Con il fiorire di tante professioni definite “nuove” (ma che in realtà, in molti casi, vanno a sovrapporsi ad altre già esistenti e regolamentate per legge), molti utenti rischiano di rimanere disorientati difronte alle offerte proposte dal mercato.
Nel caso specifico dello psicologo-psicoterapeuta occorre fare alcune precisazioni.
Innanzitutto questo professionista non opera al fine di convincere, manipolare, persuadere o modificare gli orientamenti e i valori in base a personali vedute.
Il terapeuta parte dall’accogliere le personali visioni della vita del paziente, i suoi detti (verbali, corporei-espressivi, ecc., e i non detti), al fine di comprendere il funzionamento dell’altro e rimandargli in maniera speculare l’immagine e i vissuti emersi nella loro autenticità.
Per autenticità intendo il sincero rimando all’altro di ciò che è emerso dall’ascolto empatico e partecipante del terapeuta.
L’empatia è un meccanismo complesso dove ascolto incondizionato, non giudizio e accoglienza si fondono insieme in modo da far vibrare nel paziente la sensazione di essere compreso.
Il terapeuta non è allora un maestro di vita perché “la scena” è occupata dal paziente e dai propri vissuti e non dalle massime o dalle sagge riflessioni del Guru.
Sta al terapeuta riuscire a farsi “piccolo-piccolo” in modo da favorire l’emergere dei vissuti in un contesto in cui il paziente possa avvertire sicurezza e autentico ascolto.
Il lavoro del terapeuta sta nel riuscire a non aggiungere nulla di proprio nel rimandare all’altro i contenuti di quanto emerso, evitando di colludere e di aggiungere riflessioni personali dettati da esperienze personali trascorse.
Il terapeuta insomma è un professionista della domanda e non della risposta. Lo scopo del lavoro del terapeuta è quello di favorire l’autonomia personale rimettendo il paziente “sulle proprie gambe” per dirla con Lowen.
Un professionista che imposta il proprio lavoro su consigli pratici, su metodi risolutivi e su ricette universali, non è un terapeuta.
Il consiglio nasce come risultato di personali elaborazioni circa determinate esperienze e sono un qualcosa di estremamente personale. Tutto questo non è mai generalizzabile e applicabile agli altri perché ognuno è diverso e questa diversità merita il massimo rispetto.
Le domande ben formulate sono il cuore del lavoro terapeutico che devono stimolare nell’altro riflessioni e lo “scongelamento” di emozioni profonde in modo da farle emergere ed esprimere in tutta la loro “autenticità”.
Il processo terapeutico ha lo scopo di favorire il raggiungimento di una personale e significativa verità circa se stessi ed il proprio mondo, ecco perché in tutto questo non c’è spazio per gli insegnamenti del “Maestro”, per le pillole di saggezza e per le massime da testo sacro.
Sta al terapeuta riuscire a navigare nel mare di emozioni, non detti, pensieri più o meno espliciti, aiutando il paziente a divenirne pienamente consapevole per poi imboccare una diversa rotta esistenziale che favorisca la realizzazione di se stessi.
Insomma, da queste premesse si capisce bene quanto sia distante la conclusione di potersi affidare serenamente ai guru dalla soluzione facile e da chi pretende di venderci la ricetta giusta a tutti mali personali.
Dietro al consiglio si cela sempre un’implicita svalutazione del paziente perché se il peso emotivo che vivo per una situazione può essere liquidato con una massima o con un metodo, significa che non ho le risorse necessarie per farcela da solo ma che necessito delle direttive di qualcuno che riesce a rendere semplice qualcosa che per me è molto complesso.
Come riconoscere questi sedicenti maestri di vita?
Generalmente sono personaggi che si pongono come depositari di verità assoluta, come autorità indiscusse che vivono nelle certezze granitiche delle proprie conoscenze.
Chi non riesce a migliorare, a seguire le indicazioni del maestro significa che non è ancora in grado di comprendere, rimandando al soggetto un senso di inadeguatezza e di fallimento per l’incapacità di conformarsi ai desideri e alla volontà del Guru.
All’opposto, un professionista della salute incoraggia l’autonomia attraverso un’efficace ricostruzione della mappa interiore, favorendo la consapevolezza e la sintesi degli aspetti scissi del sé anche attraverso l’elaborazione di pensieri disfunzionali e di emozioni che talvolta tendiamo o ad ignorare o ad esserne sopraffatti.
Sindrome da piedistallo, atteggiamenti salvifici, certezze manifeste, parlare incessantemente, consigliare pensando al posto dell’altro, trovare soluzioni proprie a problemi altrui, non domandare, non chiedere, voler fare capire, sono tutti gli atteggiamenti tipici del sedicente Maestro, che niente hanno a che fare con le buone prassi terapeutiche.
Siccome può capitare a tutti di scivolare in un ruolo diverso, diventando più una sorta di Sacerdote predicatore che impartisce lezioni di vita che non un attivo ascoltatore, forse occorre ricordarci ogni tanto le importanti lezioni socratiche sull’arte della maieutica.
Quest’arte si basa su due principi fondamentali:
- Conosci te stesso, la verità è già dentro di te non serve cercarla altrove.
- So di non sapere, non esiste un sapere assoluto.
Il metodo di indagine si basa sul dialogo orientandosi verso l’autoesplorazione, una sorta di autoeducazione volta all’interrogazione di se stessi per fare emergere le proprie verità frutto di personali ricerche e non di convinzioni altrui.
Attraverso l’ironia è possibile scardinare e decostruire tutti i pregiudizi e le false certezze, successivamente, attraverso il processo maieutico, si procede verso la ricerca del proprio nucleo autoformativo, ovvero verso le inclinazioni e tendenze più autenticamente proprie che devono trovare la forza di emergere per essere nutrite.
La verità coincide allora con la possibilità di esprimere la propria creatività incidendo nella realtà in maniera efficace attraverso la consapevolezza delle attitudini personali, dei limiti e delle risorse, anche attraverso la comprensione del valore e della libertà di pensiero.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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