Alcuni vissuti difficili lasciano ferite anche nel corpo: le persone sentinella hanno un sistema nervoso particolarmente sensibile agli stimoli esterni tanto che mostrano una spiccata ipervigilanza. Nella storia clinica di alcune «persone sentinella» si evidenzia la presenza di sintomi somatici (bruciore di stomaco, rigidità muscolare, problemi posturali…) che sono l’espressione di un malessere psicologico.
In genere, queste stesse persone, non riescono ad affrontare le difficoltà attingendo alle esperienze del passato: ogni volta sembra che si trovino a fronteggiare sempre lo stesso problema… per la prima volta!
Questo si verifica a causa di una sorta di congelamento emotivo, un’anestesia affettiva che impedisce l’assimilazione delle esperienze come tali, limitandosi a una mera «archiviazione dei vissuti nella memoria», senza mai elaborarli.
Solo dando un senso a ciò che viviamo possiamo trarne un significato coerente con la nostra vita. Le persone sentinella sono troppo concentrate sugli stimoli minacciosi esterni da non riuscire a fare esperienza di calma, sicurezza, tranquillità e quiete. Per le persone sentinella, il controllo diviene un’imprescindibile prerogativa.
Basi insicure: l’attaccamento invertito
Questo congelamento emotivo è caratterizzato da un distacco nei confronti degli altri e della propria storia personale, vissuta quasi senza partecipazione emotiva. Tale scenario è comune nei pazienti che hanno fatto esperienza nell’infanzia di una relazione traumatica con la figura di attaccamento.
Nella storia di questi pazienti non è raro assistere a un’inversione dei ruoli: è l’adulto a chiedere al bambino di farsi carico dei propri problemi emotivi, è il bambino a dover “accudire l’adulto” e non viceversa. Il bambino può sviluppare la convinzione che sia meglio non gravare ulteriormente sul proprio genitore per evitare di turbarlo o addirittura di irritarlo ricevendo in cambio aggressioni verbali, rifiuti e crisi.
In questi casi, il bambino non riesce a sviluppare una continuità nella coscienza perché, per citare le parole dello psicoanalista John Bowlby, il genitore non è stato in grado di fornire una base sicura da cui partire per esplorare il mondo e a cui fare ritorno per essere incoraggiato, rassicurato e consolato.
Anzi, l’attaccamento sviluppato dal bambino nei confronti dell’adulto è invertito (il figlio, per sentirsi benvoluto dal genitore, diventa invisibile, annulla i suoi bisogni e si fa carico di quelli del genitore) e spesso evitante (per evitare di essere respinto da una figura rifiutante, il bambino evita di mostrargli troppo attaccamento, evita di chiedere aiuto, non cerca consolazione, evita manifestazioni affettive…).
Dall’attaccamento evitante a quello disorganizzato
La mancanza di sicurezza in queste relazioni precoci nuoce alla costruzione di un senso di sé coeso e integrato, predisponendo l’individuo a sviluppare disturbi dissociativi: alterazioni della continuità del sé che vanno da semplici amnesie alla sensazione che ci sia qualcun altro a vivere la propria vita, fino a lacune importanti nella memoria che possono coinvolgere meccanismi più complessi riguardanti il tema dell’identità personale.
Questo quadro così complesso è raramente associato a un attaccamento evitate, con maggior frequenza è associato a uno stile di attaccamento disorganizzato; studi statistici vedono lo sviluppo di un attaccamento disorganizzato (associato a disturbi dissociativi dell’identità) in presenza di importanti traumi come maltrattamenti protratti (emotivi o fisici), abusi sessuali e ricorrenti abbandoni.
Ansia, depressione, problemi con alcool e droghe, disfunzioni sessuali o comportamenti sessuali rischiosi, discontrollo della rabbia, disturbi del sonno e della memoria, obesità e altri problemi fisici possono essere solo alcune delle conseguenze in età adulta di queste esperienze avverse infantili.
Il corpo elabora il trauma
Quando non vi è una continuità della coscienza, quando i “vissuti emotivi” sono disaccoppiati all’elaborazione, il corpo ne diviene il contenitore. La mancata integrazione mentale è una conseguenza diretta dei cosiddetti «traumi dello sviluppo» come il trauma da abuso genitoriale.
Questo può accadere non solo in presenza di violenza o conflitti familiari, ma anche quando un genitore è gravemente depresso, dipendente da alcool o droghe oppure presenta un disturbo della personalità che compromette le abilità genitoriali. Lo stress precocemente subito dai bambini in queste situazioni può avere conseguenze negative sul piano sociale, psicologico e fisico, attraverso un alterato sviluppo delle aree del cervello deputate alla gestione delle emozioni (corteccia prefrontale mediale, amigdala e ippocampo, fondamentale anche nei processi della memoria) e una iperattivazione del sistema dello stress (ipotalamo-ipofisi-ghiandole surrenali) con aumento della produzione di cortisolo, adrenalina e noradrenalina.
Gli adulti sentinella
Questi bambini sono destinati a diventare adulti sentinella: ipervigili verso le potenziali minacce a scapito della possibilità di vivere spontaneamente la vita quotidiana.
Un abuso non intacca solo il “senso di sé” ma anche la visione che la persona ha dell’intera esistenza, del mondo e dell’altro. Il mondo diventa un posto pericoloso, entro il quale muoversi con estrema prudenza e senza abbassare mai la guardia. Lo stato di iper-attivazione coinvolge tutti i sensi, si riflette nel sistema nervoso centrale e in termini pratici va a corroborare una visione pessimistica e minacciosa degli stimoli esterni.
Così, una critica costruttiva può divenire un’offesa tremenda e una richiesta può essere percepita come una minaccia alla propria autonomia. Un rifiuto diventa un fallimento e un suggerimento una minaccia all’identità. In alcuni pazienti è stato osservato che anche l’autostrada, con le sue uscite prestabilite, può essere percepita come una minaccia all’autonomia (sull’autostrada non si può tornare indietro e non c’è libertà nelle uscite) e la sua percorrenza può innescare attacchi di panico.
Meccanismi di questo genere sono stati spiegati nel mio articolo dedicato all’agorafobia. Nei casi più estremi, l’identità personale diventa completamente destrutturata dando origine a importanti sintomi dissociativi.
Gli adulti sentinella possono soffrire di stress cronico, trauma cumulativo e sono predisposti a problemi cardiovascolari. Il trauma produce una ritaratura del sistema d’allarme del cervello, un’alterazione del sistema deputato a discriminare le informazioni rilevanti da quelle irrilevante… così ogni stimolo viene percepito come rilevante dando vita a un’ipersensibilità soggiacente. La persona sentinella è iperstimolata ma nella loro storia evolutiva, alcune persone sentinalla hanno “imparato” ad attivare dei meccanismi di difesa in modo da schermarsi dalla stessa iperattivazione.
La persona sentinella, infatti, può passare da uno stato di iper-attivazione in cui è particolarmente sensibile agli stimoli, a uno stato di ipoattivazione in cui non sente nulla e prevale il congelamento emotivo. In pratica, queste persone sono in perenne ricerca di un equilibrio tra il sentire troppo e il sentire niente. In questi casi è opportuno imparare a lavorare sull’ampliamento della propria finestra di tolleranza.
Il trauma nel corpo
Come premesso, nella storia clinica di questi pazienti non è raro osservare disturbi somatici. Come sottolineato nel libro «il corpo accusa il colpo», lo psichiatra olandese Bessel van der Kolk, della Boston University School of Medicine, «i traumi sono tradotti in ricordi fisici, che creano disagio più dell’esperienza in sé».
Il trauma lascia il segno anche nel corpo, e nelle persone esposte precocemente a traumi dell’attaccamento si riscontrano di frequente, oltre alle difficoltà nella regolazione emotiva e ai disturbi dissociativi della coscienza, sintomi somatici che vanno da un senso di inaccettabilità del proprio corpo con vergogna e disgusto per il proprio aspetto a sintomi di «conversione» che mimano disturbi neurologici e somatizzazioni (sindromi dolorose, colon irritabile, fibromialgia, fatica cronica, disfunzioni sessuali, bruciori di stomaco) fino a vere e proprie malattie fisiche. Per non parlare della compromissione a carico del sistema immunitario messo a dura prova dall’iperattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Un apparato particolarmente sensibile alle conseguenze fisiologiche delle esperienze traumatiche è il sistema nervoso autonomo, deputato alla regolazione delle funzioni vegetative e di adattamento viscerale e comportamentale all’ambiente. Come premesso, l’orientamento agli stimoli minacciosi vede un’iper-attivazione che si riflette sul sistema nervoso autonomo. Il sistema nervoso autonomo è costituito da tre componenti principali: il sistema vagale dorsale, il sistema simpatico, il sistema vagale ventrale.
Il sistema nervoso vagale dorsale
Il sistema vagale dorsale opera disattivando il tono muscolare e che, in condizioni di minaccia estrema, può portare a un’estrema rigidità muscolare, fino alla paralisi, allo scollegamento sensoriale e all’immobilizzazione percepito come un forte ottundimento emotivo (il paziente riferisce di non provare nulla)
Il sistema nervoso simpatico
Il sistema simpatico, che attiva il metabolismo, il cuore e il tono muscolare, predispone l’organismo a reazioni di attacco e fuga; da qui rabbia eccessiva, aggressività e reazioni che spesso sembrano esagerate se commisurate allo stimolo scatenante. E’ l’iperattività del sistema simpatico a predisporre l’individuo traumatizzato a un maggior rischio di contrarre malattie cardiovascolari.
Il sistema vagale ventrale
Il sistema vagale ventrale, il più recente in termini evolutivi, ha il compito di frenare le reazioni del sistema simpatico calmando l’attività cardiorespiratoria e regolando i muscoli del collo, della faccia e della testa facilitando il contatto oculare e la comunicazione verbale, ossia permettendo di usare strategie meno arcaiche per affrontare il mondo esterno.
Un sistema nervoso autonomo in salute riesce a integrare bene le diverse funzioni, con una sensazione di benessere legata alla protratta attivazione del nervo vago. Nella “persona sentinella” le strategie di fronteggiamento delle minaccia sono sempre attive fino a passare alla resa totale: si va dal congelamento, agli attacchi di panico, passando per stati d’ansia.
Quando le strategie atte ad affrontare le avversità falliscono, infatti, si può attivare il sistema dorsovagale che rappresenta una condizione di resa totale, come quella osservata nelle reazioni ansiose intense, con paralisi indotta dal panico, o nella depressione, quando ogni iniziativa è sopraffatta, quando sembrano mancare speranze ed energie. In un quadro del genere, un percorso psicoterapeutico diviene necessario per ricalibrare le proprie difese istintive.
Libri consigliati:
- Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche
- La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza
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