Le quattro fasi dello sviluppo di un adulto: in quale ti trovi?

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Lo psicoanalista Sigmund Freud teorizzò un modello dello sviluppo umano in cinque fasi, ciascuna con le sue sfide da superare. Freud credeva che gli individui potessero rimanere “bloccati” (o meglio, fissati) in determinate fasi.  Fece qualcosa di simile anche il celebre Erik Erikson, con il quale le fasi divennero otto. In una visione più moderna, Psicoadvisor ha individuato quattro fasi dello sviluppo psicoaffettivo. Solo superando -in modo sano- la prima fase, sarà possibile garantirsi una vita appagante.

Per riflettere insieme sulla tua vita, ti descriverò le quattro fasi. Come vedrai, molte persone -purtroppo- sono ferme alla prima. L’arresto evolutivo non è certo una colpa personale, è piuttosto la conseguenza di un ambiente che non ha supportato adeguatamente il loro sviluppo. Per fortuna, in ogni momento della propria vita è possibile riprendere al meglio il proprio sviluppo psicoaffettivo.

1. La dipendenza

Nasciamo a fatica e, quando veniamo al mondo, siamo spaventati! È un pianto la nostra prima espressione emotiva e cerchiamo rassicurazioni tra le braccia genitoriali. Un neonato di pochi mesi non può certo cambiarsi i pannolini da solo, ne’ provvedere alla propria alimentazione. A pensare a tutto sono i genitori che “posseggono” anche sia il nostro corpo che la nostra mente.

Sul fronte emotivo, tutte le nostre emozioni sono regolate dall’esterno: se proviamo fastidio per il pannolino bagnato, saranno i genitori a pensarci. Se siamo spaventati per i tuoni, saranno i genitori a pensarci. Non sappiamo autoaccudirci ne’ autoconsolarci. Succede lo stesso con il nostro corpo: sono loro che decidono quando e se lavarci, cambiarci, la pettinatura, gli abiti da mettere (…).

Pian piano, poi entriamo in possesso del nostro corpo e con esso, dovremmo anche appropriarci della nostra mente, diventare capaci di autoaccudirci e autoconsolarci. Questo, però, avviene solo se nella prima fase di dipendenza il contenimento eseguito dai genitori è adeguato e può farci da esempio. Se i nostri genitori hanno lasciato spazio a molte insicurezze, allora non diverremo in grado di autoaccudirci. In casi estremi, anche il nostro corpo potrebbe diventare motivo di discordia e conflittualità. Una conflittualità che riguarda proprio quello stato di dipendenza.

Le sfide da superare

In questa fase di dipendenza, sono i genitori a dover superare delle sfide personali per garantire al bambino un ambiente sicuro nel quale svilupparsi. Se i genitori non ci riescono, sarà poi il bambino che, una volta diventato adulto, dovrà fare un lavoro retrospettivo e risolversi.

Per alcuni bambini, il mondo non è un posto sicuro perché chi si prende cura di loro non è affidabile e attento. Per sopravvivere in questo ambiente, molti bambini imparano a essere ipervigili, diventano così molto sensibili per cogliere ogni segnale del loro ambiente e sentirsi più sicuri. Altri, invece, prendono una strada diversa, imparano che non possono fidarsi di nessuno e sviluppano una precoce e disfunzionale iperdipendenza. In entrambi i casi, da adulti, avranno imparato a reprimere le proprie emozioni più profonde.

Al polo opposto poi, ci sono i bambini iperprotetti e iperstimolati. Non hanno dovuto mai fare i conti con la noia, da adulti arrivano a pensare che tutto debba arrivare tutto e subito e che non debbano sforzarsi per ciò che vogliono. Questi bambini, purtroppo, non riusciranno a sviluppare una sana fiducia in sé, crescendo, si aspetteranno che siano gli altri a farli sentire meglio. La gestione delle emozioni, infatti, è demandata alle vite degli altri -genitori, partner, amici- che di fatto, continuano a essere le colonne centrali della loro vita.

Nota bene. Se qualcosa va storto in questa fase, le ricadute sono presenti in qualsiasi fase successiva! Questo primo stadio rappresenta la base su cui ci individuiamo (con la controdipendenza) e ci affermiamo (con l’indipendenza).

2. La controdipendenza

Questa fase è definita «controdipendenza» perché, di fatto, dipendi ancora dai tuoi genitori -economicamente, condividendo lo stesso tetto, perché non sei entrato nel mondo del lavoro…- ma stai opponendo resistenza. Questa fase, in uno sviluppo psicoaffettivo ottimale, dovrebbe concludersi con la fine dell’adolescenza e ha inizio quando cominci a frequentare persone esterne al nucleo familiare.

Si tratta di quel processo che conduce all’individuazione di sé come persona completa e sicura, che non teme più il giudizio e lo scherno degli amichetti di scuola. Ormai quei ricordi fanno parte del passato.

Attraverso le esperienze, ognuno di noi può sperimentarsi in vesti e ruoli diversi, può commettere errori e imparare per tentativi. In questa fase di controdipendenza ci si costruisce in modo concreto il proprio futuro. Se credi di aver saltato questa tappa, non temere, in qualsiasi momento della vita puoi rimettere in gioco tutto! Gli studi? Si possono sempre riprendere! Certo, lavorare e studiare non è affatto semplice ma se in cuor tuo senti di volerti dare un’opportunità, perché non farlo?!

Se qualcosa è andato storto nella prima fase

Alcuni adolescenti non vivono mai una controdipendenza: si fondono con i genitori e la loro visione che hanno del mondo. Non sviluppano un punto di vista proprio e acritico ma assorbono -per estensione- quello dei genitori. Ciò avviene quando, fin dalla prima infanzia, il bambino è cresciuto con genitori invadenti o iper-premurosi, genitori estremamente ingombranti.

Sembrano all’apparenza “bravi ragazzi” ma in realtà imparano a temere i conflitti e piuttosto che affermarsi, ambiscono a rendere felici i genitori. Crescendo ancora, però, per esempio, a 30 anni, potrebbero ritrovarsi arrabbiati con i genitori, possono muovere lamentele infantili fino alla mezza età. Possono sposarsi, mettere in piedi matrimoni o storie infelici così da ribellarsi al partner e vivere l’adolescenza che non hanno mai vissuto prima.

Se da un lato ci sono adolescenti che si fondono con i genitori, ci sono poi ragazzi che rimangono bloccati nella fase della ribellione. In eterna opposizione con il mondo, il sistema e qualsiasi forma di autorità -che inconsciamente evoca quella genitoriale-. I ragazzi turbolenti possono sperimentare esperienze estreme, diventare sensibili alle dipendenze e sviluppare un senso di “incompreso”. Come nell’infanzia, queste persone si sentono inascoltate, sole, arrabbiate, sono loro da un lato e il resto del mondo dall’altro!

3. L’indipendenza

Se la controdipendenza è una fase transitoria per individuarsi, l’indipendenza rappresenta l’affermazione di sé. Arriva con la prima età adulta. In effetti, se le prima fase si è svolta in armonia, la controdipendenza dovrebbe essere andata liscia come l’olio. Con l’indipendenza, la persona è completamente capace di autoaccudirsi, autoaffermarsi e soprattutto è in grado di contenere e gestire le proprie emozioni.

L’adulto indipendente si sente una persona completa, non ha bisogno dell’approvazione altrui per sapere chi è e che valore ha. Prima di conquistare questa forte consapevolezza, la persona può oscillare. Le oscillazioni saranno dolorose se la prima fase di dipendenza è andata male.

Se le cose vanno male nella prima fase

In un’ottica di sviluppo funzionale, l’indipendenza arriva gradualmente e per tentativi. Per esempio, nella gestione della rabbia e delle avversità della vita, la persona cerca di non “esplodere” come faceva da adolescente, cerca di imparare a riflettere, radicare un senso di calma e padronanza. Desidera fare le cose “a modo suo”, è aperta al confronto e non sente il bisogno di compere con gli altri per dimostrare il suo valore.

Abbandonare la dipendenza e la fase di transizione della controdipendenza, può essere un processo naturale quando la prima fase è stata caratterizzata da sicurezza. La persona vive il completo distacco dai genitori come un «ciao», una fase naturale che non volta le spalle, non nega affetti, ricordi o vicinanze affettive.

Al contrario, se la prima fase è andata male, la persona può vedere nell’indipendenza un doloroso distacco. Ecco perché molti adulti passano dalla dipendenza genitoriale a quella dal partner. In tal modo, si evitano di vivere il distacco perché non sanno come viverselo in modo sano e genuino.

La fase dell’indipendenza è indubbiamente la più critica, prima di compiere questa conquista possono passare moltissimi anni. Non si parla di una mera indipendenza economica ma di una più matura indipendenza psicoaffettiva.

Nell’attesa della conquista, la persona può rimanere bloccata. Il bambino traumatizzato nella prima fase sarà un adulto -in un certo senso distaccato- incapace di fidarsi di qualsiasi persona e non sarà capace di chiedere aiuto perché associa qualsiasi richiesta di auto a una forma di debolezza. La sua indipendenza sarà solo fittizia perché nasce a scopo difensivo, sotto la superficie coverà senso di solitudine e non sarà capace di autoaccudirsi.

La persona bloccata nella dipendenza, al contrario, si “aggrappa” agli altri. Si aggrappa agli altri per sapere chi è, quanto vale e per sentirsi accettato. Allora ha difficoltà a dire di «no» quando le chiedono un favore, si prende più responsabilità del dovuto e non sa correre rischi per sé (mentre per gli altri sì).

4. L’interdipendenza

Superata la fase di indipendenza, la persona (che è diventata consapevole di sé, di ciò che vuole, di ciò che sente, del suo valore personale…) è ora pronta a legarsi. Solo così sarà possibile costruire “insieme” in un rapporto che sia costituito da reciprocità e profonda unione.

L’interdipendenza è completamente assente nei rapporti sbilanciati, in cui uno dà e l’altro prende, in cui c’è distanza affettiva e soprattutto, in cui si “usa” il partner per soddisfare i bisogni di mancata sicurezza  insorti nella “prima fase”.

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