“Mamma, dimmi come mi sento”. L’importanza della mentalizzazione per il bambino

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor
Illustrazione: Pascal Campion

Il bambino fissa un peluche e protrae le sue mani verso di esso. Il genitore osserva il comportamento del bambino e pensa “mio figlio vorrebbe prendere quel peluche per giocarci”. Ecco, questa è la mentalizzazione, un’operazione con la quale si tiene a mente la mente dell’altro (e propria). 

La mentalizzazione può essere definita come la capacità di leggere la mente propria e degli altricioè di attribuire a sé e agli altri stati mentali (credenze, desideri, emozioni e intenzioni) congrui e usare tali attribuzioni per prevedere i comportamenti altrui e rispondergli in modo adeguato. La mentalizzazione è alla base di concetti come assertività, fiducia, consapevolezza e resilienza, ma proseguiamo per gradi.

«Mamma, dimmi come mi sento»

Il titolo di questo articolo è emblematico. Se un neonato potesse chiedere qualcosa al suo caregiver per assicurarsi una crescita sana e funzionale, pronuncerebbe queste parole.

Il neonato viene al mondo come essere multi-sensiente. Può provare irritazione per la pipì nel pannolino, mal di pancia, fastidio per la polvere, fastidio se gli pizzica il naso, può provare appetito così come rabbia, gioia, paura, angoscia, fame, sete, desiderio… Solo che il bambino è inondato da tutti questi stimoli e non sa come gestirli.

L’unica cosa che vuole, per non sentirsi sopraffatto da questa marea di stimoli, è… essere rassicurato, intanto che imparerà a farlo da solo e a capire da dove arrivano quelle sensazioni così soverchianti. Un bambino non è in grado di auto-consolarsi, ne’ di auto-regolarsi. La regolazione sensoriale, entro i primi anni di vita, è un’operazione che viene compiuta in due: da un lato il bambino e dall’altro l’adulto di riferimento.

L’adulto è chiamato a contenere gli stati emotivi/corporei del bambino, offrendo un ambiente di contenimento entro il quale il bambino dovrebbe sentirsi sicuro. Entro questo “spazio regolatorio” (etero-regolatorio perché come premesso, il bambino ancora non sa come auto-regolarsi) il piccolo inizia a formare la sua identità, a capire chi è e… lo fa in base a come si sente (Mamma, dimmi come mi sento!).

L’identità del bambino si struttura sulla base di come l’adulto lo fa sentire. Ecco che scende in gioco la mentalizzazione. Purtroppo non tutti i genitori riescono a mentalizzare gli stati interiori dei figli restituendo al piccolo stati mentali del tutto auto-referenziati. Il bambino, in questo modo, non saprà come si sente ma come il genitore distorce ciò che egli pensa o sente… essendo il genitore il suo unico punto di riferimento, il bambino strutturerà la sua funzione riflessiva (mentalizzazione) in base a ciò che gli viene restituito dall’adulto. Cosa significa in termini pratici?

La falsa mentalizzazione

Facciamo alcuni esempi di errata mentalizzazione (attribuzione di intenti, desideri, sensazioni…) e come questa falsa mentalizzazione può nuocere all’identità del piccolo.

La scena è tra le più classiche. Il bambino insiste e vuole prendere un soprammobile in ceramica. Il piccolo cerca di arrampicarsi sulla sedia per raggiungerlo… la mamma gli dice ripetutamente “No!” “Fermo…Il piccolo insiste e prova ancora a raggiungere l’oggetto. La mamma dice: “Non si fa!” e intanto pensa: “mio figlio non obbedisce” –  è davvero testardo” –  “mi vuole sfidare… vediamo chi vince”.

In realtà, non esiste nessuna competizione in corso, non esiste nessuna obbedienza… Il bambino è semplicemente curioso. La mentalizzazione corretta dovrebbe essere: «il piccolo è molto incuriosito da quell’oggetto». 

La mentalizzazione non esclude l’esistenza di regole, semplicemente prevede di rispondere alla domanda «cosa c’è ora nella mente del bambino?» Senza cadere in proiezioni e desideri propri.

Il bambino non comprende la sfida, la disobbedienza, il capriccio… è solo bisognoso di rassicurazioni. Basta partire da questo concetto quando si è in difficoltà con le attribuzioni.

Restituendo al bambino la propria mente, si avranno ricadute positive sull’intero sistema familiare. Una buona mentalizzazione favorisce lo sviluppo psicologico sano e funzionale del bambino. Consente al bambino di sviluppare una propria identità senza dover sostituire i propri stati interni con quelli del genitore. Per esempio: se il caregiver mentalizza sempre il bambino come sfidante e disubbidiente, probabilmente il bambino inizierà a vedere se stesso e a costruire la propria identità in quei termini, mettendo in atto i classici comportamenti oppositivi-provocatori.

I vantaggi della mentalizzazione

Una buona mentalizzazione, consente al bambino di fare esperienza dei propri bisogni e dei propri pensieri, così da consentire un sano sviluppo dell’intelligenza emotiva che accompagnerà il bambino lungo tutta la crescita.

Tra gli altri vantaggi, rende i genitori più capaci di accudire i piccoli e gestire i momenti di crisi (emotive e comportamentali) dei figli. Al contempo, la mentalizzazione rende più armonioso il rapporto tra genitore e figlio, rinforzando quella che è la fiducia epistemica primaria e gettando le basi per la resilienza. Se il bambino impara a riconoscere se stesso come autonomo e riconoscere l’altro come degno di fiducia, riuscirà a muoversi nel mondo con la giusta dose di sicurezza e assertività.

Risvolti psicobiologici

E’ importante ricordare che durante l’infanzia, i bambini apprendono tutto ciò che sanno sul mondo. In questa delicata fase, il bambino è un organismo biologico in pieno accrescimento (cresce a vista d’occhio!) e nella crescita, si svolge anche lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Il neurosviluppo è condizionato da fattori endogeni (genetici) e fattori esogeni (come l’ambiente relazionale, cioè l’ambiente regolatorio).

Grazie alla mentalizzazione che vede un maggior coinvolgimento della corteccia prefrontale per regolare gli stati emotivi, si avrà una buona integrazione tra l’emisfero destro (memoria episodica, visiva…) e sinistro (memoria autobiografica, conoscenza acquisita…) del cervello. Una cattiva integrazione tra i due emisferi (connessi da una struttura nota come corpo calloso) sembrerebbe essere alla base dei disturbi dissociativi dell’identità, implicati nello sviluppo traumatico. Sono diversi i ricercatori (si vedano A. Bateman e P. Fonagy) che hanno associato lo sviluppo psicopatologico ai deficit della funzione riflessiva (mentalizzazione).

Una scorretta mentalizzazione accompagnata da un’iperstimolazione del piccolo con una costante eccitazione sovra-soglia, sono stati associati a disturbi del neurosviluppo come il deficit di attenzione e iperattività (A. Sroufe, B. Egeland, E. Carlson, A. Collins).

L’importanza della consapevolezza genitoriale

Il genitore ha un grande potere ed è determinante nello sviluppo della personalità e dell’identità del bambino. Un genitore consapevole può fare davvero la differenza. La mentalizzazione è fondamentale per consentire al bambino di costruire un Sé coeso, coerente e Autentico, ben lontano dal falso sé basato sulle attribuzioni genitoriali.

Mamma, dimmi come mi sento. Non è necessario che il genitore verbalizzi una risposta a questa domanda. Certo, un sostegno verbale può essere utile per allenare linguisticamente il bambino… ma la vera risposta del genitore arriva con i suoi atteggiamenti, il suo modo di porsi. I bambini sono degli ottimi osservatori: coglieranno la risposta osservando la mimica facciale, la postura e il comportamento di rimando del genitore.

“Facciamo esperienza di noi secondo quanto ci viene rimandato attraverso gli occhi e le menti di chi ci circonda. Il senso di sé di una persona, dunque, nasce dall’esperienza di essere nella mente degli altri, esperienza senza la quale esso semplicemente non si sviluppa” – G. Music

Letture consigliate per i genitori
Il genitore riflessivo, Pally R.
Letture consigliate per i professionisti
Regolazione affettiva, mentalizzazione e sviluppo del sé, P. Fonagy, G. Gergely, E.L. Jurist, M. Target