Al giorno d’oggi è facile rendersi conto di quanto i rapporti sociali siano sempre piú complessi nella forma e nelle modalità di interazione ma anche piú fragili e meno supportivi da un punto di vista affettivo e di vicinanza.
La tendenza attuale è sempre piú di tipo “atomizzante”, nel senso di una collettività che va a definirsi come un insieme di individui a sé stanti che, pur facendo parte di un tutto interconnesso, permangono in uno stato di chiusura e, talvolta, di marginalità.
La sensazione è quella dell’isolamento nello stare insieme, della corsa alle connessioni virtuali per evitare il coinvolgimento, il mostrarsi sì, ma da dietro uno schermo protettivo e rassicurante.
Vi è la spinta allo stare insieme agli altri ma attraverso il proprio isolamento, così che spesso emergono emozioni legate alla paura alimentata dalla percezione di un futuro spesso percepito come qualcosa che ha a che fare con la dimensione privata e non come progetto collettivo da discutere e condividere.
La precarietà del lavoro, il timore per la salute nostra e di chi abbiamo vicino, la difficoltà ad affrontare serenamente le sfide della vita quotidiana, diventano assilli costanti che rendono difficile la capacità di tenuta mettendo in serio pericolo anche le relazioni affettive e gli equilibri faticosamente raggiunti. Tutto questo, ripeto, spesso è vissuto a livello individuale, nella personale dimensione solitaria percepita come l’unica possibile.
La rete di connessione sociale reale, fatta di presenza, partecipazione, sostegno affettivo e morale sfumano sempre piú all’orizzonte di un passato che sembra non avere piú niente a che fare con l’oggi. La percezione di un domani avvertito come minaccioso e carico di negatività impedisce di centrarsi su se stessi.
Gli altri esistono come presenze, non come nodi fondamentali per la tenuta della rete sociale, quindi, il senso di fragilità e di impotenza si fa sentire in tutta la sua dirompenza quando le difficoltà vanno ad incrinare le fragili certezze faticosamente costruite.
Le immagini di sé grandiose elaborate nel tempo attraverso l‘esasperazione dell’apparenza e della ricerca del consenso, non sono in grado di attutire i colpi assestati dai cambiamenti e dalle fasi di crisi. La delicata fase nella quale ci troviamo oggi è rappresentata dall’impossibilità di progettare un futuro a causa non soltanto della precarietà lavorativa ma anche per quella legata all’emergenza sanitaria.
Il non sapere cosa possa accadere di negativo ma sentendo ben chiaro a livello emotivo il peso della minaccia, crea uno stato di allerta e di ansia anticipatoria che infrange le certezze e la stabilità del nostro stare quotidiano.
Perdere la capacità di stare serenamente in pace con se stessi, nasce oggi forse piú che mai, dall’impossibilità di uscire dal senso di singolarità è di proiettarsi in una dimensione di “pluralità progettuale”.
La collettività quando non è vissuta come un insieme di nodi tipici di una rete supportiva e quindi non degna di fiducia, fa centrare l’attenzione unicamente su di sé, sulle personali risorse, rendendoci incapaci di chiedere aiuto o di farsi sostenere nei momenti difficili.
Nei momenti di fragilità anche una minaccia indefinita può trasformarsi in un pericolo concreto capace di minare non solo le certezze ed il personale equilibrio psicofisico ma anche di mettere nella condizione di non poter reagire adeguatamente per fronteggiare ed intervenire con efficacia per la propria autotutela. Il non sapere chiedere aiuto può diventare un pericolo grandissimo.
Il senso di frustrazione che ne deriva può aprire le porte alla costruzione di false convinzioni su se stessi, alimentando il senso di inefficacia e di solitudine di fronte ad un vissuto doloroso che spesso non è possibile comunicare a nessuno.
Come affrontare paura, tristezza e solitudine
Affrontare la tristezza, superare un momento di fragilità emotiva è possibile. Come psicologo e pedagogista ho messo a fuoco alcuni concetti che possono servire come indicatori per attivare alcune pratiche a livello individuale, in coppia o in piccolo gruppo, al fine di lavorare e condividere tutti quei vissuti che impediscono di vivere con pienezza e serenità perché schiacciati dal peso di un futuro percepito come minaccioso e privo di ogni rosea promessa, proprio perché concepito come fardello personale da far gravare unicamente sulle proprie spalle. Recuperare il senso di appartenenza e di collettività diventa ormai una priorità fondamentale.
Il lavoro con uno psicologo ad orientamento bioenergetico può servire per svincolarsi da una parte dalle maglie delle false convinzioni pessimistiche circa le proprie capacità e, dall’altra, attraverso l’integrazione corporea, attivare a livello emotivo le risorse per trasformare rabbia e tristezza in opportunità di crescita e cambiamento.
Il lavoro psico-corporeo prevede, ad esempio la possibilità di:
- Focalizzazione delle situazioni problema
- Chiarificazione dei punti cruciali
- Ridefinizione dei significati emersi
- Lettura dei fatti in un’ottica inedita
Consapevolezza delle emozioni sequestranti che impediscono di vivere con serenità il presente
Il lavoro può procedere, successivamente, sulla consapevolezza corporea in modo sciogliere quei blocchi e tensioni che rendono difficile l’espressione delle emozioni più autentiche.
Attraverso le pratiche di respirazione, il rilassamento indotto e le fantasie guidate è possibile sperimentare la consapevolezza di sé andando progressivamente a trasformare le emozioni come rabbia e tristezza che molte volte tendono a sequestrare i vissuti e ad appiattire il tono dell’umore.
Anche i pre-adolescenti e gli adolescenti possono trarre giovamento da questi incontri, andando ad indagare, per esempio, le motivazioni che impediscono di vivere la scuola con serenità ed appagamento.
Nel mio libro disponibile su Kindle “pratiche bioenergetiche integrate”, sono riportati i concetti del lavoro corporeo e gli esercizi che hanno come obiettivo quello di lavorare su rabbia, tristezza, paura e dolore. Inoltre sono presenti le attività necessarie per favorire l’espressione della gioia, attraverso la distensione e lo sblocco delle tensioni che impediscono la libera manifestazione delle emozioni.
L’armatura caratteriale si riflette nella struttura corporea e si evidenzia attraverso la manifestazione di rigidità, come il collo, le spalle, la schiena, le ginocchia, ecc. Lavorare sul corpo e con il corpo significa andare ad incidere sul carattere in modo da allentare le strutture difensive che impediscono di vivere la realtà in maniera piena e soddisfacente.
Il fulcro del lavoro è la condivisione dei vissuti, la percezione che gli altri possono essere risorse e non solo presenze che gravitano intorno a noi.
Sciogliere le emozioni significa anche sentire che dall’altra parte c’è chi le accoglie e le condivide. Queste sono le premesse per ricreare il senso di collettività, di insieme, di vicinanza e condivisione di progetti comuni.
Partendo da se stessi per aprirsi agli altri diventa la condizione necessaria per uscire dai limiti e dai vincoli delle convinzioni personali per percepirsi come parte di un tutto integrato.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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