Non amare per paura di soffrire: sindrome da disconnessione interiore

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Soffrire per amore è doloroso. Quando finisce una storia si vive spesso un trauma, ma occorre davvero rinunciare all’amore per non soffrire? «Rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire». Così scriveva Jim Morrison, eppure la disconnessione interiore è un meccanismo che molte persone mettono in pratica. Significa scegliere di non provare nessun sentimento per non soffrire, significa “raffreddare” il cuore per proteggere l’anima da eventuali fallimenti, delusioni o ferite che non guariscono.

Questa strategia, in realtà, allontana da una partecipazione sana alla vita. Analizziamo per un momento lo scopo delle emozioni che proviamo. Ogni volta che si attivano nel cervello, scatenano una reazione in tutto il nostro essere. L’entusiasmo o la passione ci immergono in dinamiche che ci fanno sentire più energici e creativi che mai. Il dispiacere, invece, ci allontana da qualcosa o qualcuno, ma chi pensa che le emozioni negative non abbiano uno scopo o servano soltanto a renderci infelici, si sbaglia.

In realtà, sono proprio queste emozioni che hanno permesso a noi esseri umani di imparare, adattarci e andare avanti nel corso della nostra evoluzione e ciclo vitale. L’ansia e la paura sono meccanismi di sopravvivenza, segnali di allarme che dobbiamo saper interpretare per poterli tradurre in risposte di adattamento che garantiscano la nostra integrità.

Cosa sono le emozioni?

Un’emozione è qualcosa che ci muove, ci rimuove, ci agita, ci toglie dal luogo dove siamo. È uno stato mentale ma anche fisiologico che ci informa sul significato dell’esperienza che stiamo facendo e ci muove in una risposta utile alla “sopravvivenza”. Le emozioni ci informano sui nostri bisogni, ci aiutano a considerare diverse alternative. Ci motivano a mettere in atto un cambiamento, ci indicano cosa vogliamo fare e ci aiutano a relazionarci con gli altri.

Senza le emozioni la nostra vita sarebbe priva di significato, spessore, ricchezza. Le emozioni ci comunicano i nostri bisogni, ci orientano, ci guidano. Tuttavia molte persone non hanno una “buona relazione” con i propri vissuti emotivi: invece di “usarli” in modo costruttivo o tollerarli, si sentono incapaci, frustrate e spaventate perché li temono, perché li ritengono dannosi, limitanti, sbagliati o perché se ne sentono sopraffatti. Ecco che entrano in gioco strategie difensive come, per esempio, la disconnessione interiore. Prima di approfondire questo fenomeno, è giusto dedicare un po’ di spazio alla definizione di «emozione».

Innanzitutto cerchiamo di definirle: le emozioni sono fenomeni complessi che comprendono un’interazione tra fattori soggettivi e oggettivi, mediate dai sistemi neurali/ormonali, che possono dare origine a esperienze affettive come sensazioni di attivazione e di piacere/dispiacere o possono generare processi cognitivi e portare ad un’azione che può essere espressiva, finalizzata, adattiva o disfunzionale.

Possono essere classificate come emozioni primarie e tra queste abbiamo la gioia, tristezza, rabbia, disgusto, paura (o ansia), sorpresa, che sono condivise da persone appartenenti a diverse culture e quindi biologicamente radicate. Infatti, secondo la teoria differenziale il neonato possiede, fin dalla nascita, un certo numero di emozioni fondamentali e differenziate, basate su programmi innati e universali. Alcune emozioni sono, quindi, già presenti alla nascita, mentre altre emergono quando, nel corso dello sviluppo, devono assolvere un compito adattivo.

Queste ultime sono le emozioni complesse tra cui la vergogna, il senso di colpa, il rimorso, l’invidia, che sono condizionate e plasmate dall’esperienza. La socializzazione e l’acquisizione delle prime regole che l’ambiente impone come modalità idonee di esibire le emozioni, fanno sì che queste perdano la loro connessione iniziale con le espressioni fisiologiche e diventino sempre più socialmente determinate.

Ansia è un termine largamente usato per indicare un complesso di reazioni cognitive, comportamentali e fisiologiche che si manifestano in seguito alla percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso e nei cui confronti non ci riteniamo sufficientemente capaci di reagire. Come è chiaro, l’ansia di per sé, non è un fenomeno anormale. Si tratta di un’emozione di base, che comporta uno stato di attivazione dell’organismo quando una situazione viene percepita soggettivamente come pericolosa.

Disconnessione interiore: quando trascuriamo le nostre emozioni

L’uomo moderno si trova a contatto con diversi tipi di paure, con diverse tipi di situazioni e stimoli percepiti come soggettivamente pericolosi. Le paure e le ansie vanno da quelle suscitate da minacce esterne o pericoli fisici concreti fino ai timori, più soggettivi, che nascono dall’interno. Quei demoni personali che ci paralizzano, che ci tolgono l’aria e che senza dubbio hanno diverse cause.

Data la nostra difficoltà a gestire queste paure, talvolta optiamo per la sindrome da disconnessione interiore utilizzata come meccanismo di difesa. Questo dovrebbe metterci al riparo dall’esposizione a emozioni che ci appaiono troppo forti per essere gestite e ci sentiamo a rischio di esserne travolti.

Immaginiamo per un momento una persona qualsiasi, un giovane che abbia alle spalle un passato affettivo ricco di fallimenti. Il suo livello di delusione è talmente profondo che il ragazzo ha cominciato una nuova fase della sua vita. Riduce al minimo il suo impegno emotivo. Non vuole soffrire ancora né provare altre delusioni o disinganni.

I suoi meccanismi di difesa per raggiungere questi obiettivi sono ormai affinati: ha iniziato una complessa dissociazione tra pensieri ed emozioni al punto di “intellettualizzare” qualsiasi cosa. In questo modo, protegge il suo isolamento emotivo in qualsiasi momento. Fa ragionamenti del tipo: “Sono felice da solo, penso che l’amore sia una perdita di tempo e che intralci il mio futuro professionale”.

Queste sono le premesse perché si possa sviluppare la sindrome da disconnessione interiore. Tuttavia, e qui arriva il dato interessante, oltre ad innalzare una barriera per evitare di partecipare attivamente alla vita, si rischia di affondare nello stesso vuoto emotivo da cui vogliamo proteggerci.

Gli effetti della disconnessione emotiva

Chiudere le porte alle passioni implica spesso applicare questo schema di comportamento a tutti gli ambiti della vita, perché la persona che la prova smette di registrare dentro di sé tutte le emozioni.

Con il tempo il rischio è che emergano apatia, disinteresse, inaridimento emotivo, malumore, tendenza alla chiusura in sé stessi, rimuginio, insonnia. L’apatia può essere il risultato di una compromissione a qualunque livello del processo attraverso il quale formuliamo idee, le articoliamo per pianificare il raggiungimento di un obiettivo, riusciamo ad attribuire un valore emotivo all’obiettivo da raggiungere e collochiamo, infine, le idee alla messa in atto comportamentale.

Vivere in connessione con le proprie emozioni: un salvavita quotidiano

Se non avessi sofferto come hai sofferto, non avresti la profondità, l’umiltà e la compassione dell’essere umano” – Eckhart Tolle. Scegliere di non provare nulla per non soffrire non ha senso. Non ha senso perché l’essere umano non è un’entità razionale né una macchina.

Ognuno di noi è fatto di emozioni che fungono da guida e consentono di entrare in connessione con gli altri, di imparare a rialzarsi dopo una caduta, di piangere ogni dolore, di ridere dalla felicità e andare avanti a testa alta dopo aver superato certi pericoli che hanno comunque rappresentato un momento di consapevolezza. L’essere umano è progettato per agire, non per rimanere fermo e isolato  nell’insoddisfazione.

Quando il nostro equilibrio interiore viene in qualche modo turbato, una buona idea è raccogliere le energie, essere creativi e coraggiosi per ritrovare l’omeostasi interiore. Ed è così che possiamo raggiungere la pienezza emotiva o quel punto perfetto dove non manca nulla e niente fa male. Concediamoci di provare di nuovo le emozioni per entrare in connessione prima con noi stessi e per “rischiare”, poi, di stabilire un contatto con chi ci sta attorno.

Alla fine, il nostro cervello è una meravigliosa entità sociale ed emotiva che ha bisogno degli altri per stare bene, per stare in pace e in un equilibrio che si rivela essere necessario. Quindi, prendiamoci cura delle nostre emozioni.

Autrice:  Andrea Vannini, neuropsichiatra specializzato nella cura del DOC e consulente per IPSICOIstituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva