Perché le persone più sensibili sono le più forti

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Dovremmo capovolgere il mondo. Quel tanto sentito «Sei troppo sensibile!» dovrebbe tramutarsi in un invito a essere più sensibili. Perché sono le persone che sentono tutto quelle più capaci di cambiare, più pronte ad affrontare qualsiasi situazione e sì, sono le più resilienti.

«Il tuo problema è che sei troppo emotiva/o», «Non essere così sensibili!», «Ma che fai? Ti commuovi per tutto…?», E così via, sono tante le varianti sul tema, ma il succo è sempre lo stesso, un tentativo di ammutinare le espressioni emotive altrui.

Il mondo dovrebbe rovesciarsi, dovremmo essere molto più attenti alla sfera emotiva, dovremmo invitare le persone a entrare in contatto con la propria emotività, perché sono le persone che sentono tutto quelle più capaci di cambiare, pronte ad affrontare ogni nuova sfida e sì, sono le più resilienti.

In virtù di questo dovrebbero diffondersi frasi come: «dimmi cosa senti», oppure «cerca di essere più a contatto con le tue emozioni», «non essere così composto, tira fuori quello che provi!». Questo purtroppo non accadrà a breve. Viviamo ancora in una società in cui chi piange, deve farlo di nascosto. Chi è triste, deve trattenere le lacrime e ingoiare quel dannato magone.

Perché le persone più sensibili sono le più forti

Per capire –in senso pratico– perché le persone più sensibili sono le più forti, ti propongo il racconto di Camila. Camila è un nome di fantasia, assegnatole per proteggere la privacy della sua testimonianza.

“Non mi sono mai sentita dire frasi come «sei troppo sensibile» anzi, i ragazzini a scuola mi riservavano frasi come «hai un cuore di pietra», «sei di ghiaccio», «sembri uno stupido robot» e così via. La mia impassibilità davanti a ogni commento non li fermava. Sicuramente c’è stato un tempo in cui le sentivo le emozioni, ma non le esprimevo. Ma poi, anno dopo anno, ho smesso completamente di sentirle.

Sono cresciuta con l’appellativo di «maschiaccio» perché il mio stoicismo non era adatto ad una ragazzina. Vivevo le reazioni emotive come una mancanza di autodisciplina mentre identificavo la freddezza emotiva come un segno di controllo, potere e padronanza di sé. Ero così brava a manipolare le mie emozioni che a 12 anni sapevo già piangere a comando.

Le manifestazioni emotive, per me, erano qualcosa da simulare. Così ridevo quando la circostanza richiedeva un sorriso, facevo facce tristi quando gli altri si aspettavano che lo fossi. Ero diventata così indifferente a tutto e a tutti che anche le norme sociali non facevano presa su di me. Entravo e uscivo da scuola quando mi andava, non conoscevo regole o orari, facevo tutto quello che volevo, mi sentivo padrona e sicura. In fondo, quando non riesci a sperimentare neanche la paura, perché rispettare delle stupide regole?  Le regole erano per gli altri ma non per me. Io ero diversa.

 Quanto ti ripetono più e più volte che non possiedi un cuore, quando ripeti a te stesso che non provi niente, come per magia, diventa vero. La fase delle prime relazioni sentimentali fu davvero strana. Non mi innamoravo degli altri nel senso genuino del termine, nel modo in cui i ragazzini sperimentano i loro primi amori, piuttosto io mi lasciavo ossessionare da qualcuno per un po’. Il tempo di masticarlo e poi sputarlo, nessuno avrebbe potuto saziarmi. Nessuno era abbastanza per l’abisso che mi portavo dentro.

La mia emotività era del tutto appiattita, potevo affermare di amare qualcuno e simulare l’intensità del sentimento e… dopo due giorni non ne sentivo neanche la mancanza. Era tutto falso. C’è sempre stato un mure immenso tra «me» e «gli altri». Io non appartenevo a nessuno, anzi, io possedevo: davo un’importanza sovrumana a cose materiali e alla mia istruzione. Studiavo e lavoravo. Avrei voluto consacrare la mia vita al mondo della ricerca, tagliando via ogni legame ma a un certo l’assenza della vicinanza emotiva iniziò a pesarmi.

Come fa a mancarti qualcosa che non hai mai conosciuto? Qualcosa di cui, in realtà, non hai mai sentito il bisogno? Ad aprirmi gli occhi fu un fallimento accademico che sconvolse la mia vita. Mi fu negata una borsa di ricerca e tagliata fuori da un progetto che io stessa avevo perorato. Non importava infrangere le regole, non importava chiedere favori o impegnarsi, ormai ero fuori. Ero stata rifiutata. Allora sprofondai in una disperazione tale, mi sentivo così inutile. Nessun essere umano avrebbe potuto consolarmi o capirmi. Avevo solo 25 anni e la mia vita era già finita.

La mia esperienza con la depressione è iniziata così. Solo imparando a riscoprire la mia sensibilità perduta, ho iniziato a trovare la via d’uscita da quell’abisso emotivo. Da allora ho capito che le emozioni sono sempre un punto di forza. Bisogna coltivarle, alimentarle, tirarle fuori e usarle per orientarsi nella vita. Senza emozioni siamo solo stanze vuote, buie e fittizie. Possiamo consacrare la nostra vita anche alla più nobile causa, possiamo diventare abili bugiardi e mentire sulla propria identità solo per gioco… ma in realtà, senza legami umanisenza vicinanza emotiva, non potremmo mai affermare di aver vissuto davvero. Senza emozioni, siamo dei gusci vuoti e privi di un reale significato.

Un tempo, quando provavo a guardarmi dentro trovavo l’abisso, ogni cosa di me parlava di assenza e di distacco, ma non lo sapevo. Vivevo nella costante negazione di me, così lontana dalla mia sfera emotiva che neanche sapevo di averla. Oggi quel vuoto non c’è più, ho imparato a guardare oltre: le mie mancanze di ieri non sono più il mio vuoto di oggi.

Ho scoperto che sentire le emozioni, questo è il vero potere. Ho dovuto lavorare molto su me stessa e, nel frattempo, ho anche deluso molte persone. So che nel mio presente e nel mio futuro questo non capiterà più, perché quando impari a sentire le tue emozioni, hai la sensibilità giusta per rispettare l’altro e accettarlo per ciò che è.

Sono arrivata a 26 anni con l’emotività appiattita di una dodicenne. L’assenza di emozioni non consente una vera evoluzione, ti preclude ogni cambiamento perché il domani è la fotocopia di ieri.  Cambiano le facce, i gesti, le azioni, ma tutto rimane immutato. Senza emozioni, tu sei sempre lo stesso, il tuo corpo invecchia ma tu non riesci a maturare.

Ci sono voluti 5 anni di duro lavoro introspettivo, ma alla fine l’ho capito. Ce l’ho fatta: ora posso sentire, adesso vivo davvero!”

Emozioni: resilienza e cambiamento

Chi è più sensibile, riesce ad emozionarsi per il profumo dei fiori, le nuvole che fluttuano in cielo, per le foglie che cadono dagli alberi… Riescono a sentire la vita nella sua pienezza. Non hanno bisogno di impegnarsi in imprese impossibili, ne’ di mentire o simulare qualcosa.

Chi riesce a tenersi in contatto con le sue emozioni, può  guardarsi dentro senza correre il rischio di essere risucchiato in un abisso senza fine. Può stringere legami profondi e gioire di un’intimità condivisa. Chi è molto sensibile, può cambiare, può crescere, maturare, evolversi e se un giorno dovesse smarrire la strada, saranno le sue emozioni a mostrargli il sentiero giusto.

Le emozioni funzionano come una bussola. Possono guidarci nelle scelte più difficili e, quando in perfetta armonia con i propri bisogni più profondi, possono proteggerci da manipolazione emotiva e relazioni disfunzionali. Con una sana emotività, non ci sarà più spazio per risentimenti e rimorsi perché tutto si muoverà in armonia con il tuo benessere.

L’alfabetizzazione emotiva

Il processo di alfabetizzazione emotiva dovrebbe avvenire durante l’infanzia, ma non tutti hanno questo privilegio.

Quando c’è una forte emotività appiattita, spesso, l’unica emozione che si sperimenta è la rabbia. Parte di quella rabbia può essere auto-diretta, mentre un’altra parte si trasforma in frustrazione e aggressività. Chi si ritrova a fare i conti con la rabbia, dovrà cercare di comprendere cosa si trova sotto la superficie. Chi invece, come Camila, è completamente dissociato dalla sua sfera emotiva, dovrà fare un attento lavoro su se stesso: dovrà imparare a conoscersi.

In quel «vuoto assoluto», sotto quel fitto strato di rabbia, bisognerebbe cercare un profondo senso di auto-accudimento. Ripartire da lì per imparare a conoscere e accogliere, una a una, tutte le emozioni ignorate fino a quel momento.

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