Le relazioni: un gioco di vicinanza e lontananza

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Psicologo e Pedagogista, esperto in bioenergetica orientale.
Illustrazione: hug me, Soosh

Il nostro corpo ci precede, sempre. Ogni nostro atto intenzionale e non, si manifesta attraverso il gesto, l’espressione corporea e la manifestazione somatica, anche se sfugge al controllo della volontà.

Il corpo esprime l’autenticità del soggettivo sentire senza filtri, senza stereotipi culturali o educativi. Il corpo parla il linguaggio della spontaneità e lo fa in un modo che, spesso e volentieri, sfugge al controllo della mente.

Quante volte raccontiamo a noi stessi versioni degli accadimenti della nostra vita non coerenti con il proprio autentico sentire entrando in conflitto aperto fra ciò che riteniamo giusto e coerente e ciò che sentiamo realmente.

Il sentire spesso è incoerente, improponibile per l’ego, scomodo rispetto agli schemi mentali costruiti sulla base delle esperienze trascorse.

Ecco allora che il conflitto si fa sempre più acceso fra ciò che la bocca esprime per convincersi di qualcosa e quello che il cuore sente, spesso inaccettabile per la mente.

La relazione: un gioco di vicinanza e lontananza

Questo ragionamento, seppur semplicistico, può essere utile per capire e sentire cosa accade in noi quando ci relazioniamo con l’altro. La relazione è, per certi versi, un gioco di vicinanza e di lontananza, uno scambio incessante di prossimità e distacco. Avvicinare-abbracciare-stringere-lasciare-distanziare.

Cosa accade dentro di noi quando guardiamo negli occhi l’altro (importante per noi), ci avviciniamo, lo abbracciamo e poi lasciamo andare? Quale momento sentiamo più difficile? Ogni cambio di distanza ha effetti emotivi interiori diversi in ciascuno di noi.

Può accadere che l’accorciare le distanze faccia toccare l’imbarazzo o la vergogna, oppure, il lasciare andare dopo aver accolto l’altro in un forte abbraccio possa far avvertire un forte senso di abbandono che magari è già stato sperimentato in passato, forse durante l’infanzia.

Una pratica che può essere utile per sperimentare se stessi nelle modalità di distanza/prossimità/abbraccio/abbandono è quella relativa all’uso di un saccone da boxe che abbia la possibilità di oscillare.

Esercizio di autoriflessione

Ponendosi ad un metro davanti al saccone con le gambe leggermente aperte, è necessario fissare un punto su di esso e focalizzare bene un’immagine, una scena, una situazione o una persona verso la quale sentiamo di essere emotivamente coinvolti. In questa fase di focalizzazione occorre indagarsi interiormente per cogliere quei segni, quelle tracce che in qualche modo ci attivano da un punto di vista emozionale.

Successivamente occorre chiudere gli occhi e respirare su ciò che siamo riusciti a visualizzare, provando ad attivare il sentire soggettivo abbassando le tensioni corporee. Qui è importante rilassare la mascella aprendola leggermente, abbandonare le braccia lungo i fianchi e flettere leggermente le gambe come fossimo appoggiati ad un sostegno posto dietro la schiena. Dopo qualche minuto, una volta raggiunta una certa tranquillità interiore, è possibile aprire gli occhi e, fissando nuovamente un punto davanti, provare molto lentamente ad avvicinarsi. Qui, inizia la fase di autoconsapevolezza relativa al nostro camminare, all’intenzione di avvicinarsi, di accorciare le distanze per…

  • Cosa accade dentro di noi?
  • Quali sensazioni emergono?
  • Ci sono tensioni nelle gambe?
  • Sentiamo che sono in grado di sostenerci in questa situazione?

Una volta posti innanzi al saccone è importante chiudere nuovamente gli occhi e respirare sulla nuova distanza, sulla prossimità fisica.

  • Come cambia il respiro?

Una volta accolte senza giudizio tutte le sensazioni esperite, ognuno con il proprio tempo può provare ad alzare le braccia ed allargarle in senso di accoglienza, accettazione ed apertura, ovvero disponibilità verso l’altro. Il gesto in sé può risvegliare emozioni importanti perché vi è un passaggio in cui dal rilassamento passiamo alla disponibilità ad accogliere che, per certi versi, è anche un’esposizione al rischio, all’incertezza, forse una situazione di vulnerabilità in quanto le difese, nel donarsi, si abbassano improvvisamente.

La fase della fusionalità: sentirsi un tutt’uno con l’altro

La fase successiva è l’avvicinamento delle braccia al saccone fino a sperimentare il contatto che passa attraverso il contatto non solo degli arti superiori ma anche del petto, aumentando progressivamente la superficie del contatto. Qui inizia la fase della sperimentazione della fusionalità, del portare a sé, del perdere, anche se momentaneamente, la percezione di essere distinto e separato.

Occorre accogliere nuovamente tutte le sensazioni che emergono dal nostro abbraccio, dal contatto accogliente e accettante, facendo proprie tutte le emozioni che ci ricollegano ad esperienze trascorse similari. Continuando a respirare e a portare l’attenzione sul modo di inspirare ed espirare in questo momento, è importante sentire cosa cambia in noi con l’abbraccio, soprattutto quando iniziamo a portare il saccone verso di noi, come se volessimo controllarlo e disporne in maniera più completa.

Dopo alcuni minuti, è importante lasciare andare all’improvviso, provando a sentire come ci si sente nel lasciare andare, accogliendo anche le oscillazioni del saccone stesso, metafore di un distacco mai comunque definitivo ma fatto anche di eventuali ritorni “altalenanti”.

  • Come viviamo però internamente questo lasciare andare?
  • E’ un abbandono definitivo, un lutto o un modo per mettersi nella giusta distanza, per noi stessi nei confronti dell’altro?
  • Cosa si sperimenta passando da una fusionalità ad una separazione. Cosa è per noi la separazione?
  • Tocchiamo esperienze di abbandono già sperimentate in passato?

Tutto ciò che emerge può essere trascritto su un taccuino e può essere di aiuto anche la rappresentazione con il colore di tutte le immagini che sono emerse durante la pratica. Il nostro modo di porci, di accorciare le distanze, di prendere per noi stessi ed il permettersi di lasciare andare, raccontano la storia del nostro sentire più intimo.

E’ partendo dall’accettazione del nostro modo di porci e di percepire che è possibile, successivamente, lavorare per rendere più flessibili e funzionali i meccanismi che ci portano in relazione con l’altro, evitando progressivamente distacchi eccessivi per paura di coinvolgersi o, al contrario, eliminare la tendenza alla fusionalità eccessiva che porta a dipendere dagli altri per paura di stare sulle proprie gambe.