Ma cosa accade davvero nel profondo? Perché il nostro cuore sembra ricordare una modalità relazionale che ci fa soffrire? La risposta spesso non si trova nel presente, ma in un passato che pulsa ancora in noi, silenzioso e potente. È nel modo in cui siamo stati amati — o nel modo in cui siamo stati ignorati — che si scrivono i copioni relazionali che poi, da adulti, inconsciamente replichiamo.
Accudimento e innamoramento: due facce della stessa medaglia affettiva
L’essere umano nasce con un bisogno fondamentale: essere visto, accolto, contenuto. Nei primi anni di vita, il cervello del bambino si sviluppa in stretta connessione con il modo in cui viene accudito. I gesti, i ritmi, le parole, la prevedibilità o l’incoerenza dell’adulto — tutto viene registrato, non solo nella memoria cosciente, ma nel sistema nervoso.
Questa esperienza precoce non solo costruisce l’idea di sé (“quanto valgo?”, “posso essere amato così come sono?”), ma crea anche le fondamenta di ciò che, più avanti, chiameremo amore. Il modo in cui abbiamo sperimentato l’accudimento si trasforma nella nostra mappa affettiva, nella lente con cui interpreteremo ogni gesto d’amore futuro.
In psicoanalisi si parla di ripetizione coatta: il bisogno di ripetere, spesso inconsapevolmente, scenari relazionali passati per cercare una risoluzione mai avvenuta. Ecco perché, se da bambini non siamo stati amati in modo sano, potremmo cercare nell’innamoramento un riscatto emotivo. Ma quella ricerca, proprio perché guidata dal dolore, rischia di farci scegliere ancora una volta la persona sbagliata.
La memoria emotiva silenziosa: quando il corpo ricorda prima della mente
Il nostro sistema nervoso autonomo, specialmente durante l’infanzia, registra esperienze attraverso segnali di sicurezza o pericolo. Non ha bisogno di parole, né di razionalità. È la voce delle emozioni corporee a guidare le scelte. E se quel corpo ha imparato che “amore” significa attesa, tensione, assenza, confusione… allora tenderà ad attivarsi solo di fronte a relazioni che riproducono esattamente quel clima.
Così, da adulti, possiamo incontrare persone buone, presenti, rispettose… ma sentirle “noiose”. Perché non ci attivano. Non ci danno quella vertigine emotiva che, nel tempo, abbiamo associato all’amore. In realtà, è il nostro sistema nervoso che si è sintonizzato sul disamore: e solo quello riconosce come “familiare”.
La neuroscienza conferma: gli schemi relazionali primari influenzano profondamente le strutture limbiche e il sistema dopaminergico. È come se il nostro cervello “si eccitasse” solo davanti a ciò che somiglia alla ferita originaria. Non perché lo vogliamo, ma perché è ciò che conosce.
Ferite invisibili, scelte dolorose: come il passato plasma il presente
Non tutte le ferite fanno rumore. Alcune non lasciano cicatrici sulla pelle, ma scavano solchi profondi dentro l’identità. Sono le ferite invisibili dell’infanzia: quelle fatte di silenzi, di sguardi mancati, di carezze mai arrivate. Eppure, anche se non le ricordiamo con chiarezza, sono loro a guidare — spesso senza che ce ne accorgiamo — molte delle nostre scelte affettive da adulti. In che modo un passato non risolto può portarci verso relazioni che ci fanno soffrire? Per capirlo, dobbiamo prima imparare a riconoscere quelle ferite sottili ma potenti che, senza far rumore, condizionano il nostro modo di amare.
L’amore condizionato
Se sei stato amato solo quando eri bravo, silenzioso, utile, da adulto potresti scegliere partner che ti amano solo se ti sforzi, ti adatti, ti sacrifichi. L’amore “gratuito” ti sembra quasi immeritato.
L’abbandono emotivo
Se nessuno ha saputo contenere le tue emozioni o le ha minimizzate (“non piangere”, “esageri sempre”), potresti legarti a persone emotivamente non disponibili, cercando in loro il contenimento che non hai mai avuto.
La svalutazione precoce
Se sei cresciuto sentendoti inadeguato, colpevole o invisibile, potresti inconsciamente cercare qualcuno che ti tratti allo stesso modo, perché quell’umiliazione ti è familiare.
Il genitore imprevedibile o narcisista
Se chi ti ha accudito oscillava tra amore e rifiuto, potresti trovare irresistibile chi si mostra affettuoso un momento e distante il successivo. L’ambivalenza ti attiva, perché il tuo sistema nervoso è cresciuto nel tentativo costante di decifrare segnali ambigui.
Queste ferite non si vedono. Ma gridano nel modo in cui scegliamo, nel modo in cui restiamo, nel modo in cui ci annulliamo.
Quando l’amore diventa una missione riparativa
Uno dei meccanismi più potenti che ci spinge verso relazioni sbagliate è il desiderio inconscio di “guarire il passato attraverso il presente”. Se chi ti ha fatto soffrire era tuo padre, potresti cercare un partner simile, nella speranza di ottenere da lui ciò che non hai ricevuto da bambino. Se tua madre era fredda e distante, potresti amare qualcuno che ti rifiuta, convinto che, stavolta, se sarai abbastanza bravo, verrai scelto.
Ma non è amore, è sopravvivenza emotiva. È un tentativo di riparare, non di costruire. E in questa missione silenziosa ci si consuma, si perde il contatto con i propri bisogni reali, si confonde il dolore con la passione, il bisogno con l’amore.
Il trauma relazionale e l’identità: ti innamori con la parte ferita
Freud parlava di “compulsione a ripetere” e Bowlby di “modelli operativi interni”. In entrambi i casi, si tratta di strutture profonde che guidano le nostre relazioni. Ma oggi sappiamo che non è solo un fatto psicologico: è neurobiologico. Il cervello costruisce connessioni sinaptiche che si rinforzano nel tempo. Se il tuo primo amore — quello per la figura primaria — è stato confuso, assente o doloroso, il tuo sistema limbico ha imparato che “quella” è la forma dell’amore.
E così ti innamori con la parte di te che ha sofferto. La parte che cerca redenzione. La parte che vuole essere finalmente vista, scelta, amata. Ma non è mai la parte adulta e sana a scegliere: è il bambino ferito.
Scegliere chi non ti ama: non è debolezza, è memoria
Non è colpa tua. Non è che “non sai scegliere”. È che sei stato programmato emotivamente a cercare un tipo di amore che assomiglia troppo al dolore originario. Il corpo riconosce ciò che gli è noto. Anche se fa male. E il cervello cerca coerenza tra ciò che ha vissuto e ciò che vive. Se hai imparato che l’amore è qualcosa che devi meritare, ti sembrerà naturale stare con chi non ti sceglie, nella speranza che prima o poi lo faccia.
Per questo, non basta decidere di “volere un amore sano”. Serve riprogrammare, lentamente e con consapevolezza, tutto il sistema percettivo. Serve imparare a riconoscere l’amore non da come ci fa palpitare, ma da come ci fa stare. Serve costruire un nuovo codice emotivo, in cui l’amore non sia una lotta ma una quiete.
Guarire la mappa affettiva: un processo, non un cambiamento improvviso
La buona notizia è che si può guarire. Ma non attraverso la negazione del passato — bensì attraverso la sua integrazione. Serve guardare con onestà a ciò che ci è mancato, a ciò che abbiamo sopportato, ai bisogni che abbiamo seppellito. Solo allora possiamo cominciare a riconoscere ciò che è sano e ciò che è solo una ripetizione del trauma.
La terapia, i percorsi di consapevolezza, le relazioni sicure (anche amicali), l’autocompassione: sono strumenti potentissimi per riscrivere le nostre memorie emotive. Si tratta di riprendere contatto con il bambino che siamo stati, e dirgli: “Non è colpa tua. Non sei sbagliato. E meriti un amore che non ti chieda di farti piccolo per esistere”.
Riscrivere l’amore, partendo da sé
Scegliere partner sbagliati non è una debolezza. È la traccia di un passato che cerca ancora riscatto. Ma possiamo smettere di inseguire chi non ci ama, se impariamo ad amare noi stessi nella parte più fragile, quella che ha urlato in silenzio per anni. Possiamo riscrivere il nostro modo di amare solo se smettiamo di cercare nel partner ciò che non abbiamo ricevuto e iniziamo a offrircelo da soli: presenza, rispetto, comprensione.
Ogni volta che scegli un amore che ti spegne, stai tradendo il bambino che sei stato. Ma ogni volta che scegli te stesso, anche solo un po’, stai scrivendo una storia nuova. Una storia in cui l’amore non è più una lotta per esistere, ma uno spazio dove potersi finalmente riposare.
E se senti che quel bambino, ancora oggi, ti abita… allora potresti iniziare da qui: accoglierlo. Ascoltarlo. Amarlo. Perché guarire non significa dimenticare. Significa scegliere, ogni giorno, un amore che non ti costringa a sanguinare.
In questo percorso di guarigione interiore, il mio libro “Il mondo con i tuoi” occhi può essere una bussola preziosa. Non è una semplice lettura: è un viaggio attraverso le pieghe invisibili delle emozioni, una mappa per comprendere le proprie ferite e iniziare a trasformarle. Con uno sguardo profondamente umano, ma anche scientificamente fondato, questo libro accompagna il lettore a rileggere la propria storia relazionale, non con giudizio, ma con verità.
Pagina dopo pagina, ti conduce a smontare i costrutti di felicità imposti dalla società, per costruire un modo di vivere e di amare che sia finalmente tuo. Non un manuale su cosa fare per essere felici, ma una guida per disimparare tutto ciò che ti hanno detto sulla felicità — e per imparare ad ascoltare ciò che davvero ti nutre.
Il mondo con i tuoi occhi ti invita a uscire dalla reattività emotiva, a riconoscere le dinamiche apprese nell’infanzia, e a sostituirle con nuove forme di amore: amore per sé, amore sano per l’altro, amore libero dalla paura. Perché la verità è che non sei tu a essere sbagliato. È il modo in cui sei stato amato a non averti insegnato che l’amore, quello vero, non ti chiede mai di dimenticare te stesso. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon
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