Le ragioni psicologiche dei Vegetariani

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Psicologa, Tutor scolastico e Tutor specializzato in Disturbi Specifici di Apprendimento.
Illustrazione: tubik.arts

L’eterna “lotta” tra onnivori e vegetariani: cosa li differenzia? E quali sono gli aspetti psicologici di chi ha deciso di non nutrirsi di animali?

Sono diversi anni, ormai, che si parla dell’impatto sull’ambiente degli allevamenti industriali di animali e degli effetti negativi, tra i quali emissione di anidride carbonica, deforestazione e quant’altro. Ma non voglio parlare di questo, né di chi non mangia carne per motivi legati all’ambiente o per motivi salutistici; voglio, invece, soffermarmi sugli aspetti psicologici di chi non mangia carne e pesce per una scelta etica, ovvero per amore e rispetto verso gli animali: cosa spinge tali persone a consumare solo proteine vegetali? Cosa prova un vegetariano di fronte ad una bistecca? Quali sono i motivi più profondi? E, inoltre, chi consuma proteine animali, prova emozioni diverse di chi non lo fa?

Differenti percezioni

Voglio partire proprio da quest’ultima domanda: quali sono le sensazioni di fronte ad una grigliata di carne o ad un piatto di pesce fritto di un onnivoro e di un vegetariano?

Ebbene, sono sicura che la maggior parte degli onnivori starà rispondendo alla mia domanda così: “Mi viene solo l’acquolina in bocca e non vedo l’ora di mangiarlo!”. Ma se vi dicessi che quella carne sulla griglia rovente non appartiene ad una mucca o ad un maiale ma ad un cane o un gatto che emozioni provereste? Rispondo io: provereste orrore, disgusto, ribrezzo, nausea, dolore. Ecco, ora ho attirato la vostra attenzione.

Dunque, perché la maggior parte delle persone ama gli animali, vive con un cane o un gatto ma mangia mucche, maiali, agnelli, caprioli, lumache, polpi e via dicendo? Che differenza c’è tra un cane ed un maiale? Per un vegetariano ed un vegano, nessuna. Per un onnivoro, il primo è un essere intelligente, di compagnia, uno della famiglia; il secondo “è stato creato apposta per essere mangiato”, “serve mangiarlo perché le proteine animali sono utili”.

Eppure uno studio pubblicato nel 2014 su Animal Cognition ha dimostrato che i suini sono intelligenti, socievoli e riescono a capire le indicazioni gestuali degli esseri umani in modo simile ai cani.

Ma allora perché la maggior parte delle persone vive con un gatto o un cane, lo ama come un figlio, dorme vicino a lui ma si ciba di altri animali? Come si riesce ad avere questo “distacco” nei confronti di suini, bovini e ovini?

Il paradosso della carne

Alcune persone provano un leggero disagio, seppur inconscio, a cibarsi di animali, ma non riescono a non mangiarli; questa sorta di contraddizione viene chiamata da alcuni studiosi come “il paradosso della carne”, che si ha quando piace mangiare carne ma non si riesce a pensare da dove provenga.

Alcuni usano dei “trucchi cognitivi” per non sentirsi in colpa, in qualche modo, quando mangiano carne o pesce, riuscendo a fare una distinzione tra “animale da compagnia” e “animale da allevamento, destinato a diventare cibo”; in campo psicologico si parla di dissonanza cognitiva quando pensiamo in un modo e ci comportiamo diversamente (fenomeno, quello della dissonanza cognitiva, descritto per la prima volta nel 1957 dallo psicologo Leon Festinger).

L’esperimento

Un’opzione per ridurre questa dissonanza cognitiva è, come già ho accennato prima, non considerare gli animali che si mangiano come esseri sensienti, intelligenti e che provano emozioni. A tal riguardo nel 2012 gli psicologi Matthew Ruby e Steven Heine hanno effettuato un esperimento: hanno consegnato a 608 persone onnivore due versioni di un sondaggio; in una prima versione i partecipanti all’esperimento dovevano valutare vari animali riguardo la loro propensione a cibarsene o meno, e poi dovevano valutarne l’intelligenza e le emozioni che secondo loro provavano.

Nella seconda versione del sondaggio, invece, prima dovevano valutarne l’intelligenza e poi la loro disponibilità a cibarsene. Ebbene, chi valutava prima le capacità mentali degli animali erano poi meno propensi a mangiarli.

Ovviamente la distinzione che le persone fanno tra animale da compagnia e animale da macello cambia da cultura a cultura; si pensi che in alcune parti del mondo è considerato normale mangiare carne di cane e gatto, in altre culture invece è vietato cibarsi di maiali o mucche, in altre ancora gli insetti sono considerate prelibatezze.

Distinzione che non esiste per un vegetariano o vegano per scelta etica: tutti gli animali vengono considerati esseri senzienti, capaci di provare emozioni e degni di vivere liberamente. Ma perché? Cosa differenzia un vegetariano da un onnivoro? Si può parlare, in un certo senso, di “cervello vegetariano”? Per alcuni studiosi, si.

Il cervello vegetariano

Nel 2010 il neurologo Massimo Filippi, insieme al suo team di ricerca, ha esaminato il funzionamento cerebrale di 60 volontari (tra onnivori, vegetariani e vegani) mediante risonanza magnetica funzionale mentre guardavano immagini di scene di violenza o sofferenza verso esseri umani e animali: è stato osservato che i vegetariani e i vegani attivavano in maniera più elevata le aree relative all’empatia.

Le aree emotive dei vegetariani e vegani reagivano in modo più intenso alle immagini degli animali: percepivano in maniera maggiore la loro sofferenza.

Un altro studio, condotto dallo psicologo Marek Drogosz presso l’Accademia delle scienze di Varsavia su 123 partecipanti, ha dimostrato che i vegetariani e i vegani attribuivano agli animali non solo emozioni primarie quali gioia, dolore e tristezza, ma anche le cosiddette emozioni secondarie quali speranza, malinconia, delusione, attribuite dagli onnivori soltanto agli esseri umani.

Da questi ed altri studi condotti in tale campo si è dimostrato, quindi, che una persona che non mangia carne o pesce per scelta, lo fa perché percepisce in modo diverso la sofferenza degli animali e perché non fa nessuna distinzione tra essi.

Un vegetariano o un vegano non considera una bistecca o un pesce al forno come “cibo”, ma come un animale, come un essere vivente, che prima era vivo, provava emozioni e sentimenti e che dopo è stato allevato, ucciso, macellato, cotto ed è finito in un piatto; in quei pochi secondi in cui lo vede nel piatto riesce a “sentire” tutta la sua sofferenza. Lo so, detto così, può sembrare un po “forte” come concetto, ma vi assicuro che per un vegetariano è così.

Spero che questo mio articolo non abbia “colpito” o “ferito” in qualche modo nessun onnivoro, non era questa la mia intenzione; volevo solo far comprendere meglio i meccanismi psicologici di chi ha scelto di non cibarsi di animali e far riflettere qualche onnivoro che ancora considera le persone vegetariane e vegane un po strane, e alle quali si rivolge con un: “Ma come fai a non mangiare un pollo succulento o una bella spigola al forno? Ti perdi il meglio della vita!”.

Nota di redazione: comprendere punti di vista diversi dai propri rappresenta da sempre una grande sfida sociale, di fondamentale importanza è porsi dinanzi a essa nel pieno rispetto delle scelte altrui.

Autore: Lorenza Fiorilli, psicologa