Percezione del tempo: la memoria corta del narcisista e quella lunga della dipendente affettiva

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Il tempo è una delle armi più potenti che il narcisista possiede per mettere al tappeto il proprio partner.

Usato in maniera manipolativa così come è solito fare con qualsiasi altra cosa, il narcisista fa in modo che il vostro tempo scorra velocissimo e “pieno” durante il love bombing, lento e dilatato nei giorni della sua assenza, penoso e gravoso nei giorni in cui vieni punito col silenzio delle sue non risposte o, peggio, delle sue sparizioni.

Poi di nuovo veloce, concitato e a tratti vertiginoso, nei giorni dei suoi sorprendenti ritorni, quando stupisce con effetti speciali e promette che tutto andrà bene anche se, dopo poco, a migliorare, è solo la ferocia dei suoi comportamenti.

I narcisisti patologici vivono all’indicativo presente

Futuro e passato sono concetti fluidi, adattati costantemente ai bisogni del Falso Sé che li tiranneggia da quando erano bambini.

Se un futuro esiste, infatti, è un futuro pieno di magnifiche possibilità. Per questo non può essere programmato in nessun modo. L’occasione straordinaria (un nuovo amore, una stimolante sfida lavorativa, l’auto dei sogni, la pubblicazione o l’onorificenza a cui ambiva, la svolta economica che aspettava ecc…) è sempre potenzialmente dietro l’angolo, bisogna tenersi liberi e rimanere recettivi.

Il rifornimento narcisistico può trovarsi ovunque, perderlo vuol dire sprofondare in una sofferenza psichica che non riesce a tollerare. Chi ha avuto una relazione con uno di loro sa bene quanto possa risultare difficile persino organizzare un weekend fuori porta o un viaggio estivo: potrebbe perdere occasioni migliori!

Perciò fino all’ultimo non è dato sapere se verrà oppure no, sempre pronto a navigare per mari più pescosi, su barche più lussuose.

Se il futuro è potenzialmente magico, il passato invece è certamente straordinario. In realtà il passato non esiste per un narcisista nella maniera in cui esiste per chi il disturbo narcisistico di personalità non ce l’ha.

Quello che è solito chiamare “passato” infatti è solo ciò che selettivamente ha selezionato, tra le varie esperienze, come degno di essere inserito nel film della sua vita, in quel copione che ha imparato a recitare tutte le volte che qualcuno gli chiede di raccontarsi. E, ovviamente, ha selezionato gli spezzoni migliori.

È questo il motivo per cui i narcisisti sembrano avere la memoria corta: non ricordano gli abusi che infliggono ai loro partner, non ricordano di come si sono comportati male in quella o quell’altra occasione, non ricordano di aver pianto o di aver esagerato. Insomma non ricordano nulla di quello che può inficiare, scalfire o corrompere in qualche modo l’immagine grandiosa che il Falso sé chiede loro di mostrare senza tregua al pubblico.

Le persone che hanno subito l’abuso narcisistico, non si capacitano di come possa succedere che un narcisista patologico torni infinite volte, anche dopo mesi, anni, e si comporti come se nulla fosse successo. Del resto, nessuna persona sana potrebbe mai pensare che il ricordo di maltrattamenti psicologici o fisici inferti a qualcuno possa essere dimenticato con tanta facilità.

I miei pazienti mi chiedono spesso delucidazioni sul meccanismo della rimozione, convinti che un narcisista funzioni proprio nello stesso modo in cui funzioniamo tutti quando, per esempio, non ci ricordiamo un sogno.

Purtroppo, però, quello che accade nella mente di un narcisista patologico non ha niente a che vedere con quello che comunemente individuiamo come “rimozione”.

Se questa, infatti, non è altro che una dimenticanza selettiva, niente affatto casuale, di natura psicologica, che ha il fine di escludere dalla consapevolezza aspetti conflittuali o disturbanti della propria esperienza interna e di eventi ad essa connessi, l’oblio della memoria che “affligge” il narcisista è un meccanismo molto diverso, più subdolo, che origina da due vissuti:

1) dalla totale incapacità dei narcisisti patologici di comprendere la gravità dell’esperienza emotiva traumatizzante che infliggono alle loro vittime (sanno che è sbagliato, ma non comprendono fino in fondo il dolore che possono provocare).

2) dalla impossibilità di integrare nel Falso Sé esperienze e/o aspetti (di sé, degli altri e del mondo che li circonda) disturbanti o negativi.

È così che un narcisista può tornare, come se nulla fosse, all’indomani di un abuso o dopo mesi, o addirittura dopo anni, come se il tempo non fosse mai passato, come se non avesse mai fatto niente di sbagliato: non importa se ti ha lasciata a piangere per settimane senza risponderti o se ti ha umiliata davanti ai tuoi più cari amici.

Lui tornerà, non si ricorderà del dolore che ti ha inferto e probabilmente racconterà a se stesso (e a te) la stessa vicenda ma nella sua versione edulcorata, sempre e comunque dandole una coloritura emotiva che all’epoca dei fatti non aveva affatto.

Il narcisista vive in un eterno, rassicurante, sempre controllabile e manipolabile, presente. Per chi ci condivide la vita, al contrario, il presente appare perennemente precario, esattamente come lo è la storia che vive. Il futuro non è mai programmabile, a volte non è neanche pensabile, figurarsi se lo si può desiderare; il passato è il ricordo vago, un po’ sbiadito e nostalgico di ciò che si era prima di incontrarlo, prima di sacrificargli la vita.

Sono molte le donne che hanno condiviso con me il racconto delle loro storie di dipendenza con uomini narcisisti: tutte, persino quelle che concludono dicendo che quel dolore le ha rese più forti, introspettive e consapevoli, al loro narcisista non gli perdonano “il tempo”. Il tempo perduto, la vita che passa attraverso le dita e si sperde.

Alcune di loro gli hanno sacrificato l’adolescenza, la prima giovinezza, la spensieratezza degli anni universitari, le feste e gli amici, le memorabili ubriacature fuori e dentro le discoteche.

Altre gli hanno dato gli anni della prima età adulta, hanno immolato l’idea di famiglia che volevano costruirsi, la possibilità di vivere la maternità che sognavano. Sono andate ai matrimoni degli amici, ai battesimi dei loro figli e spesso l’hanno fatto da sole, perché lui neanche ci veniva. Anni che non tornano più, sogni ammuffiti.

Altre ancora hanno lasciato che si prendessero “gli anni della raccolta”, quelli della serenità e delle gioie della maturità, in cui si dovrebbero realizzare i sogni per cui si è lavorato una vita. Loro sono gli hanno sacrificato l’ultima bellezza, quella che la vita ha segnato esaltandola, senza sfiorirla.

Poi la storia finisce. Ahimè, con i narcisisti il finale è sempre scontato, e il tempo che gli si è regalato è sempre troppo.

Eppure, in coloro che attraversano una dipendenza affettiva, il tempo perduto assume spesso il colore della nostalgia. E niente più della nostalgia allunga inverosimilmente il tempo, tanto che nel provarla si ha la sensazione, netta, che la si proverà per l’eternità. Come una condanna.

E così, se il narcisista ha la memoria corta, la dipendente affettiva ha la memoria lunga, lunghissima. Ricorda le date che hanno scandito i momenti più bui della relazione e li sciorina come numeri della tombola ad ogni racconto di quello che ha vissuto.

Allora succede che per mesi, a volte per anni, anche quando la storia è ormai un ricordo, nonostante la consapevolezza che porvi fine non era semplicemente una scelta quanto una perentoria necessità, rimane in lei la sensazione d’aver perduto per sempre l’opportunità d’un amore straordinario.

La nostalgia di ciò che non c’è mai stato, di quello che non si è mai avuto, dei giorni che non si sono vissuti, dei baci che non si sono dati. In una parola (che noi italiani non abbiamo), di ciò che i coreani chiamano won, ovvero la difficoltà di rinunciare a un’illusione per guardare in faccia la realtà.

Se c’è qualcosa di più difficile che rinunciare a ciò che si è posseduto e poi si è perduto è rinunciare a qualcosa che poteva essere e non è stato: l’amore abortito, l’anima che non hai salvato, i giorni felici che non hai vissuto, la sfida che non hai vinto.

Non rimpiango le persone che ho perso col tempo, ma rimpiango il tempo che ho perso con certe persone, perché le persone non mi appartenevano, gli anni sì.

Uscire dalla dipendenza affettiva significa anzitutto riprendersi il proprio tempo: tempo per amarsi, tempo per coccolarsi, tempo da trascorrere con le persone che ci amano, tempo da dedicare alle cose frivole e a quelle impegnate che ci fanno stare bene.

Tempo per cucinare le torte, tempo per bere uno spritz con le amiche, tempo per leggere un libro col proprio gatto accoccolato sulle gambe, per andare al cinema a guardare un film che ci fa ancora sperare nell’amore, tempo per sudare in palestra, cantare a squarciagola (Do you believe in love after love?), cambiare taglio di capelli, fare cose che non avremmo mai pensato di fare.

Tempo per ridere, tempo per piangere. Tempo per guarire.

Non me ne voglia Carl Gustav Jung, che amo, ma a furia di rimpiangere gli anni perduti non si fa che perderne altri e sempre, guarda caso, nel nome del Narciso.

“Guarire”, ovvero venir fuori dalla dipendenza affettiva, presuppone cambiare l’unità di misura del tempo: non più i giorni della sua assenza ma quelli in cui tu ricominci ad essere presente a te stessa.

A cura di Silvia Pittera, Psicologa – Psicoterapeuta
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