Perché feriamo le persone che amiamo

| |

Author Details
Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Come riconoscere se il nostro modo di amare è sano e portatore di benessere o se invece prepara il terreno a infelicità e frustrazione? Basta osservare come ci comportiamo e con quali atteggiamenti mentali ci poniamo verso la coppia. Molte persone tendono infatti a essere rabbiose nei confronti delle persone che maggiormente amano; con il partner, con i figli oppure oppure con i genitori. Perché?

Voler ferire a tutti i costi e senza un motivo apparente, le origini

Bisogna riflettere quando basta una piccola indelicatezza o una minima scorrettezza da parte di una persona cara per suscitare una forte reazione di rabbia. In questo caso, bastano delle piccolezze come un ritardo di un quarto d’ora o la mancata risposta a un sms per provocare una lite furibonda durante la quale si dicono o si fanno delle cose di cui in seguito ci si pentirà amaramente.

La rabbia che si può estrinsecare verso un partner deriva da questioni inconsce, regressive, legate a una rabbia primaria che si è vissuta nell’ambito parentale, dalle prime cure materne, alla relazione con il padre, i fratelli, e l’ambiente socio-educativo. La rabbia che il bambino è incapace di esprimere e di elaborare viene rimossa, e il rimosso può poi ritornare, riemergere in una relazione passionale adulta. D’altra parte se non agisse una rimozione vi sarebbero difese nevrotiche e psicotiche più gravi, di carattere psicotico, dissociativo, autistico, schizoide.

Da ciò deriverebbero anche i disturbi di personalità inerenti la sfera delle relazioni affettive, di carattere narcisistico, borderline, isterico-istrionico e finanche psicopatico/antisociale. Ma a prescindere dalle etichette psichiatriche diciamo che la rabbia è tanto più cattiva, quanto più ha un sottosuolo inconscio che non è stato bonificato. Il dolore dell’abbandono, o di un male subìto nell’infanzia, possono tradursi in rabbia malefica, da ciò può svilupparsi la ‘cattiveria’ che ha motivazioni inconsce.

La cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro di te che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via.

Elaborazione della rabbia

È naturale e sano provare rabbia ed altre emozioni negative in alcune situazioni. Quando impediamo alla nostra rabbia di esprimersi in maniera sana, si crea uno squilibrio a livello emotivo. Così questa emozione tende a nascondersi in una parte profonda del nostro inconscio e a riaffiorare molto più grande e forte proprio in alcune situazioni che la scatenano, ma non sembrano essere giustificate.

Una rabbia esplosiva può causare la fine di una relazione sentimentale, o di amicizia, così come una rabbia repressa può influire negativamente anche sulla salute psicofisica. La società in cui viviamo spesso ci fa vivere questa emozione in modo ambivalente: se da una parte questa emozione difende il nostro Sé e agisce come protezione da probabili attacchi esterni, dall’altra parte può essere vissuta come un atto aggressivo verso terzi e quindi capace creare conflitto nelle relazioni interpersonali.

Come si estrinseca la rabbia in età neonatale e infantile

Melanie Klein aveva individuato come la rabbia nei neonati e poi nella prima infanzia sia una componente essenziale dello sviluppo psicologico ‘normale’. I bambini vivono fantasie di rabbia devastanti, praticamente psicopatiche, che la Klein indica come ‘schizoparanoidi’ nella dinamica “seno buono” – “seno cattivo”.

La madre viene vissuta dal neonato come buona quando soddisfa tutti i suoi bisogni, ma se il neonato avverte anche solo un minimo disagio, ad esempio un mal di pancia, una sensazione di fame o di sete, non immediatamente soddisfatta si arrabbia e odia la mamma ritenendola ‘cattiva’ e fantastica di punirla e di distruggerla. Poi però, in uno sviluppo normale subentra la ‘fase depressiva’, per cui il neonato si pente della sua distruttività verso la madre e vuole ‘riparare’ .

Si tratta di un conflitto evolutivo ‘normale’ tra odio e amore che può lasciare tracce più o meno importanti, e talvolta psicopatologiche, nel carattere di un individuo e quindi con pesanti conseguenze nella vita adulta, quando ad esempio la fase schizoparanoide viene rivissuta inconsciamente nei confronti di un partner.

Qualsiasi bambino può vivere intensi sentimenti di rabbiosa gelosia e invidia verso i genitori. I problemi nascono quando questo normale esperire la rabbia viene bloccato o punito eccessivamente o in modi ambigui. Ogni bambino piccolo, a causa delle sue normali frustrazioni biopsichiche, nutre un certo odio verso chi ama, e questo genera senso di colpa, bisogno di essere punito e al fine nuova rabbia.

Dalla rabbia ai sensi di colpa….il circolo vizioso

Fortunatamente, attraverso il gioco il bambino può elaborare simbolicamente la sua rabbia, cioè farla emergere dal rimosso, dal tentativo di repressione senza sfogo, e dargli invece un sfogo distruttivo/creativo, ovvero che consente anche un’ elaborazione e una riparazione con lo sviluppo di sentimenti d’amore e il superamento del senso di colpa. In effetti il senso di colpa nasce e si radica nell’inconscio quando si è provato un forte odio verso le persone amate – i genitori – colpevoli in misura maggiore o minore di non aver compreso i bisogni affettivi del bambino.

Al fine di uscire dalla spirale di rabbia e senso di colpa i bambini distruggono giocattoli, fanno a pezzi le bambole, si divertono a mettere in scena mostri e aggressioni che hanno una violenza inaudita, ed in tal senso possiamo comprendere anche la funzione psicologica delle fiabe, piene di divoramenti, rapimenti, tormenti, assassinii, malefici che, tuttavia sono necessari affinché il pathos si risolva e si rivaluti nel lieto fine.

La rabbia è sempre distruttiva? La rabbia repressa

E’ necessario che vi sia uno sfogo, che quindi qualcosa possa esplodere, ma ciò dovrebbe diventare una sorta di “motore a scoppio”, deve cioè avere una funzionalità vitale evolutiva, piuttosto che mortale e regressiva. D’altra parte la psiche umana ha bisogno naturalmente anche di elaborare, di regredire, di soffrire affinché possa costituirsi, possa vivere…

Tuttavia se la rabbia diventa costante e cattiva, che fa male ad altri in modo ingiusto essa va elaborata sul nascere, diagnosticandola come un sintomo che non è solo segno di malattia, ma anche di una salute che può essere recuperata.

Spesso lo sfogo non ha modo di estrinsecarsi, la rabbia dunque resta repressa nell’inconscio al punto che la persona non riesce a riconoscere che prova rabbia, non la sente, ma questa c’è e genera frustrazione, calo dell’autostima e quindi depressione. In buona sostanza la rabbia non riconosciuta ed elaborata si trasforma in subdola rabbia verso se stessi, fa sentire ‘sbagliati’, difettosi, e persino negativi, e quindi insicuri e depressi. Ecco perché sentendola, affrontandola ed esprimendola in maniera costruttiva sarà possibile passare da tensione, stress e ansia a tranquillità, leggerezza e libertà emotiva.

Come posso cambiare il mio atteggiamento rabbioso? Perdonare se stessi

Non è risolutivo limitarsi ad ammettere il male che abbiamo fatto a coloro che abbiamo ferito, parlando del nostro sincero pentimento e chiedendo perdono; teniamo a mente che non possiamo forzare qualcuno a perdonarci. Essi avranno bisogno del loro tempo per perdonare.

Non sentirti impotente di fronte alla tua rabbia

Se pensi che sia più forte di te, quasi come un “mostro” che ti comanda dall’interno e al quale ti senti costretto ad ubbidire, o che sia un Alter-Ego, cioè una parte della tua personalità di cui non hai controllo, sappi che ti sbagli!

Prevenire è meglio che curare

Più che chiedere scusa è fondamentale impegnarsi a perdonare se stessi. Mantenere risentimento verso sé stessi può essere deleterio nello stesso modo come mantenere risentimento verso qualcun altro. Un comportamento mediocre o degli sbagli non fanno di noi un essere cattivo o inutile. Accetta il fatto che tu, come chiunque altro, non sei una persona perfetta. Accetta te stesso a dispetto dei tuoi sbagli. Accetta i tuoi errori. Cerca di trattare gli altri con compassione, empatia e rispetto. Magari parlare con un amico/parente fidato può essere utile.

Datti il permesso di andare avanti

Noi non siamo i nostri errori, i nostri errori non ci definiscono come persona. Noi siamo molto più di questo. Quello che veramente dimostra il nostro valore è il modo in cui affrontiamo questi errori. In ogni caso, ricorda sempre le parole dello scrittore tedesco Gotthold Ephraim Lessing: “Non c’è niente di peggio che sbagliare per timore di commettere un errore”. Quindi fermati un attimo, guardati allo specchio e chiediti perdono per non esserti sentito abbastanza. Riconciliati con te stesso, dal profondo del cuore. Datti l’occasione di alleggerirti di un peso che non ha senso portarti con te: il peso di sentirti sbagliato per gli errori del tuo passato.

Vuoi davvero voltare pagina?

Siamo tutti il frutto del nostro passato, siamo diventati quello che siamo a causa, (o grazie) alle esperienze che abbiamo avuto in famiglia, con gli amici, a scuola, al lavoro, nelle relazioni. Possiamo però non limitarci a “essere la conseguenza di quello che è stato”, ma regalarci la possibilità di essere semplicemente come meritiamo di essere. Se vuoi migliorare la tua presenza e diventare più consapevole di cosa avviene dentro di te, ti consiglio la lettura del mio libro. «D’Amore ci si ammala, d’Amore si guarisce». Ogni pagina parla di te, delle Tue emozioni, dei Tuoi pensieri, dei Tuoi sogni, ma anche delle tue paure, dei problemi, delle difficoltà che vivi. Attraverso la lettura ti prendo per mano e ti spiego come trovare le risposte che cerchi, e acquisire maggiore libertà di scelta, svincolandoti dai bisogni insoddisfatti e costruendo la tua piena autonomia. Il libro puoi acquistarlo in libreria o a questa pagina Amazon.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Se ti piace quello che scrivo, seguimi sul mio profilo Instagram: @anamaria.sepe.
Se ti piacciono i nostri contenuti, seguici sull’account ufficiale IG: @Psicoadvisor
Puoi leggere altri miei articoli cliccando su *questa pagina*