Ohi, è quell’espressione usata per esprimere una sensazione fisica o morale. Alcune persone la usano generalmente per esprimere “sofferenze diffuse”, altre persone ne abusano usando l’ohi come manifestazione universale di piacere, di sconforto o di sgomento. Nell’articolo, il dottor Andrea Guerrini userà l’ohi come metafora di mille vissuti, tutti da scoprire ed esplorare profondamente.
Il potere salvifico dell’ohi
Uno spettro si aggira per le vie del corpo: un lamento incontrollato che si esprime a modo suo senza che nessuno lo interpelli. Il signor Ohi con la sua famiglia si aggira per le strade del soggetto. Non ha una meta precisa, segue una mappa tutta sua (o forse no) ed alberga dove meglio crede. Si sposta senza dire niente a nessuno e fa sentire la propria voce senza chiedere il permesso.
Ohi è trasversale, va dal cuore allo stomaco passando per la gola e salutando la testa. Ohi fa ciò che vuole. Abita momentaneamente in via dell’Insofferenza per poi soggiornare in Piazza della Sorpresa fino a soffermarsi su corso Soddisfazione.
Ohi non appartiene a nessun ceto sociale nonostante li frequenti tutti per poi distanziarsene. Ohi ti guarda in faccia con la stessa leggerezza con cui ti volta le spalle. E’ a suo agio in ogni contesto sociale nonostante il disagio della stanzialità: sublima serenamente in un “Ohi” di estasi divina fino a scendere nei meandri dei sospiri terreni. Si nutre di insofferenza per partorire godimento.
All’Ohi non interessano le buone maniere. Arriva senza avvertire, entra senza bussare e se ne va senza salutare. E’ un nomade esistenziale che dà voce all’inesprimibile. E’ la scomodità dell’autentico sentire che evita le inutili parole. Esprime solo ciò che non vuol far ascoltare e lo fa attraverso il suono che non ha pretese comunicative.
Vuol far solo arrivare il senso dello stare di chi dà voce all’”Ohi” affinché qualcosa cambi o faccia prendere coscienza all’esprimente di ciò che accade al proprio interno. E’ sorvegliante delle emozioni presenti, portavoce delle insofferenze, fomentatore di conflitti, manifestante attivo del disagio, redattore del godimento. E’ tutto e nulla insieme, allo tesso tempo, in momenti diversi. Ohi è così, strizza l’occhio alla finta espressione di disagio per celare un piacere inesprimibile.
I mille vissuti celati da un “ohi”
E’ l’Ohi dell’adolescente che finge fastidio difronte alle attenzioni dello spasimante di turno. E’ anche l’Ohi della saturazione della sopportazione che trova un buon alleato nella gesticolazione delle mani che si scuotono per scrollarsi di dosso il peso del non gradimento.
E’ l’Ohi del piacere finalmente raggiunto nella soddisfazione di appetiti non soltanto alimentari. E’ l’Ohi del “finalmente ci siamo…” La famiglia Ohi ha tratti comuni distintivi: si nutre di aria, la digerisce nel basso ventre e la manifesta al mondo attraverso l’emissione del caratteristico suono. Ohi però si distingue dagli altri componenti di famiglia per l’intensità del suono, la frequenza ed altezza. A seconda di questi tratti l’emittente rimanda una consapevolezza di sé diversa ed una reazione specifica nel ricevente.
Ohi crea confini, fa prendere coscienza delle invasioni di campo, aiuta a maturare la consapevolezza del piacere e della soddisfazione di un bisogno. Ohi libera, ma allo stesso tempo fa prendere coscienza delle proprie catene. Lega e slega, scioglie ad annoda. Ohi è così: scomodo e necessario allo stesso tempo; gradevole, liberatorio ed insopportabile. Insostituibile amico fidato inaffidabile.
Con Ohi puoi giocare, accetta di farsi coinvolgere anche se detesta essere comandato e controllato. Ohi ama le distensioni:
1) Sdraiati in posiziona prona e poi supina è possibile intrecciare le dita della mano destra con quelle della sinistra, ruotare i polsi e spingere distendendo gambe braccia. Allentando la mandibola e ruotando leggermente i fianchi a destra e sinistra, lentamente occorre distendersi favorendo gli sbadigli in modo che Ohi si senta libero di far sentire la propria voce.
2) Ohi di gola, di petto e di pancia hanno riverberi diversi. L’Ohi di gola libera da ciò che trattenevamo per timore di ferire o per esporsi. L’Ohi del cuore è la disponibilità all’apertura e l’espressione del piacere finalmente raggiunto. L’Ohi del petto è anche quello della preoccupazione, del peso insopportabile che in qualche modo può essere scrollato di dosso. L’Ohi della pancia è quello del non digerito (situazione, avvenimento), del rimasto sullo stomaco ma è anche l’Ohi del dolore, l’espressione del male subito sia esso fisico che morale.
In posizione seduta, con le gambe incrociate e le braccia rilassate che corrono lungo i fianchi, è possibile iniziare ad inspirare mandando indietro la testa, espandendo il torace ed aprendo le spalle. In fase di espirazione occorre invece portare il mento vicino alle spalle, contare la gabbia toracica e chiudersi nelle spalle. Qui occorre esprimere il proprio “Ohi” con l’intensità e l’altezza del suono caratteristici della condizione emotiva esperita (rabbia, soddisfazione, insofferenza, ecc.).
3) Gli esercizi possono essere svolti in coppia attraverso la negoziazione della distanza con l’altro. Con le gambe aperte quanto la distanza fra le spalle e le ginocchia leggermente flesse, i piedi paralleli è importante provare a stare in contatto con lo sguardo dell’altro. A seconda della distanza, della lettura dell’altrui sguardo, dell’attivazione emozionale (fastidio, rabbia, imbarazzo) è possibile esprimere il proprio “Ohi” cercando di farlo nella maniera più consona con il proprio sentire. L’Ohi è frutto di ciò che viene avvertito in presenza dell’altro è può essere espresso anche successivamente all’esercizio, mettendosi ad occhi chiusi, in connessione intima con il respiro.
4) Il contatto con l’altro: risorsa, limite, impedimento o gratificazione? Mettendosi seduti schiena contro schiena ed alternando momenti in cui la testa rimane diritta ad altri in cui invece poggia indietro verso la spalla dell’altro, occorre provare a sentire come percepiamo l’altro: risorsa oppure impedimento? Fastidio o supporto? L’Ohi, anche qui, aiuta a comprenderci meglio e a darci una vsione più chiara di come viviamo la prossimità fisica con l’altro.
5) Ohi come espressione di rabbia, fastidio e dolore: uno davanti all’altro è possibile provare ad imitare la gestualità e la postura tipica di chi è arrivato al limite della sopportazione, gridando “Ohi” con tutta la forza e con l’impegno massimo attraverso l’espressione gestuale e la mimica facciale adeguata.
Come dicevamo prima, ad Ohi spesso non piace essere comandato, non funziona a richiamo; ecco perché accade di non riuscire ad esprimerlo efficacemente dimostrando quanto possiamo non essere in grado di manifestare disappunto, rabbia, fastidio, ecc.
La pratica dell’Ohi, in sintesi, è aperta a tutti, è ciò che naturalmente esprimiamo nella vita di tutti i giorni. Credo che Ohi sia una risorsa preziosa da utilizzare, un compagno di vita che ci rimanda costantemente la fotografia del nostro stare e, allo stesso tempo, la via per esprimere la condizione del nostro cambiamento. Forse Ohi ci vorrebbe diversi, svincolati dalle nostre catene immaginarie, vorrebbe per noi il meglio. Ohi ci spinge verso il meglio per noi ma è un tacito suggeritore. Non ama le frasi fatte e detesta i discorsi retorici. Ohi spiega tutto con l’intensità del suo suono. Sta chi lo esprime capire cosa vuole dire.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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