L’essere umano è un animale sociale che vive in comunità e relazioni. Sin dai tempi antichi, abbiamo riconosciuto l’importanza di dipendere dagli altri per la nostra sopravvivenza e benessere. La dipendenza è un bisogno innato, una parte essenziale della nostra natura umana che ci connette e ci aiuta a superare le sfide della vita. L’idea che da soli non ci bastiamo è intrisa nella nostra società e può portare a pensare che il senso della nostra esistenza dipenda dagli altri e dal loro consenso.
Uno dei racconti più affascinanti che cerca di spiegare la continua ricerca nell’essere umano di una propria metà complementare è contenuto nel Simposio di Platone che recita: “Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà…”.
La personalità dipendente incarna perfettamente questa ideologia portandola a tal punto da strutturare la propria vita in base alla paura di rimanere soli. Per alcune persone, le relazioni diventano fonte di insoddisfazione e frustrazione ma, per quanto portare avanti questo legame sembri difficile, il pensiero di rimanerne privi è di gran lunga peggiore. La dipendenza affettiva si instaura proprio all’interno di questa tensione tra il “non poter vivere con” e il “non poter vivere senza”: il funzionamento della persona dipende dalla propria relazione affettiva. La storia dei due porcospini di Schopenhauer illustra bene il dilemma all’interno del quale la persona dipendente e il suo partner si sentono “incastrati” e la soluzione a cui sarebbe utile aspirare.
“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. Finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.
Trascuratezza emotiva durante l’infanzia
La fiducia in se stessi è qualcosa che si eredita, l’autostima, infatti, non è un tratto a se stante ma il risultato di un percorso che inizia presto, fin dal primo anno di vita. Sentirsi curati, protetti e amati senza condizioni ma accettati per quello che si è, è alla base di una sana autostima. Se la prima eredità è fornita dai genitori, le conferme di ciò che siamo e possiamo essere arrivano in seguito dai nostri amici di scuola, dagli insegnati e, in generale, da come ci vedono gli altri. È importante sottolineare che tutto può essere consequenziale al primo apprendimento trasmesso dai genitori.
Cosa è andato storto?
Proviamo a rispondere a questa domanda: cosa è andato storto nell’infanzia di chi ha uno scarso senso di autoefficacia? I bambini piccoli hanno bisogno di sentirsi protagonisti delle proprie esperienze e non soltanto i destinatari di iniziative altrui.
È nell’infanzia che il seme della dipendenza affettiva inizia a germogliare. Ogni giorno alimentato dalla noncuranza, dal disamore, dall’indifferenza, da incoraggiamenti e complimenti mancati. Ogni giorno che torniamo a casa da scuola e nessuno ci domanda come è andata, il germoglio si fa un po’ più grande. Poi mette una fogliolina il giorno che ci siamo impegnati per avere il voto più alto ma nessuno s’è curato di guardarci il quaderno.
Un’altra fogliolina quando per l’ennesima volta i nostri genitori ci hanno detto che nostro fratello/sorella è migliore di noi. Un’altra il giorno in cui non abbiamo vinto il saggio di ballo leggendo tutta la delusione del mondo negli occhi dei nostri amati genitori. Gli anni passeranno e ogni nostro traguardo non sarà mai considerato abbastanza, ogni nostro sforzo per essere migliori ignorato o sminuito. Da tali premesse non possono che derivare tutta una serie di comportamenti atti a mantenere la prossimità con la figura di attaccamento in età infantile prima e successivamente con il partner in età adulta.
La dipendenza affettiva è un sintomo che ci impone uno stop
Ci lascia impantanati in una situazione al fine di andare a risolvere le dinamiche iniziali che l’hanno creata e che hanno spesso a che fare con l’abbandono, la vulnerabilità, la deprivazione emotiva e l’abuso. Tali schemi, come detto, derivano dall’interazione con la figura di attaccamento: la persona si sentirà quindi vulnerabile, oppure non destinata ad essere amata, o ancora abituata a vivere relazioni d’abuso al punto da non percepire i segnali di pericolo all’interno di una relazione disfunzionale, ma riconoscendo invece quest’ultima come la sola tipologia di rapporto che può instaurare. E’ quindi chiaro come, la relazione attuale sia solo l’epilogo di tutta una serie di nodi affettivi e legami tossici!
Se io ho imparato che assecondando l’altro, sacrificandomi per il mio partner e preoccupandomi in tutto e per tutto del suo benessere, costui garantisce la sua presenza, è ovvio che riproporrò il medesimo schema nella relazione di coppia, così da colmare le carenze affettive, emotive e pratiche, con atteggiamenti iperprotettivi, controllanti e di sottomissione, nonostante l’assenza, la svalutazione e la mancanza di riconoscimento da parte dell’altro. La scarsa stima di me la profonda non amabilità che sento cucito addosso come una seconda pelle, mi porterà inevitabilmente a comportamenti più disparati pur di soddisfare ogni bisogno del mio partner e scongiurare così il rischio di sentirmi abbandonata e quindi l’ennesima sofferenza.
Tre passi per superare la dipendenza affettiva
Di fronte a chi non ci rende felici e dal quale, nonostante tutto non riusciamo a separaci, non siamo le persone adulte di oggi. Siamo ancora i bambini di allora e stiamo combattendo una battaglia che serve alla nostra sopravvivenza psichica. Se decidiamo di cambiar rotta dobbiamo essere consapevoli che all’inizio occorrerà una certa volontà e costanza.
1. Riconosci l’esistenza del problema
Può sembrare una banalità, ma la verità è che normalmente tendiamo a mentire perché in questo modo tutto diventa più facile. Pensiamo sia più facile ignorare il problema piuttosto che affrontarlo. Quindi il primo passo per superare la dipendenza affettiva è ammettere di essere invischiati in una relazione distruttiva. Per fare questo, è necessario considerare le seguenti domande e cercare di rispondervi onestamente:
- La tua felicità dipende da una sola persona?
- La tua felicità dipende da come ti trattano gli altri?
- Ti senti come se il mondo ti crollasse addosso quando qualcuno ti critica o ti rifiuta?
- Ti capita spesso di mettere i bisogni e i desideri degli altri davanti ai tuoi?
- Ti senti bene con te stessa/o solo quando gli altri ti accettano?
Vale la pena ricordare che è normale che il rifiuto ci faccia provare qualche disagio ma la persona che dipende affettivamente da altri mostra questi comportamenti sempre a livelli patologici. Il problema è che desiderare qualcosa di diverso da quello che stiamo vivendo ci mette nella posizione di negare o allontanare i nostri sentimenti o, nel peggiore dei casi, di combattere la realtà
2. Riconosci i danni causati da questi comportamenti
Sei consapevole del danno che ti stai auto inflitto con questo tipo di comportamento? A tal proposito, ti suggerisco di elencare tutte le cose che hai fatto (presumibilmente per amore o affetto), ma che alla fine ti hanno causato dei problemi. Probabilmente in un primo momento potresti non ricordare facilmente queste situazioni, non sapendo cosa scrivere, allora qui di seguito ci sono alcune domande che possono aiutarti a compilare questo elenco:
- Che passione hai trascurato per soddisfare gli altri?
- Quale sogno o obiettivo non sei riuscita/o a realizzare perché ti sei occupata/ degli altri?
- Quali situazioni negative hai dovuto sopportare perché l’altra persona non ti abbandonasse?
- Quanto stai soffrendo in questo momento?
- Quanto ti senti veramente amata/o?
L’obiettivo principale di questa fase è prendere coscienza di tutta la sofferenza che stai sperimentando a causa di questa dipendenza affettiva. Chiediti: sto davvero vivendo la vita che voglio? Se la risposta è negativa, chiediti il perché!
3. Costruisci la fiducia in te stessa/o
Il primo passo per disinnescare un radicato senso di inferiorità è acquisire la consapevolezza che la percezione negativa che hai di te stessa/o è solo un idea che deriva dalla tua storia personale. E se vuoi rendere questo compito più semplice, puoi affidarti a uno specialista che ti aiuti a percepirti in una nuova prospettiva. E nel frattempo ricorda sempre…..sentirsi insignificante, stupido o incapace non vuol dire esserlo veramente e soprattutto non significa che gli altri ti vedano cosi!
Non sei l’unico a sentirsi inferiore! Anche io pensavo di “non essere all’altezza di certe aspettative”, l’unica ad avere problemi o per lo meno di averli così forti. In realtà ogni individuo su questo pianeta ha la sua dose di difficoltà da superare. Allo stesso modo, ognuno cresce convinto di alcune grandissime cazzate riguardo se stesso, che finiscono per rovinargli la vita.
Sperimenta nuovi modi di essere
Pochi di noi hanno avuto la fortuna di essere costantemente valorizzati. Tutte le volte che gli altri non hanno creduto in noi, ci hanno insegnato a non farlo! Le volte che gli altri ci hanno umiliati e scherniti, ci hanno insegnato a essere timorosi e sfiduciati. Famiglia, amici di scuola, insegnanti… ci hanno implicitamente insegnato a metterci da parte, a svalutare il nostro valore intrinseco, a ignorare l’immenso potenziale che ci portiamo dentro.
Se ti va di fare un vero viaggio introspettivo alla scoperta di chi sei, se ti va di analizzare te stesso, i tuoi vissuti emotivi e le tue storie relazionali, dall’infanzia all’età adulta, posso consigliarti la lettura del mio libro (già bestseller!) “D’Amore ci si ammala, d’Amore si guarisce“. Intendiamoci, un libro non può cambiarti la vita ma può aiutarti a costruire relazioni migliori, con te stesso e con gli altri. Il cambiamento, poi, sarà inevitabile, sarà la naturale conseguenza di un’autentica scoperta di sé. Curare i nostri legami, le nostre ferite, i nostri conflitti… curare il nostro benessere, è un dovere imprescindibile che abbiamo verso noi stessi. Nel libro, troverai molti esercizi psicologici pratici che potranno aiutarti in mondo tangibile fin da subito.
Con il libro, potrai ripristinare un equilibrio perduto: ogni pagina ti insegna a rivendicare il tuo valore di persona completa, amabile e degna di stima, ad ascoltare i tuoi bisogni e soprattutto, a farli rispettare. Perché come scrivo nel libro “L’amore che guarisce è prima di tutto il tuo”. Se hai voglia di ricominciare a volerti bene, è il libro giusto per te. Puoi trovare il mio libro in qualsiasi libreria d’Italia o su Amazon, a questo indirizzo Ecco! Io, il libro che tanto cercavi l’ho scritto. Il resto sta a te ❤
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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