Nella nostra cultura emotiva, il dolore spesso non ha un posto legittimo. Cresciamo imparando a essere forti, composti, efficienti. Veniamo lodati quando non piangiamo, quando “ci passiamo sopra”, quando sembriamo andare avanti come se niente fosse. Ma sotto questa superficie levigata, qualcosa si muove. Una frattura interna, spesso invisibile, continua a lavorare in silenzio. Freud lo sapeva bene.
Nella sua frase più celebre e crudele nella verità che racchiude, Freud ci avverte: ciò che reprimiamo non svanisce. Al contrario, diventa più forte. Le emozioni che mettiamo a tacere — per paura, vergogna o sopravvivenza — non si dissolvono. Si seppelliscono, sì. Ma non muoiono. Aspettano solo il momento, o il sintomo, per riaffiorare. E spesso tornano in forme più complesse, meno leggibili, più distruttive.
Questo articolo vuole esplorare quel territorio sommerso. Parleremo di cosa significa reprimere, di cosa accade nel corpo e nella mente quando un’emozione viene ignorata, di come si manifesta il “ritorno del rimosso”, e soprattutto di come possiamo riconoscere e guarire queste ferite profonde prima che si trasformino in malessere cronico, somatizzazioni, disturbi relazionali o collassi emotivi.
Cos’è la repressione? Il meccanismo che protegge… ma ammala
Freud distingueva tra rimozione e repressione, ma nel linguaggio comune i due termini si sovrappongono. In entrambi i casi, parliamo di meccanismi di difesa inconsci, attivati per proteggerci da un’emozione considerata “troppo” — troppo dolorosa, troppo dissonante con l’immagine che abbiamo di noi stessi, o troppo pericolosa per l’ambiente in cui viviamo.
Un bambino che si sente abbandonato da un genitore ma non può permettersi di perdere quell’affetto, imparerà a non sentire la rabbia o la tristezza. A livello psichico, l’emozione viene rimossa dalla coscienza e “archiviata” in un piano più profondo. A livello corporeo, però, quella stessa emozione continua a esistere sotto forma di tensione, di allerta, di contrazione muscolare o attivazione neurovegetativa.
La repressione non è una semplice dimenticanza. È un vero atto psichico attivo, che richiede energia per tenere l’emozione fuori dal campo della coscienza. Ma più energia investiamo per tenerla giù, più quel contenuto psichico tende ad accumulare forza. E prima o poi, chiederà di tornare alla luce.
Dove vanno le emozioni che reprimiamo?
La mente non è una lavagna su cui si può cancellare e riscrivere a piacimento. È più simile a un archivio vivente, in cui ogni emozione, anche la più fugace, viene registrata. Ma se un’emozione non può essere vissuta nel momento in cui emerge — ad esempio perché è inaccettabile socialmente o affettivamente — essa viene deviata. Dove va?
- Nel corpo: tensioni croniche, dolori ricorrenti, disturbi psicosomatici come gastrite, dermatite, cefalee.
- Nel comportamento: esplosioni di rabbia immotivata, ansia generalizzata, crisi di pianto senza causa apparente, compulsioni o sintomi fobici.
- Nella relazione: meccanismi di proiezione, sabotaggio affettivo, attrazione per relazioni dolorose, bisogno costante di approvazione.
Secondo la psicoanalisi, il rimosso cerca sempre una via per tornare alla coscienza, anche se sotto mentite spoglie. E spesso lo fa proprio quando ci sentiamo più “stabili”, perché è allora che il sistema di difesa si allenta.
La neurobiologia conferma: il corpo registra tutto
Negli ultimi decenni, le neuroscienze hanno confermato molte intuizioni freudiane. In particolare, studi sul sistema limbico e sul ruolo dell’amigdala mostrano che le emozioni vissute (o non vissute) vengono comunque codificate come memorie implicite.
Quando un’emozione viene repressa, il cervello non “cancella” l’esperienza: ne conserva la traccia, soprattutto nella memoria somatica. Il corpo ricorda, anche se la coscienza dimentica. E a ogni stimolo vagamente associato all’emozione originaria, il sistema nervoso può reagire in modo sproporzionato.
È per questo che spesso scattiamo per cose minime, o ci sentiamo devastati da eventi apparentemente banali: il nostro corpo sta rispondendo a qualcosa di antico, che non abbiamo mai davvero elaborato.
Esempi concreti: come il rimosso ritorna
Quando reprimiamo un’emozione, non la cancelliamo: la dislochiamo. È come se la spostassimo in un angolo remoto della nostra interiorità, illudendoci che l’abbiamo superata semplicemente perché non la sentiamo più in modo cosciente. Ma la psiche non funziona come una stanza che si può chiudere a chiave. Piuttosto, è un sistema vivo, interconnesso, che continua a elaborare — anche in assenza della nostra volontà.
Le emozioni represse si annidano nei sogni, si insinuano nei sintomi corporei, si travestono da ansie e da rabbie che non comprendiamo. Non si ripresentano mai in modo limpido e lineare, ma entrano dalla porta di servizio: quella del comportamento, della reazione automatica, del disagio immotivato.
Freud lo definiva ritorno del rimosso: ciò che non è stato mentalmente elaborato, ciò che è stato scartato dalla coscienza per motivi difensivi, ritorna più tardi sotto forma di segnali oscuri e indiretti. È il modo in cui l’inconscio bussa alla porta della nostra attenzione: non per farci del male, ma per chiederci finalmente ascolto.
Vediamo ora alcune delle manifestazioni più comuni attraverso cui queste emozioni sepolte trovano il modo di emergere, spesso senza che ne comprendiamo l’origine. Conoscerle ci aiuta a decifrare i messaggi che la nostra interiorità ci sta inviando — spesso da molto, molto tempo
- Il perfezionismo estremo: può nascondere una ferita profonda legata all’umiliazione o al disamore. “Se sarò perfetto, nessuno potrà più ferirmi.”
- La rabbia immotivata: spesso è il ritorno di una rabbia antica, mai espressa verso chi ci ha feriti da piccoli. Riappare nelle relazioni intime, dove ci sentiamo più vulnerabili.
- L’ansia cronica: può essere un’emozione repressa che non ha mai avuto un contenitore affettivo. Il sistema nervoso resta in stato di allerta permanente.
- Il bisogno di controllo: può mascherare una paura originaria del caos relazionale, della disconnessione o del rifiuto.
- La depressione latente: è spesso una “rabbia rivolta contro di sé”. Un’emozione che non ha trovato legittimazione fuori, e che viene rivolta verso l’interno.
Perché le emozioni represse tornano “in forme peggiori”
Freud parlava di ritorno del rimosso in termini simbolici e clinici. Un’emozione repressa non torna mai esattamente come l’abbiamo sentita. Torna trasformata, più potente, più difficile da decifrare. Ma perché accade questo?
- Perché ha perso il suo contesto originale: non sappiamo più “da dove viene” quella sensazione, quindi ci sentiamo impotenti.
- Perché è cresciuta nell’ombra: più a lungo reprimiamo un contenuto, più energia psichica investiamo nel tenerlo giù. Quando riaffiora, è carico di tutta la tensione accumulata.
- Perché si è legato ad altre esperienze: ogni emozione repressa si intreccia con eventi successivi che le assomigliano, amplificandone l’effetto.
- Perché il nostro Io non è più preparato: l’emozione arriva in un momento in cui pensavamo di essere “oltre”, cogliendoci alla sprovvista.
Come si guarisce da ciò che non si è mai vissuto fino in fondo?
La guarigione comincia nel momento in cui smettiamo di avere paura di sentire. Sembra semplice, ma è il lavoro di una vita. Chi è abituato a reprimere ha bisogno di:
- Uno spazio sicuro: dove le emozioni possano emergere senza giudizio. La psicoterapia è, in questo senso, una culla emotiva.
- Una funzione riflessiva esterna: qualcuno che sappia nominare, contenere, restituire senso. Questo è il ruolo dell’“altro sufficientemente buono”.
- Un tempo lento: le emozioni represse hanno bisogno di tempo per essere riattraversate senza che si attivi subito il meccanismo di difesa.
- Una nuova narrazione di sé: non siamo solo le cose che ci sono accadute, ma anche la possibilità di riscriverle con nuovi significati.
Il ruolo del sintomo: quando il corpo chiede attenzione
In molti casi, è il corpo a farsi portavoce di ciò che non è stato elaborato. I sintomi — fisici, psichici o comportamentali — sono linguaggi sostitutivi. Il corpo dice quello che la mente ha taciuto.
Freud definiva il sintomo come una formazione di compromesso tra l’Io e l’inconscio. È un messaggio cifrato, che va decodificato. Non va combattuto o cancellato, ma ascoltato. Perché dietro ogni sintomo c’è sempre una storia che ha bisogno di essere ascoltata, non negata.
Guarire è ricordare con il corpo e accogliere con la mente
Le emozioni represse non muoiono. Restano nel corpo, aspettano nei sogni, si nascondono nei silenzi. Ma soprattutto, si ripresentano ogni volta che ci avviciniamo troppo alla verità di noi stessi. Guarire, allora, significa lasciar emergere. Dare nome a ciò che non ha mai potuto essere detto. Offrire uno spazio nuovo a ciò che, fino a ieri, era stato solo dolore muto.
Questa è la psicoanalisi più autentica. Ma è anche un cammino che ognuno può iniziare, lentamente, dentro di sé. A piccoli passi. Riconoscendo che non è debolezza sentire, ma potenza. Che non è pericoloso ricordare, ma vitale. Che ogni emozione repressa è, in fondo, un pezzo di noi che ha atteso troppo a lungo di essere abbracciato.
Nel mio libro Il mondo con i tuoi occhi, ho voluto dare voce proprio a quelle parti silenziose che abitano ognuno di noi. A quei frammenti emotivi mai ascoltati, ma ancora vivi. Perché ogni guarigione comincia da uno sguardo nuovo. E perché la nostra storia può essere riscritta — non per cancellare il passato, ma per permettergli finalmente di trasformarci, non di definirci. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon
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Ti aspetto lì per continuare il viaggio.