Le strategie del narcisista per irretire la propria vittima

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Psicoterapeuta ad orientamento clinico

Il narcisista è come un ragno: tesse abilmente la sua tela per intrappolarvi la
preda, una trama sottile, inesorabile, vischiosa, soffocante. Ma di cosa è intessuta questa tela per risultare così efficace? Semplicemente di parole. Eppure, le parole del narcisista sono un’arma letale per chi vi si abbandona ammaliato. La fase seduttiva, che come già sappiamo, rappresenta l’inizio del lento processo di conquista e distruzione della vittima, è caratterizzata fondamentalmente da un uso strategico e manipolatorio dell’abile tattica dialettica del perverso narcisista.

Egli dosa sapientemente parole dolci, complimenti, carezze per l’anima e l’ego del partner, alternando il miele al fiele di velenose, taglienti offese, reprimende, ingiurie, oltraggi. Tutto ciò col solo fine di minare la sicurezza della vittima, che nell’imprevedibile alternarsi di questi comportamenti finisce per ritenere se stessa la causa di ogni male, fonte di inevitabile delusione per il proprio partner.

Al principio della relazione la vittima non ha percepito il pericolo incombente,
la tossicità di cui era portatore colui che l’ha sedotta. Il narcisista ha una capacità quasi medianica di intuire questa sorta di ingenuità, di debolezza nella sua preda, ed è da lì che inizia a tessere la tela. Ma esattamente come questa è fatta anche di spazi vuoti, così pure l’intreccio manipolatorio del narcisista viene accortamente ordito col filo delle parole e il vuoto dei silenzi.

L’assenza di parole è misurata, soppesata con perizia, per indurre la partner a dubitare ulteriormente di sé, a chiedersi dove mai abbia sbagliato, cosa abbia indotto quei silenzi. E così pure le menzogne del narcisista, le sue richieste paradossali, impossibili da esaudire: tutto fa scientemente parte di un disegno comunicativo destabilizzante, che viene definito “antiparola”, ovvero un linguaggio che mira esclusivamente a far franare l’edificio di autostima che la vittima ha costruito nel tempo.

Il narcisista ama confondere le acque: mente, si contraddice, ma anche ove venga smascherato, riesce a negare anche l’evidenza, a “rigirare la frittata”, come si suol dire, con la destrezza di un mago incantatore, consapevole dell’ascendente che seguita ad avere sulla propria vittima, godendo peraltro del turbamento e della confusione che induce nella sua mente, nel suo raziocinio sempre più infragilito.

La tecnica del cosiddetto double bind, del discorso a doppio senso, del dire una cosa per significarne in realtà un’altra, è una delle strategie più tipiche e pericolose del narcisista. Lentamente la vittima si ritrova a non avere più riferimenti stabili, sempre più alla mercé di questo astuto giocoliere del logos, fino a che, svuotata e persa, affannandosi ad elemosinare quelle lusinghe che inizialmente l’avevano attratta e rapita, resta svuotata e inerte, e per questo ancor più facilmente vittima del disprezzo del narcisista che, portata a termine l’opera di devastazione, la considererà merce avariata.

Tutta questa perversa macchinazione finalizzata a demolire la propria vittima,
viene attuata, come abbiamo visto, attraverso una complessa strategia dialettica
altalenante.

Qual è lo scopo del Narcisista?

Ma qual è l’obiettivo del narcisista, cosa mira a debellare realmente, quale aspetto in particolare della partner-preda? L’autostima, ovvero l’immagine che ognuno di noi ha di sé, costruita a partire dall’infanzia, quando inizialmente si desidera solo essere amati, quando non si è ancora capaci di vedere il mondo esterno e chi ne fa parte come nient’altro di diverso da sé, quando ancora tutto è riferito a sé.

Poi, gradualmente, allorché l’alterità del mondo si consolida come concetto nell’essere umano, si inizia a costruire mattone dopo mattone l’autostima, che si stratifica in una base più solida e virtualmente inattaccabile che è rappresentata dall’amore che ognuno nel profondo ha per se stesso (il narcisismo di base) e l’immagine che ci si forma di sé attraverso l’opinione degli altri, la risposta che il mondo ci restituisce, il riscontro alle nostre azioni, opinioni, insomma alla nostra personalità in senso lato quando si rapporta con gli altri.

Tanto più questo edificio di autostima non solo è solido di per sé, ma è anche stato costruito su durevoli fondamenta, tanto più sarà arduo il compito del narcisista nel trovare un pertugio in cui tentare di varcare il limite delle nostre difese. E viceversa.

Una debole autostima si traduce inevitabilmente in dipendenza affettiva, ovvero
nel bisogno dell’altro per potersi definire, per sentire e credere di avere un posto
nel mondo, un ruolo, una ragione di esistere. Il cinico e crudele sfruttamento di questa predisposizione da parte del narcisista nei confronti della vittima della sua perversione rappresenta la chiave per comprenderne l’azione di logoramento.

La coppia sana è quella in cui ognuno, partendo da una posizione di solidità affettiva e di equilibrata autostima, è in grado di esaltare i talenti e le qualità dell’altro, lenendo con amore le eventuali ferite (di certo non reciprocamente inferte).

Al contrario, nelle relazioni insalubri, come quelle fra il narcisista e la sua partner, si instaura sin dal principio un evidente rapporto di squilibrio affettivo, in cui però i ruoli sono ben determinati: la vittima, in costante ricerca di conferme e attenzioni, frana e si disgrega, provocando la totale noncuranza del partner, che finisce per disfarsene; il narcisista che opera affinché l’autostima della sua preda si sfaldi, che questa si isoli dal proprio mondo di riferimenti affettivi, che anzi assuma su di sé le colpe del fallimento della relazione.

La vittima, anche quando riuscisse a liberarsi dal giogo del narcisista, grazie anche all’azione (intrapresa con il terapeuta) di ricostruzione dell’edificio dell’autostima, ripartendo dal quello strato profondo di amor di sé, avrebbe davanti a sé un lungo percorso.

Perché le tracce che lascia una relazione tossica con un narcisista sono spesso profonde e vanno ad intaccare i pilastri su cui si basa la nostra capacità di relazionarci con noi stessi e il mondo esterno. La terapia servirà a rimettere assieme i pezzi del puzzle e a consolidare
nuovamente il castello, facendo in modo che il ponte levatoio non resti sollevato, ma che piuttosto si abbassi sul fossato delle difese ritrovate, quando però si sappia distinguere se al portone sta bussando un potenziale alleato o un nemico invasore.

Autore: Marco Salerno, psicologo psicoterapeuta
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