita ci pone. Gestire lo stress significa trovare strategie per modificare lo stato in cui ci troviamo, intervenendo sull’ambiente oppure su noi stessi, modificando:

  • i pensieri
  • le emozioni
  • le azioni
  • le nostre reazioni abituali.

Il Pensiero Creativo potrebbe essere un’ottima soluzione per gestire lo stress; molti tendono ad associarlo ad artisti, bambini e, quindi, a coloro i quali “si possono permettere di sognare o fantasticare”.

In realtà, il pensiero creativo serve per pensare ad alternative possibili, avere idee originali per trovare soluzioni, uscire da situazioni difficili o da schemi comportamentali che ci bloccano. In questo contesto la creatività diventa sinonimo di:

  • Abilità nel trovare alternative
  • Curiosità
  • Idee originali
  • Autorevolezza e personalità
  • Varietà di interessi

Così definito, il pensiero creativo è molto utile nella soluzione dei problemi, nella presa di decisioni, permette di trovare alternative originali nelle situazioni difficili e può rappresentare un ottimo antidoto allo stress.

Oltre al pensiero creativo, un’ottima strategia per fronteggiare lo stress potrebbe essere quella di scrivere un diario ed annotare tutte le sensazioni che si percepiscono, per far si che il foglio diventi un contenitore in grado di “con-tenere” tutto ciò che viene scritto.

Altre strategie per fronteggiare lo stress potrebbero essere lo yoga, la mindfullness e l’attività fisica; queste attività aiutano a scaricare e favoriscono il benessere psicofisico.

Un aspetto su cui porre enfasi riguarda la consapevolezza delle nostre reazioni abituali per fronteggiare lo stress, in quanto possiamo capire quali tra queste sono d’aiuto e quali aggravano la nostra condizione di stress. Sono stati individuati tra fattori che contribuiscono all’adeguata gestione dello stress, essi sono:

  • l’esprimere le proprie emozioni
  • l’essere attivi
  • il pensare positivamente

Un’ulteriore strategia per gestire lo stress in modo efficace, potrebbe essere quella di fare esercizi di rilassamento.

Esercizi di rilassamento per gestire lo stress

Ascolta il tuo corpo – Prenditi il tempo di passare in rassegna il tuo stato fisico (Bastano pochi secondi) dai piedi alla testa.

Prendi consapevolezza di dove sono situate le tensioni o i punti più rilassati, dove senti fastidio o dove senti buone sensazioni e cerca di capire se ci sono eventi o stati d’animo che producono tali sensazioni a livello fisico. I segnali del corpo sono un primo campanello di allarme dello stress.

Un altro esercizio che potrebbe alleviare la condizione di stress è l’ “Esercizio della calma” (adatto anche per i bambini). Mantenere la calma aiuta a essere pronti a risolvere i problemi e a gestire quei momenti in cui ci si sente spaventati, infastiditi o agitati. Ecco 4 semplici passi:

  1. Dì a te stesso:
    “Fermati e guardati intorno”
    “Stai calmo”
  2. Inspira profondamente e lentamente dal naso contando fino a 5
  3.  Trattieni il respiro contando fino a 2
  4. Espira lentamente dalla bocca contando fino a 5

Ripeti tutto fino a quando non ti senti calmo.
NB: l’esercizio deve essere praticato e imparato prima che ce ne sia bisogno, non si può imparare quando non si è calmi.

Gestire lo stress con l’aiuto dell’osteopatia

Studi effettuati nel 2011 sul sistema nervoso autonomo hanno evidenziato come dei soggetti avessero l’attività di alcune aree del cervello alterate, le quali erano deputate alla modulazione del dolore e alla reazione allo stress.

Questa condizione migliorava in seguito a specifici trattamenti osteopatici, con riduzione dei seguenti livelli: riduzione dei livelli di cortisolo nel sangue, i soggetti accusavano meno dolori e un conseguente miglioramento della loro qualità di vita e cambiamento di risposta allo stress.

L’osteopata può usufruire di diversi approcci per contrastare lo stress.

Agendo con tecniche che stimolano la fluttuazione del liquor (liquido cefalo rachidiano) e tecniche che andranno a stimolare\inibire l’ipofisi e il suo ormone ACTH (approccio cranio-sacrale).

Linfatico, eseguendo un drenaggio linfatico sia a livello cranico, sia a livello corporeo, per far si che vengano eliminate le scorie accumulate a causa dello stress.

Fasciale, agendo sul tessuto connettivo (che riveste gran parte del nostro corpo) si otterrà un effetto su quelle strutture che ricoprono muscoli e periostio, altamente innervate e vascolarizzate.

Digito-pressione, tramite la stimolazione dei riflessi neurolinfatici di Chapman, ovvero dei riflessi viscero-somatici. Inoltre, è stato visto come la stimolazione del nervo vago (detto anche pneumogastrico il quale rappresenta il X paio dei nervi cranici) possa giovare dei benefici al paziente con disturbi da stress.

Il ruolo del nervo vago per alleviare lo stress psicofisico

Nel 2003, Kappler e Ramey hanno documentato che il nervo vago aveva ampie interconnessioni con i nervi cranici e il segmento vertebrale C2. Hanno inoltre indicato che il nervo vago era responsabile del dolore riferito e dei riflessi parasimpatici, compresi i mal di testa posteriori riferiti dalla gola, dai polmoni, dal cuore o dall’intestino.

Il nervo vago è così chiamato perché ha molteplici ramificazioni che si differenziano da due steli radicati nel cervelletto e nel sistema cerebrale, e si irradiano, “vagando”, fino ad attraversare torace ed addome. Il nervo vago è collegato al sistema nervoso parasimpatico, che stimola la quiete, il rilassamento, il riposo, la digestione e l’immagazzinamento di energia.

Nel 1921, Otto Loewi scoprì che la stimolazione del nervo vago provoca una riduzione della frequenza cardiaca, innescando il rilascio dell’acetilcolina, che è un tranquillante che si può produrre nel corpo semplicemente respirando profondamente.

L’infiammazione di questo nervo è collegata a diversi disturbi quali: la nausea, il vomito, le vertigini, il mal di testa, dei problemi alla vista, i formicolii su tutto il corpo, le parestesie agli arti, l’intorpidimento muscolare, il dolore e rigidità cervicale, artrosi, i disturbi della deglutizione, l’acidità di stomaco, i crampi addominali, la tachicardia, abbassamento della pressione arteriosa, difficoltà respiratorie. Anche un’alimentazione ricca di grassi può compromettere la condizione del nervo.

Il nervo vago, o nervo pneumogastrico, è un nervo cranico che appartiene al sistema parasimpatico e si estende dall’encefalo fino alla cavità addominale. Questo nervo, infatti, fuoriesce dal midollo, passa attraverso il collo e il torace e raggiunge l’addome ed è fondamentale perché si dirama verso gli organi principali del corpo: laringe, faringe, trachea, cuore, polmoni e parte dell’apparato digerente ed urinario.

Proprio perché passa attraverso diversi organi, questo nervo ha molteplici funzioni e la sua infiammazione può essere dovuta a varie cause. Il nervo è fondamentale perché viene coinvolto nei movimenti di restringimento dei bronchi e del rallentamento della frequenza cardiaca, aiuta a stimolare la produzione dell’acido gastrico e quindi per la digestione.

Autori:
Santina Claudia Micieli, Psicologa Clinica
Danilo Rubino, osteopata D.O.m.R.O.I.
Se ti è piaciuto questo articolo puoi seguirci su Facebook: sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor.
Puoi anche iscriverti alla nostra newsletter per ricevere i nostri aggiornamenti