Le ferite irrisolte creano schemi che si ripetono

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Le emozioni represse diventano ferite inconsapevoli attraverso un processo sottile e silenzioso, che si radica nel nostro essere senza che ce ne rendiamo conto. Quando viviamo un’esperienza emotivamente intensa—dolore, paura, rabbia, tristezza—ma non ci sentiamo liberi o capaci di esprimerla, quella emozione non svanisce. Rimane intrappolata dentro di noi, compressa come una molla invisibile, in attesa di trovare uno spazio per liberarsi e, ogni evento, fa da innesco a quella molla.

Andiamo alle origini

Immagina un bambino: non conosce nulla del mondo, è spaventato perché la sua sicurezza dipende dagli adulti. Il bambino non nasce con la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni, non ha idea di come tranquillizzarsi, impara tutto osservando l’ambiente sociale intorno a sé, attraverso lo sguardo e le reazioni di chi si prende cura di lui. E proprio in questo processo di apprendimento possono nascere le prime ferite emotive.

Le pressioni non sono sempre esplicite. Non si manifestano solo con frasi come “Devi essere il migliore” o “Non deludermi”. A volte sono sguardi di disapprovazione, silenzi carichi di aspettative, confronti con altri bambini, o il semplice bisogno di sentirsi “abbastanza” per ottenere amore e approvazione.
Un bambino percepisce queste pressioni in modo viscerale. Vuole essere amato, accolto, visto. E quando avverte che una parte di sé—la rabbia, la tristezza, la paura—non viene accettata, impara a soffocarla. Non perché non la senta, ma perché teme che esprimerla possa mettere a rischio quel legame fondamentale con i suoi genitori o figure di riferimento.

Un linguaggio senza parole

Un bambino non sa dire: “Sto reprimendo questa emozione perché ho paura di perdere l’amore degli altri.” Ma il suo corpo e la sua mente parlano per lui: pianti improvvisi, silenzi prolungati, rabbia che esplode senza motivo apparente, ansie che si annidano sotto la superficie. Tutte negate.

Quando un’emozione viene ignorata o invalidata—“Non è niente, smettila di piangere,” “Non essere timido, non c’è motivo”—il bambino impara a considerarla sbagliata. E così inizia a reprimerla, nascondendola non solo agli altri, ma anche a se stesso. Le emozioni represse nell’infanzia non scompaiono con il tempo. Diventano parte della nostra identità emotiva, influenzano il modo in cui gestiamo le relazioni, affrontiamo le difficoltà, e percepiamo noi stessi.

1. Il meccanismo della repressione

Reprimere un’emozione significa, in pratica, negarle il diritto di esistere. Magari ci è stato insegnato che “non si piange,” che “arrabbiarsi è sbagliato,” o che “bisogna essere forti.” Così impariamo a trattenere, a ingoiare, a chiudere in un angolo quella parte di noi. Ma il nostro mondo interiore non funziona come un cassetto che si chiude e basta. Le emozioni represse restano lì, vive, anche se silenziate.

2. Dalla repressione alla ferita

Con il tempo, un’emozione non espressa si trasforma in una ferita inconsapevole. Non è più solo un ricordo doloroso: diventa un’impronta emotiva che condiziona il nostro modo di vedere noi stessi e il mondo. Quelle emozioni bloccate iniziano a modellare le nostre convinzioni profonde: “Non valgo abbastanza,” “Non posso fidarmi degli altri,” “Devo essere perfetto per essere amato.” Sono cicatrici invisibili che plasmano la nostra identità senza che ne siamo consapevoli.

3. Le maschere e i meccanismi di difesa

Per proteggere quelle ferite, costruiamo maschere e meccanismi di difesa. Diventiamo iper-controllati, compiacenti, distaccati o, al contrario, eccessivamente reattivi. Ogni comportamento che sembra “automatico” o sproporzionato di fronte a certe situazioni è spesso il segnale di un’emozione repressa che cerca di emergere. Ma noi non colleghiamo quella reazione alla ferita originaria, perché il collegamento è stato sepolto dal tempo e dalla mente.

Le emozioni represse non scompaiono; si nascondono in angoli silenziosi della nostra mente e del nostro cuore, dove crescono come radici sotterranee. Invisibili, ma vive. E da lì, lentamente, si intrecciano ai nostri pensieri, alle nostre scelte, ai nostri comportamenti, fino a trasformarsi in schemi ricorrenti che sembrano guidarci senza che ce ne accorgiamo.

Gli schemi che si ripetono

Quando un’emozione non viene ascoltata, elaborata, accolta, non muore. Rimane in attesa, cercando vie per emergere, anche se in forme distorte. La rabbia non espressa diventa irritabilità costante, la tristezza non riconosciuta si trasforma in apatia o cinismo, la paura ignorata si maschera da controllo e rigidità. Il senso di non valere sperimentato da bambini, talvolta ci annichilisce e altre si trasforma in rivalsa e prepotenza verso i più deboli. Ci ritroviamo così intrappolati in dinamiche che si ripetono: relazioni che finiscono sempre nello stesso modo, reazioni sproporzionate a piccoli eventi, insoddisfazioni croniche che non riusciamo a spiegare.

Questi schemi non sono altro che il linguaggio delle emozioni represse che cercano di farsi sentire. È come se dicessero: “Guarda qui, c’è qualcosa che hai dimenticato di ascoltare.” Ma spesso, anziché fermarci ad ascoltare, continuiamo a fuggire, a distrarci, a costruire muri più alti.

Eppure, c’è una verità dolce e spaventosa allo stesso tempo: ciò che eviti di sentire non ti lascerà mai davvero. Non per punirti, ma per ricordarti che meriti di vivere pienamente, senza nascondere pezzi di te stesso. L’unico modo per spezzare questi schemi non è combatterli, ma abbracciarli. Fermarsi, respirare, e chiedersi: Cosa sto davvero provando? Cosa sto cercando di non sentire?

Lì, in quel momento di vulnerabilità autentica, inizia la guarigione. Perché quando dai spazio alle tue emozioni, anche quelle più scomode, le trasformi da nemici invisibili a compagni di viaggio. Non saranno più ombre che ti guidano da dietro, ma fari che illuminano il cammino.

Accogliere le proprie emozioni non significa esserne travolti, ma riconoscere che ogni sentimento ha una storia da raccontare. E forse, proprio in quelle storie represse, c’è la chiave per liberarti dagli schemi che ti imprigionano e riscoprire la parte più autentica di te.

4. La guarigione attraverso la consapevolezza:

La buona notizia è che queste ferite inconsapevoli possono essere guarite, ma il primo passo è riconoscerle. Questo richiede coraggio, perché significa fermarsi e ascoltare ciò che fa male, senza più fuggire. Spesso basta una domanda semplice, ma potente: “Cosa sto cercando di non sentire?” Da lì, con pazienza e compassione, possiamo iniziare a sciogliere quei nodi emotivi, a dare voce a ciò che è rimasto in silenzio troppo a lungo.

Le emozioni represse diventano ferite perché le ignoriamo. Ma possono tornare a essere semplici emozioni—da vivere, comprendere, accogliere—quando scegliamo di ascoltarle. E in quel gesto di ascolto, c’è già l’inizio della guarigione.

L’autoaccudimento

La cosa più preziosa che possiamo offrirci non è il riscatto per la stima che meritavamo e non abbiamo ricevuto. Non è la vendetta per la rabbia repressa… è uno spazio sicuro per sentire e vivere le nostre emozioni! È uno spazio entro cui affermarci: il nostro spazio, il nostro posto nel mondo!

Quando impariamo a guardarci davvero, ad accoglierci per ciò che siamo, allora impareremo anche a valorizzare le potenzialità che nessuno ci ha mai riconosciuto. Ognuno di noi, infatti, ha un potenziale inespresso che aspetta solo “il suo posto sicuro” per esplodere. Mediante l’autoaccudimento, impareremo a guardarci e ascoltarci con tutte le nostre emozioni.

E in quella libertà di essere se stessi, troviamo la radice di dell’affermazione personale, per l’autoaccudimento. Perché le emozioni, quando trovano spazio per esistere ed essere riconosciute, non diventano ferite. Diventano semplicemente parte dell’esperienza umana che, per quanto dolorosa possa essere stata, è tua e non può essere negata. Lo devi a te stesso, a ciò che ti porti dentro.

Se hai voglia di lavorare su te stesso ti consiglio la lettura del mio saggio “il mondo con i tuoi occhi” (lo trovi a questa pagina amazon o in libreria). Non è un semplice libro, è una chiave. Una chiave capace di aprire porte che credevi sigillate, di illuminare angoli di te che avevi nascosto, di sciogliere nodi che sembravano impossibili da allentare. “Il mondo con i tuoi occhi” parla di te, delle tue ferite invisibili, di quegli schemi nascosti che ti condizionano senza capire perché. Ma soprattutto, parla del coraggio di guardarti dentro, senza filtri, senza maschere.

In queste pagine troverai parole che non giudicano, ma accolgono come nessuno ti ha ancora insegnato a fare. Domande che non vogliono risposte perfette, ma verità autentiche. E strumenti per spezzare le catene emotive che ti tengono legato a un passato che non ti appartiene più. Non è un manuale. È uno specchio.
Un riflesso che non ti mostra come dovresti essere, ma ti aiuta a riscoprire chi sei davvero.

Se senti di aver bisogno di ritrovarti.
Se vuoi smettere di vivere imprigionato da ferite nascoste.
Se desideri affermare la tua identità, libera da schemi che non ti rappresentano più…
Questo libro è per te.
Perché il mondo, sì, può essere visto con mille occhi.
Ma quelli che contano davvero sono i tuoi.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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