Perché diventiamo insicuri? La spiegazione psicologica

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Da adulti diventiamo tutti genitori di noi stessi e, chi non veste il ruolo in modo adeguato (vuoi per scomode eredità, vuoi per inconsapevolezza…), finisce per sperimentare costanti insoddisfazioni e finisce per invischiarsi in amori sbagliati.

Quando ascoltiamo la frase «ognuno è responsabile di sé», in genere, tendiamo ad accoglierla con connotazione negativa. Intimamente, vorremmo che qualcun altro si occupasse di noi, risolvesse i nostri conflitti alleggerendoci dei pesi che ci gravano dentro. Vorremmo questo perché, sempre intimamente, riteniamo che la vita sia in debito con noi, che debba restituirci qualcosa di buono dopo averci tolto tanto. In realtà, nessuno può essere responsabile per te meglio di quanto faresti tu stesso! Essere responsabili di sé, significa restituirsi la responsabilità della propria felicità, significa, dunque, riconoscersi un grande potere: quello di potersi accogliere e auto-consolarci quando le cose si mettono male.

Se ti soffermi a pensarci, da adulti, verso noi stessi abbiamo le stesse responsabilità educative che gravavano sulle spalle dei nostri genitori quando eravamo bambini. Cosa significa in termini pratici? Che oggi, da adulti, dobbiamo auto-osservarci, accudirci, proteggerci e sostenerci al pari di quanto farebbe un buon genitore con suo figlio.

Le eredità emotive lasciate dai nostri genitori

Dai nostri genitori (biologici o adottivi) abbiamo appreso il modo per relazionarci con noi stessi e per sentirci al sicuro. Quando i modelli appresi sono disfunzionali, gli scenari che abbiamo possono essere i più disparati perché, sostanzialmente, non abbiamo mai imparato a occuparci di noi e delle nostre emozioni in modo adeguato. Allora avremo che alcuni si sentono al sicuro rifugiandosi nel cibo, altri si sentiranno al sicuro mettendo in atto evitamenti, procrastinazioni, per altri ancora scatteranno molteplici meccanismi di difesa. Gli scenari possono essere i più disparati ma la meta perseguita è la stessa: raggiungere un senso di sicurezza!

Con la maturità, quando finalmente diventiamo genitori di noi stessi (in altre parole, quando impariamo a prenderci cura di noi stessi), abbiamo le piene facoltà di fare un’autoanalisi e apportare cambiamenti di rotta qualora l’educazione emotiva ricevuta non dovesse garantirci una vita soddisfacente. Non possiamo cambiare l’eredità materiale che i nostri genitori ci hanno concesso ma certamente possiamo modificare il lascito emotivo ottenuto.

Nell’infanzia, dai nostri genitori abbiamo appreso un modo “disfunzionale” o “funzionale” per chiedere attenzioni, cercare comprensione e abbiamo appreso come rapportarci con il prossimo e l’ambiente circostante. Se queste modalità apprese sono funzionali, di sicuro riusciremmo a essere buoni genitori di noi stessi. Al contrario, se abbiamo appreso modalità disfunzionali, ora tocca a noi metterci in gioco per provare ad acquisire nuove nozioni.

Ciò che molti adulti non capiscono è che incolpare i genitori “di tutto” ha poco senso, anche chi è cresciuto con genitori disattenti o addirittura abusanti, da adulto, dovrà assumersi le proprie responsabilità educative e provare, con tutte le forze, a mettersi in salvo. Il percorso sarà sicuramente difficile, ricco di ostacoli e di credenze da sfatare… ma sarà un percorso che vale sempre la pena intraprendere. Chi è cresciuto con genitori abusanti, ha spesso fame di riscatto e questo fa rima con rabbia. Purtroppo non è attraverso l’abbaiare della rabbia che si cresce e non si cresce neanche con il veleno del rancore. È solo attraversando il dolore della delusione di ciò che ci è stato tolto che possiamo davvero evolverci e ottenere finalmente l’appagamento che meritiamo.

Cosa succede se non sono un buon genitore di me stesso?

Essere buoni genitori di se stessi non è un compito facile, così come non lo è stato per i nostri genitori esserlo. In primis, i nostri genitori hanno ricevuto un lascito emotivo scomodo che, in qualche modo, si è riversato su di noi. Per farti capire al meglio di cosa parlo, provo a farti un esempio un po’ banale ma calzante, non parliamo di abusi o modelli educativi estremi ma dello standard più diffuso, quello del genitore inconsapevole che, senza riflettere, si lascia guidare dai propri vissuti emotivi. Poniamo questo parallelismo.

Un bambino rovescia un’intera tazza di latte caldo nella pianta preferita della mamma. Il bambino sa che la mamma ci tiene tanto alle sue piantine e la mamma spesso gli racconta che “il latte fa bene, fa crescere sani e forti!“. La mamma, ovviamente non coglie le intenzioni del figlio, non sa “cosa c’è sotto”. Si limita ad accusare il colpo, a vedere che la sua pianta è bella che è andata.

Il bambino è ingenuo, non conosce che il mondo che gli racconta la sua mamma, quindi non sa che versando quel latte nella pianta, la sta facendo arrabbiare. È partito con idee nobili: voleva far crescere quella piantina sana e forte! La mamma, invece di spiegargli che “le piante bevono solo acqua”, esordisce con una frase tipo: ma che fai! Sei scemo?! Ora mi tocca buttare via tutto!”Magari gli molla anche un ceffone e lo sfogo finisce inesorabilmente con il bimbo che piange e la mamma risentita.

Il bambino voleva collaborare, aiutare la mamma, compiacerla… Il feedback che riceve lo sminuisce, lo scredita e gli fa perdere valore. Da episodi come questo, può pensare che ai problemi non c’è rimedio e che lui è un’incapace. Un singolo episodio del genere, avrà probabilmente poco impatto sullo sviluppo dell’autostima del bambino ma spesso, i bambini, sono esposti costantemente ad atteggiamenti analoghi, a svilimenti. Purtroppo, nella cultura educativa, il bambino viene trattato come un piccolo adulto subordinato al genitore e non con un organismo a sé che sta imparando, che seppur non conosce molto, non è subordinato a nessuno, ha pari valore, pari diritti, pari bisogni…!

Cosa c’entra tutto questo con la vita che stai vivendo? Oggi che sei adulto, tu, quando provi un’emozione più soverchiante, che sia di paura, di insicurezza o sconforto, fai proprio come tua madre (o tuo padre) ha fatto con te. Tendi a etichettarla come “stupida” senza ragionarci su, senza comprendere l’ingenuità di partenza. Magari ti ripeti frasi come “lo so che è stupido ma mi sento così...” oppure, ancora, “ciò che sto provando è sbagliato, non dovrei aver paura e preoccupazione”, “è banale, mi perdo in un bicchier d’acqua…“. Tutto questo non fa altro che invalidare ciò che sentiamo dentro. Tutto ciò che senti dentro ha un’origine e non è affatto stupido!

Queste reazioni di autocritica a loro volta diventano un evento scatenante atto ad incrementare l’intensità dell’emozione primaria sperimentata (alla base dell’insicurezza, dello sconforto, della disperazione e dell’ansia, vi è la paura) e a innescare un’emozione secondaria come la vergogna o il senso di colpa, un senso di inadeguatezza, e altri vissuti che sfociano in bassa autostima, rabbia e frustrazione.

Da bambini, invece di imparare la lezione (rifletti bene prima di agire), introiettiamo l’approccio genitoriale ammonente e così andiamo avanti, anche da adulti, di invalidazione in validazione. Guarda che “la lezione” da imparare è solo un rifletti bene! Sii curioso, domanda a chi ritieni ne sappia più di te, confrontati… Invece, con quelle modalità, la lezione che impariamo è: ciò che pensi, che provi e che tenti di fare è stupido, non servirà ai tuoi scopi. Ecco che apprendiamo l’insicurezza.

Educazione emotiva appresa da adulti

Assumiti le tue responsabilità emotive, rivendica il tuo potere! Prova a darti le giuste rassicurazioni e inizia a essere un buon genitore di te stesso. Puoi rispondere a una tua qualsiasi reazione emotiva con comprensione, benevolenza, interesse e partecipazione, tutte risposte che possono portare a un aumento dell’autostima e del senso di padronanza. Tutte risposte che ti renderanno un buon genitore di te stesso.

Sì, ma… una volta appreso un modello disfunzionale, come fare a correggerlo?
Innanzitutto non temere di chiedere aiuto e farti guidare da un esperto e poi, presta attenzione alle esperienze che sperimenti. Come un genitore vigila sulle frequentazioni del figlio, tu dovrai prestare attenzione a come vivi la tua vita. Pratica una buona auto-osservazione.

La qualità dell’esperienze che fai è importantissima perché quello che vivi può rinforzare le tua credenze erronee (i tuoi modelli disfunzionali) o ridimensionarle. Le relazioni che instauri possono diventare per te una grande risorsa o viceversa un grande limite. Le esperienze emotive correttive possono aiutarti molto a risanare i tuoi modelli. Con le esperienze emotive correttive acquisisci nuove informazioni e capisci che c’è un modo migliore per prenderti cura di te. Un modo che si discosta molto da quello appreso durante l’infanzia.

Non dimenticarti che tra le persone che ami ci sei anche tu

È mai possibile andare “contro se stessi”? Purtroppo sì, questo capita quando non ti hanno insegnato a riconoscere il tuo valore. Come spiego nel mio ultimissimo libro, siamo la sintesi dei nostri vissuti e, il modo in cui ci comportiamo con noi stessi, riflette in qualche misura il modo in cui gli altri ci hanno trattato durante l’infanzia. È lì, a quell’età che impariamo come scendere a patti con noi stessi, se rispettarci e stimarci oppure se metterci da parte e calpestare i nostri diritti emotivi e finanche negare i nostri bisogni!

Se hai voglia di imparare a conoscerti -per davvero!- e a guardarti con i tuoi occhi (e non come ti guardano gli altri), ti consiglio la lettura del mio nuovo libro «il Mondo con i Tuoi occhi». Si tratta dell’attesissimo saggio di psicologia incentrato sull’affermazione personale, cinque capitoli che ti porteranno alla scoperta di quel potenziale che, da troppo tempo, è assopito dentro di te e non chiede altro di esplodere! Per immergerti nella lettura e farne tesoro, dovrai aspettare un pochino: il libro è ora in pre-order (puoi ordinarlo qui su Amazon) e sarà disponibile in tutte le librerie a partire dal 29 ottobre.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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