Un lutto improvviso rappresenta una sfida profonda e immensamente complessa per coloro che rimangono; è scioccante e disorientante, riducendo la nostra capacità di affrontare e capire cosa è successo. Sebbene il processo di lutto sia unico per tutti, una perdita improvvisa non consente al lutto di prepararsi adeguatamente per entrare in questo processo. Una morte improvvisa distrugge il senso di sicurezza della persona, perché tutti inconsciamente crediamo di essere in qualche modo immuni dalle malattie, dagli incidenti e dalla morte.
È un meccanismo di difesa dell’essere umano quello di evitare di confrontarsi costantemente con la fragilità del proprio essere, in particolare con la paura della morte. Quando capitano malattie improvvise, incidenti e morti le persone che restano sono letteralmente sotto shock e l’unica cosa che ci si riesce a chiedere è: Perché è successo? Perché proprio a me?
Non tutti elaborano il lutto allo stesso modo
La morte di una persona cara è un’esperienza unica, estremamente privata e personale. Nonostante questo faccia parte di un processo naturale, la verità è che comporta un grande dolore che si esprime in modi diversi a seconda di ogni persona. Perché se il dolore in sé è un’esperienza universale, tutti lo affrontiamo ad un certo punto della vita, non è universale il modo con il quale lo attraversiamo: non è la stessa esperienza per tutti. Questo è ciò che rende così difficile definire e discutere il dolore. Ciò che è vero per una persona non sarà lo stesso per un’altra.
Da un lato c’è chi mette da parte la propria vita per l’intensa angoscia che prova e che gli fa pensare che sia impossibile andare avanti. All’estremo opposto, ci sono persone che negano l’accaduto ignorando la situazione. In entrambi i casi si tratta di processi che causano problemi nello svolgimento di varie attività della vita quotidiana poiché il lutto non viene elaborato correttamente.
Cosa comporta non elaborare la morte di una persona cara?
Il lutto legato alla perdita è una reazione normale e inevitabile, che ha una sua evoluzione divisa in fasi. La prima fase può essere definita di stordimento e confusione mista a incredulità. La seconda fase è caratterizzata dalla rabbia e dalla ricerca della persona cara. La terza fase è quella della disperazione. Infine per naturale sopravvivenza si attraversa l’ultima fase che è quella dell’accettazione della perdita. Queste fasi emotive possono essere presenti nel processo del lutto, ma non sempre si verificano in ordine né accadono tutte a tutti: il dolore può sembrare più un ottovolante, con alti e bassi, non un iter predefinito e lineare.
E’ importante tenere presente che ogni essere umano ha i suoi tempi per elaborare una perdita. Prendendo come punto di riferimento le diverse fasi del lutto per la morte di una persona cara, è importante ricordare che la perdita può essere canalizzata in vari modi. Durante il primo step è possibile non versare una lacrima e affrontare le giornate con determinazione, questo è perfettamente normale, (non si è mostri o insensibili). Spesso subentra un iniziale stato di stordimento, di “shock”, in cui non ci si rende conto di quanto successo. La negazione serve a proteggersi dall’ansia e dal dolore eccessivi e consente di prendersi il tempo necessario per metabolizzare l’evento
Perché molte persone non piangono dopo la morte di una persona cara?
È giudicato corretto piangere a un funerale, ma già si pensa male se la vedova non versa nemmeno una lacrima. (Ne sa qualcosa Maria De Filippi che è stata criticata, messa alla gogna con ferocia cattiveria per non aver mostrato lacrime!). Allo stesso tempo, se qualcuno osa ammettere di sentirsi ancora triste dopo mesi o dopo anni, la prima reazione è di sentenziare: “Ma dai! Non dovresti sentirti così“.
Ma chi decide quali reazioni, comportamenti e sentimenti siano giusti o sbagliati di fronte al trauma della morte di qualcuno che abbiamo amato?
Molte persone si chiedono se sia normale non piangere dopo la morte di una persona cara. Qualcuno in questo caso potrebbe pensare che non si stia soffrendo come si dovrebbe e questo può mettere a disagio. Tuttavia, il dolore per un lutto sa essere sorprendente e imprevedibile. Potremmo provare emozioni che non ci aspettavamo. Il rapporto con il defunto era unico, così come unico sarà anche il modo in cui commemoreremo questa persona. In termini generali esistono dei meccanismi di difesa della mente per non entrare in contatto con l’angoscia della situazione. Vi mostriamo di seguito:
1. Blocco emotivo
L’incapacità di piangere può svilupparsi come comportamento appreso. Se i familiari e le persone a te care, in passato, non hanno mai pianto, potresti non aver imparato mai a vedere il pianto come una forma naturale di espressione emotiva. Purtroppo non tutti abbiamo ricevuto una buona educazione emotiva. A molti di noi manca proprio l’alfabetizzazione delle emozioni. Le emozioni più che a viverle, siamo stati addestrati a ridimensionarle per poi ignorarle. Questo avviene perché nei nostri genitori non siamo stati in grado di trovare un vero supporto. La conclusione a cui si arriva è questa: “sto male ma non riesco a piangere perché in passato nessuno mi ha concesso la possibilità di essere pienamente me stesso“
2. Negazione
La negazione è un meccanismo di difesa con il quale la mente si protegge da esperienze troppo dolorose disconoscendo la portata affettiva o le conseguenze di quanto accaduto. Il termine negazione fu inizialmente introdotto in ambito psicanalitico da Sigmound Freud per indicare quel meccanismo per cui il soggetto, pur formulando uno dei suoi desideri, pensieri, sentimenti o emozioni fino ad allora rimossi, continua a difendersi da questi negando che gli appartengano.
La persona agisce come se un evento, un sentimento, un pensiero doloroso non esistessero o non gli appartenessero, nonostante le evidenze contrarie siano, talora, schiaccianti. È possibile evidenziare il meccanismo già nella prima età infantile: si pensi a un bambino che viene trovato con la faccia sporca di cioccolata e nega di averla mangiata. Tuttavia, è presente anche negli adulti, e non sempre si associa a elementi inequivocabilmente disfunzionali o patologici o a strutture di personalità immature e “costituzionalmente” incapaci di far fronte alla realtà. Potrà essere capitato a tutti di affermare «comunque non sono arrabbiato», mentre mostriamo evidenti segni (verbali e non verbali) di aggressività, oppure di affermare “davvero non me ne importa nulla”, quando siamo chiaramente pervasi dall’invidia.
Cosa succede se non si elabora la morte di una persona cara?
Di fronte alla difficoltà di esprimere il dolore causato dall’assenza di una persona vicina, possono verificarsi alcune conseguenze:
- Comparsa di malattie: se non c’è traccia di ciò che è accaduto in nessuna modalità, il corpo lo esprime attraverso malattie e alterazioni corporee che non sono spiegate da cause mediche.
- Colpa: è frequente l’emergere di pensieri associati al senso di colpa di fronte alla morte di una persona cara. Ciò premesso, l’idea che ne deriva è che sia stato fatto qualcosa di sbagliato e che ne abbia causato la morte. In questo modo, i pensieri ripetitivi e incessanti vengono presentati come una forma di punizione.
- Difficoltà nelle relazioni sociali:
- Disturbi mentali: i duelli patologici possono causare la comparsa di gravi disturbi mentali che comportano alti livelli di ansia, depressione, mancanza di controllo degli impulsi….
Un modo giusto e uno sbagliato di affrontare il lutto
Esiste un modo giusto di soffrire? Quando qualcuno che conosciamo è in lutto, tendiamo a condividere ciò che ci ha aiutato durante il processo, bene che vada. Male che vada la tendenza è quella di giudicare il modo in cui quella persona sta facendo i conti con il proprio dolore.
Ma vorrei ancora una volta sottolineare che ciò che funziona per alcune persone non funzionerà per altri! Per questo non esiste davvero un modo perfetto per vivere il dolore, per abbracciarlo o rifuggirlo.
Esistono modi tradizionali di elaborare il lutto, come per esempio la terapia o la preghiera. Ma le persone hanno trovato conforto in altri modi, diversissimi: c’è chi si iscrive a dei corsi d’arte, chi torna subito a lavoro, chi inizia a viaggiare.
Il dolore è uno spettro non una linea retta che si può misurare né di cui è possibile misurare l’espressione.
Pensiamoci prima di sbilanciarci in critiche – o complimenti – per come qualcuno che conosciamo o qualcuno di VIP attraversa un suo, non nostro, dolore.
La cosa fondamentale di cui abbiamo bisogno è il tempo. Deve passare il tempo: il dolore non scomparirà ma si addolcirà e la vita, in un modo che oggi sembra impossibile, andrà avanti. In questo processo di elaborazione, potrebbe essere utile rivolgersi a uno psicologo: la terapia può accompagnarci nella razionalizzazione e nell’elaborazione delle nostre emozioni e del dolore.
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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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