“Non valgo abbastanza”: un racconto zen ti spiega da dove nasce questa convinzione

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono frasi che ci portiamo dentro da sempre. Non le abbiamo mai dette ad alta voce, ma ci risuonano dentro come un’eco antica, come un mantra silenzioso che ci guida più di quanto vorremmo: “Non sono abbastanza”, “Non valgo”, “C’è qualcosa di sbagliato in me”. E per quanto la vita ci offra opportunità, relazioni, successi, quel pensiero latente riemerge, come una crepa invisibile sotto la vernice fresca.

A volte ci chiediamo da dove arrivi. A che punto abbiamo iniziato a dubitare del nostro valore?

È una domanda che attraversa ogni percorso terapeutico, ogni processo di guarigione autentico. La risposta, però, non è solo nei traumi, nelle frasi dette dai genitori, nelle esclusioni infantili. La risposta vera sta in come abbiamo imparato a guardare noi stessi. Per iniziare a rispondere a questa domanda, ti racconto una storia.

Il racconto zen del gioiello sepolto

Un giovane monaco si recò da un anziano maestro zen e gli disse: “Maestro, sento che dentro di me c’è qualcosa di sbagliato. Non riesco a trovare pace. Ho cercato in mille strade, ma torno sempre al punto di partenza. Mi sento vuoto, inutile, inferiore agli altri. Perché mi sento così?”.

Il maestro lo guardò con occhi gentili e gli disse: “C’è un’antica leggenda che parla di un uomo molto povero, che viveva in miseria senza sapere che, cucito dentro la fodera del suo vecchio mantello, c’era un diamante. Un gioiello preziosissimo. Era lì da sempre, ma lui non lo sapeva. Morì convinto di essere un miserabile, senza mai scoprire la ricchezza che portava con sé”.

Il giovane tacque, colpito. Il maestro allora concluse, con voce calma: “Tu sei come quell’uomo: vivi come se fossi privo di valore, ma non ti accorgi che dentro di te c’è un tesoro nascosto, un diamante cucito nel tuo essere. Quel diamante è il tuo vero valore. Non devi cercarlo fuori: è già con te. Solo che ancora non lo vedi

I messaggi invisibili che impariamo nell’infanzia

Questo racconto, come ogni parabola zen, è semplice ma profondissimo. Spiega in poche immagini una verità che la psicologia e la neurobiologia stanno cercando di raccontare da decenni: la nostra percezione di valore personale nasce da ciò che ci è stato rispecchiato. E spesso, quel rispecchiamento è stato incompleto, distorto, o del tutto assente.

Non serve che ci dicano apertamente “non vali”. Bastano piccoli gesti ripetuti, sguardi mancati, attenzioni negate, oppure, all’opposto, pretese eccessive che ci fanno sentire sempre in difetto. Il messaggio che arriva è: “Sei amato solo se ti comporti come voglio io”. E così impariamo che per essere visti, bisogna guadagnarsi l’amore. Il nostro senso di identità si costruisce così: dall’esterno verso l’interno, prima ancora che possiamo difenderci o scegliere.

Il valore appreso: la teoria dell’attaccamento

John Bowlby, padre della teoria dell’attaccamento, lo spiegava bene: il bambino costruisce l’idea di sé osservando come viene trattato. Se la figura di riferimento è accudente, disponibile, empatica, il bambino svilupperà un modello di sé come degno di amore e aiuto. Al contrario, se cresce tra freddezza, rifiuto o ipercriticismo, l’immagine che costruirà sarà quella di un sé sbagliato, fragile, inadeguato.

E non si tratta solo di emozioni. Le neuroscienze mostrano che le prime esperienze relazionali modellano fisicamente il cervello. Le aree deputate alla regolazione emotiva, all’autostima e alla fiducia si sviluppano attraverso interazioni ripetute e coerenti. Se queste mancano, il cervello si adatta… ma a sopravvivere, non a fiorire.

Il giudice interiore: quando il diamante viene coperto

Col tempo, la voce degli altri diventa la nostra voce interiore. Non ci serve più un genitore che ci critica: lo facciamo noi. In psicoanalisi si parla di super-io severo, quella parte della nostra mente che giudica e condanna senza pietà. È un riflesso degli sguardi che ci hanno formato.

E così, diventiamo gli artefici della nostra prigione. Non vediamo più il diamante che siamo perché ci siamo abituati a guardarci con occhi che non sono nostri. Occhi che cercano il difetto, l’errore, il confronto continuo con chi sembra valere più di noi.

Il bisogno di compensazione: iperperformance e dipendenze affettive

Chi non si sente abbastanza spesso cerca modi alternativi per guadagnare valore: eccellere, compiacere, sacrificarsi, diventare indispensabile. O, all’opposto, si rifugia in relazioni disfunzionali dove spera che qualcun altro gli restituisca quell’amore mai ricevuto. Si crea così una trappola perfetta: più cerchi di dimostrare il tuo valore, più ti allontani dal riconoscerlo. Diventi dipendente dalla conferma esterna, e ogni volta che non arriva, la vecchia ferita si riapre.

Le neurobiologie dell’autostima: cosa succede nel cervello

Anche il cervello ha una sua voce. Quando ci sentiamo inadeguati, si attiva l’amigdala, il centro delle minacce. Ogni errore, ogni rifiuto, viene interpretato come un pericolo per la sopravvivenza sociale. La corteccia prefrontale, responsabile della valutazione razionale, fatica a bilanciare l’attivazione emotiva.

Chi vive in uno stato costante di svalutazione interiore sviluppa uno squilibrio neurochimico, con alti livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e bassi livelli di serotonina, dopamina e ossitocina: le molecole del benessere, del piacere e della connessione. In altre parole: non sentirsi abbastanza non è solo un pensiero. È uno stato del corpo. È una chimica che avvelena ogni relazione, ogni sogno, ogni tentativo di felicità.

Il risveglio: vedere il diamante

Tornando al racconto zen, la svolta arriva quando il giovane inizia a mettere in dubbio la sua percezione. Quando accetta che, forse, non ha mai guardato davvero dentro di sé. È il primo passo per ogni percorso di guarigione: smettere di credere che i pensieri siano la realtà.

Guarire non significa costruirsi un’illusione positiva, ma tornare a vedere ciò che c’è sempre stato. Come il diamante cucito nel mantello, il nostro valore non si crea: si riscopre. Non ha bisogno di approvazione, solo di sguardi nuovi.

Cosa puoi fare oggi per iniziare a vederti davvero

  • Osserva la tua voce interiore. Di chi è la voce che ti giudica? A chi appartiene quel “non vali”? Spesso non è tua. Riconoscerlo è un atto di liberazione.
  • Smetti di guadagnarti l’amore. Chi ti fa sentire amato solo quando performi, non ti ama: ti valuta. L’amore vero riconosce il valore anche nei tuoi giorni peggiori.
  • Ricorda che il tuo cervello cambia. Ogni volta che scegli la gentilezza verso te stesso, stai creando nuove connessioni. L’autostima è un apprendimento, non un talento.
  • Circondati di chi ti rispecchia bene. Le relazioni curano quando ci fanno sentire visti, ascoltati, accolti. La tua solitudine non è colpa tua, ma oggi puoi cercare contesti più nutrienti.
  • Non aspettare di essere guarito per credere in te. Il valore non è il punto di arrivo: è il punto di partenza. Anche rotto, anche fragile, sei già degno di amore.

Ritrovare il diamante

Ci sono frasi che ci hanno insegnato a non vedere il nostro valore. Ma c’è anche una voce più antica, più silenziosa, che ci abita da sempre. È quella parte di te che, leggendo queste parole, sente una verità che non ha nome. Quel diamante sei tu.

Forse nessuno te l’ha mai detto. Forse sei stato educato a credere che non bastavi, che dovevi migliorare, conformarti, sacrificarti per meritare l’amore. Ma tu non sei nato per meritare: sei nato per essere. E in quello che sei, senza aggiustamenti, c’è già tutto il valore del mondo. Il viaggio per riscoprirlo è lungo. A volte doloroso. Ma non sei solo. Ogni volta che smetti di combatterti e inizi ad ascoltarti, stai tornando a casa.

E se ti serve una guida in questo percorso, ti invito a leggere “Il mondo con i tuoi occhi”, il mio libro nato proprio per aiutarti a riscrivere lo sguardo che hai su di te. Non ti offre ricette, ma strumenti. Non ti dice chi devi essere, ma ti accompagna a riscoprire chi sei davvero. Perché il tuo valore non si costruisce: si riconosce. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon

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Ti aspetto lì per continuare il viaggio.