L’impatto emotivo del coronavirus: come la paura del contagio distorce i nostri pensieri

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La nostra “programmazione base” ci porterebbe ad avere molta paura, una paura irrazionale che dovrebbe essere sovrascritta dalla nostra programmazione più sofisticata, ossia dalla nostra logica, dalla nostra cultura e dalla nostra capacità di esaminare il reale.

La maggior parte degli esseri umani ha una certa paura del buio. Dei temporali. Del fuoco. Ciò nonostante, riusciamo a razionalizzare. Quando una tempesta provoca un blackout, accendiamo una candela. Ma nella società occidentale contemporanea, la paura del contagio è una paura remota, che non siamo abituati ad affrontare. Per questo per noi è più probabile avere una reazione di panico. Ossia una forte reazione di stress.

Di fronte al panico, ci sono due tipi di comportamento che aiutano a ridurre lo stress: mettere in atto azioni di controllo, e negare la paura

Ipercontrollare il nostro ambiente è una risposta consapevole, ma ha delle sfumature inconsce, ossia irrazionali. Negare il pericolo è una risposta quasi del tutto inconscia, per cui non ci rendiamo neppure conto che lo stiamo facendo.

Come tutte le risposte inconsce, trova il modo di proporsi con una maschera ragionevole. Ecco alcune frasi che ho letto in giro:

  • «Prima o poi moriremo tutti, tanto vale vivere» (sulla lavagnetta di un ristorante);
  • «Tanto uccide solo gli anziani e i malati» (e quindi, come dicono a Roma, sticazzi);
  • «La vita è mia, decido io che cosa farci» (paranoia di controllo);
  • «È solo un’influenza» (resistenza al dato di realtà);
  • «Se devi portare la pagnotta a casa seguire tutte le regole è impossibile» (catastrofismo e rassegnazione, non potendo seguire alcune regole, ignoriamo tutte le regole);
  • «Tanto lo prenderemo tutti, non c’è niente da fare» (catastrofismo e rassegnazione 2, ignorare la differenza tra meno contagi distribuiti nel tempo e un picco di contagi capace di mandare in tilt il sistema);
  • «Non mi fido, quei professoroni non fanno che litigare tra loro» (quindi ora mi ammalo per dispetto).

Ognuna di queste frasi ha una parvenza di ragionevolezza, non possiamo dichiararci in totale disaccordo con nessuna di esse. Eppure ognuna porta dentro una distorsione che ha lo scopo ultimo di negare la paura.

Ragazzi, vorrei che fosse chiara una cosa: avere paura è brutto, mica mettiamo in campo queste distorsioni per nulla. È la nostra psiche che fa di tutto per proteggerci, non sono i capriccetti di un bambino.

Non a caso, guardiamo un attimo che cosa stanno facendo molti di noi: scappano dal contagio e cercano rifugio in posti che gli sembrano più salubri (il mare, la montagna); scappano dal contagio e cercano rifugio in regioni poco colpite dal virus; scappano dal contagio e cercano rifugio dalla mamma. Tante persone che nelle ultime ore hanno lasciato le zone rosse, stanno tornando alla terra natia, dai genitori che magari sono anziani, ma che forniscono ancora un’idea di protezione.

E dato che il nostro inconscio è astuto, forse ci diciamo anche che stiamo andando noi ad aiutare loro, “che non si sa mai”.

Infine, dobbiamo considerare un ultimo fattore, per nulla trascurabile: la paura di rimanere in trappola. Chi è in quarantena è confinato. Certo, in ambienti familiari e razionalmente sicuri, ma il nostro inconscio potrebbe non vederla così e sentirsi bloccato in un posto pericoloso. L’angoscia claustrofobica che stanno provando le persone nelle zone rosse è assolutamente comprensibile e reale. È una sensazione potente, che tendi a sottostimare finché non la provi.

Per alcuni di noi l’angoscia è così forte, che mettiamo in atto un tipico comportamento di fuga. E come tutte le reazioni all’angoscia, non è detto che siano consapevoli. Alcuni di noi si rendono conto di ciò che provano, altri agiscono e basta. Non tutti abbiamo il cervello uguale, non tutti sono portati all’introspezione.

Ma quindi, che cosa fare, in concreto, per affrontare lo stress senza imbarcarsi in comportamenti a rischio?

Per prima cosa, prendere atto della propria paura. Rendersi conto di essere spaventati e che è una reazione normale. Prendere atto della propria paura aiuta anche a non diffonderla, perché una delle grandi leggi umane è che anche i sentimenti repressi agiscono su di noi e sugli altri.

Gli scaffali vuoti nei supermercati creano angoscia anche in chi è lì per comprare solo un filone di pane. Le immagini della stazione di Milano zeppa di gente ha mandato in paranoia anche i telespettatori più tranquilli.

E ai vostri bambini è meglio dire che siete un pochino spaventati, piuttosto che trascinarli via da casa loro in un momento di emergenza, o farli tappare dentro come durante un fallout nucleare. Seconda cosa, collegata alla prima: staccatevi dai mezzi di informazione ansiogeni. Continuate a informarvi, ma da fonti che ritenete affidabili e sicure, e senza l’angoscia di essere continuamente esposti a messaggi magari contrastanti e preoccupanti.

Terza cosa: diminuite lo stress diminuendo il rischio. Mettete consapevolmente in atto comportamenti di prevenzione. L’OMS ha fornito una serie di suggerimenti ragionevoli, seguiteli senza strafare. Nella vita di noi tutti ci sono attività indispensabili e attività semplicemente gradevoli. Le attività indispensabili non sono in questione, ma molte delle attività gradevoli vanno ripensate.

Tapparvi in casa e non muovervi non farà bene né al vostro corpo, né alla vostra mente. Camminate all’aperto, tenetevi impegnati, leggete un libro, giocate con i vostri figli, telefonate agli amici o incontrateli per una passeggiata. In molte regioni sono stati attivati sportelli psicologici gratuiti online. Se l’ansia diventa troppa, non vergognatevi a consultarli. È un’ansia che proviamo tutti.

FONTE| SUSANNA RAULE