Nel senso comune, la parola destino indica l’imponderabile volere di un’entità sovrannaturale, che assegna a ciascuno una sorte prestabilita dalla quale è impossibile liberarsi: “Se è destino, non c’è niente che tu possa fare!”. Per altri il destino è una forza invisibile che spinge ad agire. Lo sostenevano già gli stoici, filosofi greci dell’era precristiana.
Queste e innumerevoli altre tesi sono sopravvissute fino ai giorni nostri, forse perché nessuna di esse è confutabile: se sei capitato su questa pagina è perché l’hai cercata. Ma come puoi sapere se trovarla fra milioni di altre, e aprirla, sia stato un caso? Forse anche leggere queste poche righe fa parte del filo ininterrotto di azioni decise dalla sorte…
Sull’onda del bisogno di credere che il futuro sia già scritto, e quindi conoscibile, sciamani, profeti e veggenti di ogni culto, epoca e latitudine si sono cimentati nel decifrarlo, interpellati tanto da potenti sovrani quanto dal popolo. Così, fenomeni naturali, per esempio le eclissi, sono stati interpretati come segni premonitori di questo o quell’accadimento.
Quella fatalista, comunque, è solo una delle tante “scuole di pensiero”
L’espressione libero arbitrio, per esempio, riassume la tesi opposta, secondo la quale ciascun individuo ha la possibilità di pensare e agire in base alla propria volontà, della quale è padrone: in accordo con questa teoria, se sei arrivato a leggere fin qui è perché lo hai deciso. Non era previsto, né sei stato guidato da qualche oscura forza. Confidare nel libero arbitrio significa assumersi la responsabilità delle proprie azioni, affrancarsi dalla schiavitù del destino.
Lo “stile attributivo”, il modo in cui spieghi a te stesso ciò che ti accade
Dopo anni di matrimonio, una donna chiede il divorzio al marito confessandogli di essersi innamorata di un collega. Con qualche spicciolo, un padre di famiglia in difficoltà economiche acquista un Gratta & Vinci e, sotto lo strato argentato del biglietto, trova la combinazione vincente.
A un giovane disoccupato si ferma l’auto, in mezzo al nulla, mentre si sta recando a un colloquio di lavoro. Uno studente universitario si presenta a un esame impreparato su buona parte del programma ma il professore, in mezz’ora abbondante d’interrogazione, gli fa domande incentrate sui soli capitoli che ha studiato. Se fossi il protagonista di queste vicende, quali spiegazioni ti daresti?
Il modo in cui interpreti eventi, circostanze, comportamenti tuoi e altrui prende il nome di stile attributivo. Lo stile attributivo è composto di tre “proprietà”. Continua a leggere per conoscerle in dettaglio.
1. Lo stile attributivo può essere interno o esterno
Lo stile attributivo è sempre connotato da un certo grado di internalità. Con questo termine si intende quanta parte di responsabilità, rispetto a ciò che ti accade, sei solito attribuire a te stesso e quanta, invece, a fattori esterni.
Facciamo un esempio. Sei uno studente universitario, una matricola. Ti presenti alla prima sessione d’esami credendo di aver studiato a dovere ma, aspettando di essere interrogato, ti accorgi che il docente è puntiglioso ed esigente. Giunto il tuo turno accade il peggio. Il professore ti fa domande molto specifiche e si spazientisce alla minima imprecisione. Alla fine ti boccia. Tornato a casa, amareggiato rimugini sulla disfatta. Se hai uno stile attributivo esterno potresti arrivare a una di queste conclusioni:
- “Questa facoltà è troppo difficile”
- “Che carogne, i professori!”
- “Nella vita ci vuole fortuna”
Fai un’attribuzione esterna ogni volta che ti convinci che un evento si sia verificato a seguito di fattori a te non riferibili: il destino, la fortuna, circostanze favorevoli o avverse, il volere altrui.
Credi, invece, che le tue azioni siano determinanti? Che sia tu, in fondo, l’artefice del tuo destino? Allora hai uno stile attributivo interno. Ecco alcuni esempi:
- “Dovevo impegnarmi di più, sarebbe andata diversamente”
- “Non sono abbastanza bravo per superare questo esame”
- “Non mi piace la materia, non mi appassiona”
Fai un’attribuzione interna quando imputi i successi e i fallimenti a tue scelte o azioni, alle competenze che possiedi o non possiedi, all’incapacità o al talento. In poche parole a te stesso.
2. Lo stile attributivo può anche essere globale o specifico
Oltre che dall’internalità lo stile attributivo è caratterizzato, in varia misura, dalla specificità. Sono specifiche le attribuzioni circostanziali, come queste:
- “Questo esame è durissimo”
- “Quel professore è davvero esigente”
- “Non sapevo abbastanza per essere promosso”
Tutte le precedenti affermazioni indicano la bocciatura come un evento dovuto a motivi particolari: la complessità di quella data materia, la severità di quel professore, l’insufficiente preparazione. Di seguito, invece, alcune attribuzioni globali.
- “Non so studiare”
- “Davanti al caratteraccio altrui, c’è poco da fare”
- “Mi mancano le capacità”
Un’attribuzione è globale quando è riferita a motivazioni generali come, per esempio, non essere abbastanza intelligenti, capaci, motivati, fortunati.
3. Lo stile attributivo, infine, può essere stabile o instabile
La terza e ultima proprietà dello stile attributivo è il grado di stabilità. Si definiscono stabili le spiegazioni basate su cause durature. Faresti attribuzioni di questo tipo se, nei panni dello studente, ti dicessi:
- “Non sono portato per lo studio”
- “Davanti agli ostacoli della vita, crollo”
- “Mi manca la spigliatezza che hanno gli altri”
Le tre precedenti sono affermazioni stabili perché spiegano la bocciatura con ragioni considerate, in genere, poco soggette al cambiamento, fra cui la mancanza di capacità, di forza e di disinvoltura. Al contrario, ecco alcune attribuzioni instabili.
- “Non saranno tutti come quello, i professori!”
- “Mi ha fatto proprio le domande che non sapevo”
- “Sono incostante nello studio, ed ecco i risultati”
Un’attribuzione è instabile quando si basa su ragioni passeggere: il comportamento altrui, la sfortuna, un momentaneo calo di motivazione.
Ogni spiegazione che ti dai sarà connotata da un certo grado di internalità, specificità e stabilità. Nell’immagine precedente sono illustrate otto affermazioni, ciascuna contraddistinta da una differente combinazione di queste tre proprietà.
Stile attributivo e autostima. Ecco la connessione
Sviluppi un certo stile attributivo per effetto degli insegnamenti ricevuti, delle esperienze fatte, di ciò che pensi del destino, del caso, del libero arbitrio e delle tue capacità.
Chi ha una buona autostima è portato ad attribuirsi il merito dei successi e a imputare la causa degli insuccessi alla malasorte o a circostanze momentanee. Chi non ha fiducia in sé, spesso, fa l’opposto: interpreta i buoni risultati come frutto del caso e i fallimenti come il risultato delle proprie scarse capacità.
Ironia della sorte, chi crede in sé interpreta le situazioni in un modo che favorisce l’adozione di decisioni e comportamenti efficaci e i buoni risultati che ne conseguono finiscono per confermare un’autostima già alta. Chi non ha fiducia in sé, invece, spesso impiega uno stile attributivo che ostacola la motivazione e l’impegno. Così, con maggiore probabilità incorre in cattivi risultati i quali, a loro volta, gli peggiorano l’autostima. Nella figura che segue è illustrato questo circolo vizioso.
Sei depresso, hai l’ansia o non riesci a superare un lutto? Attento al tuo stile attributivo!
Il modo in cui spieghiamo a noi stessi ciò che ci accade varia in base al contesto. Con l’espressione stile attributivo, infatti, si indica soltanto la tendenza a ragionare in una certa direzione. Un individuo, quindi, in una circostanza può compiere un’attribuzione interna, stabile e specifica e in un’altra una esterna, instabile e globale.
Questo è naturale. Ed è un bene. Assumersi la responsabilità dei successi e dei fallimenti è indispensabile per comprendere che il destino, il più delle volte, è il semplice risultato di scelte e azioni. L’impegno, la costanza e la disciplina presto o tardi danno i loro frutti. Dovrebbe tenerlo a mente chiunque sia impegnato in un percorso di studio o professionale.
Ma pensa a qualcuno tradito e abbandonato dal partner. Se a una simile circostanza applicasse un’attribuzione interna sarebbe spinto a insistere nel tentativo di riparare una relazione ormai finita, causandosi solo dolore e speranze frustrate.
Oppure immagina un giocatore d’azzardo sicuro di poter condizionare la sorte: il suo coinvolgimento nel gioco potrebbe diventare, con facilità, patologico. In effetti i ludopatici perseverano nel loro comportamento autolesivo, pur vedendo i debiti accumularsi, a causa di questa loro disfunzionale convinzione.
Sei depresso? Allora è probabile che tu abbia uno stile attributivo interno, globale e stabile, per esempio che ti senta un completo fallimento, incapace di raggiungere gli obiettivi nonostante l’impegno e gli sforzi.
Se sei ansioso, invece, è perché ti percepisci vulnerabile: alle malattie, alle critiche, alla perdita delle persone che ami. Forse, allora, hai uno stile attributivo esterno. Temi il futuro, ti senti precario rispetto alle avversità della vita e, in fondo, incapace di farvi fronte.
Non esiste un stile attributivo corretto in assoluto: sono le circostanze, di volta in volta, a determinare quale sia quello preferibile. Le buone scelte, l’autostima, il benessere e la serenità hanno a che fare, sempre, con uno stile attributivo flessibile, oltre che assennato.
A cura di Gabriele Calderone, psicologo psicoterapeuta. Riceve su appuntamento nei suoi studi di Parma e Reggio Emilia. Info 389 0468477 – 340 9925256.
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