Perchè siamo attratti dai test psicologici?

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Secondo una recente statistica, il numero di persone che legge i test psicologici  è piuttosto elevato; se ne trovano ovunque, specie sui quotidiani, sulle riviste femminili oppure online per attirare l’attenzione dei lettori. Sembrerebbe che anche i più scettici, coloro che disdegnano o ridicolizzano questo genere di frivolezze, di tanto in tanto si lascino corrompere dalla curiosità di verificare l’attendibilità del test. Vediamo, quindi, quali sono le recondite motivazioni che ci inducono in tentazione in questa forma di gioco collettivo.

Nel 2011, Psicoadvisor è stato il primo portale web a lanciare i test ludici per immagini, dando il via a un fenomeno virale di tiratura globale. I test psicologici di Psicoadvisor hanno fatto il giro del mondo tanto che sono stati tradotti in 18 lingue e il suo stile è stato riproposto da tutti i blogger del mondo, compresi diversi portali di fama nazionale.

Perchè siamo così attratti dai test psicologici? La convalida soggettiva delle affermazioni universalmente valide

Succede molto spesso che le persone si immedesimino in profili psicologici vaghi e generici che potrebbero essere validi per chiunque, non mostrando appunto alcuna caratteristica che contraddistingua uno dall’altro in maniera netta. Si tratta proprio di un effetto di convalida soggettiva, meglio noto come effetto Forer, dal nome del suo ideatore Bertram R. Forer. E’ la stessa strategia usata in astrologia.

In effetti, i test psicologici proposti sulle riviste ma soprattutto nel web propongono descrizioni sommarie e superficiali che permettono a chiunque di  adattarsi ad un numero molto ampio di personalità in quanto vaghe, generiche, applicabili facilmente a chiunque ma, comunque, tendenti a rimarcare l’illusione di essere state strutturate ad hoc per quella persona, quindi vestendosi di una specificità che in realtà non hanno.

Oltre a ciò, quand’anche dovessimo considerare che un aspetto particolare di una descrizione non ci appartenga davvero, quanto più esso è lusinghiero e volto a tratteggiare come vorremmo essere (anziché come realmente siamo) tanto più saremmo propensi ad accettarlo.

L’impatto dell’effetto Forer

Egli somministrò a 39 studenti universitari un test della personalità chiamato Diagnostic Interest Blank, per ricavare un profilo qualitativo del carattere di ciascuno. Il professore diede una risposta personalizzata ad ognuno, o almeno così credevano i suoi allievi. Il profilo conteneva le seguenti affermazioni:

  1. Hai molto bisogno che gli altri ti apprezzino e ti ammirino
  2. Tendi a essere critico nei tuoi confronti
  3. Hai molte capacità inutilizzate che non hai sfruttato a tuo vantaggio
  4. Pur avendo alcune debolezze di carattere, sei generalmente in grado di porvi rimedio
  5. Il tuo adattamento sessuale ti ha posto alcuni problemi
  6. Anche se mostri disciplina e autocontrollo all’esterno, tendi a preoccuparti e a sentirti insicuro dentro di te
  7. Talvolta dubiti seriamente di aver preso la decisione giusta o di aver fatto la cosa giusta
  8. Preferisci una certa dose di cambiamento e variazione e ti senti insoddisfatto se sei impedito da limiti e restrizioni
  9. Ti vanti di saper pensare con la tua testa e di non accettare le opinioni degli altri in mancanza di solide prove
  10. Hai imparato che è imprudente essere troppo sinceri nel rivelarsi agli altri
  11. Talvolta sei estroverso, affabile e socievole; altro sei introverso, diffidente e riservato
  12. Alcune tue aspirazioni sono piuttosto irrealistiche
  13. La sicurezza è uno degli obiettivi principali della tua vita

Come si può facilmente intuire, si tratta di caratteristiche estremamente superficiali e potenzialmente individuabili in ognuno di noi. Gli studenti furono invitati ad esprimere un feedback sul grado di accuratezza del profilo di personalità in una scala da 1 a 5. Quello che non sapevano, era che il profilo restituito dal professore era identico per tutti, semplicemente preso da riviste di astrologia del tempo. Emerse un punteggio medio di 4.26, molto alto vista la non attendibilità delle dichiarazioni, ma che non stupì il signor Forer.

Il suo obbiettivo era dimostrare proprio questo: gli individui posti di fronte ad una descrizione generica della personalità tendono ad adattarla ad essi senza rendersi conto che si potrebbe adattare a tantissime altre persone. Questo è quello che venne battezzato come “effetto Forer”. Ovviamente, esistono alcuni aspetti che aumentano la credibilità percepita dalle persone:

  • Quando si crede che l’analisi si applichi solo sul singolo individuo
  • Quando l’analisi attribuisce in buona parte caratteristiche positive
  • Quando la persona crede nell’autorità e nella preparazione del valutatore

Possibili spiegazioni dell’effetto Forer

Secondo Forer, gli individui non si distinguono l’uno dall’altro per il possesso o l’assenza di determinate caratteristiche, ma per il grado con cui queste si manifestano. Egli parla dell’uomo come una configurazione unica di attributi non unici. In altre parole, ci riconosciamo in affermazioni universalmente valide perché ci rappresentano tutte, essendo la nostra personalità caratterizzata da una combinazione di queste in diverse quantità.

I bias cognitivi nei test psicologici

Ma perché una serie di descrizioni, seppure generiche, può essere oggetto di immedesimazione? La risposta potrebbe essere che chi legge sta cercando la soddisfazione a dei bisogni personali, rassicurazioni, giustificazioni ed altro. In psicologia si ritiene che tali fenomeni siano fortemente influenzati dai cosiddetti “bias di conferma”; che riguardano un processo mentale che induce la nostra attenzione a dare maggiore credibilità proprio a quelle informazioni che confermano le nostre convinzioni o ipotesi, ignorando le altre che le contraddicono.

Più semplicemente possiamo dire che c’è un’inclinazione innata nell’uomo a cercare delle prove o dei fatti a conferma delle proprie aspettative, credenze o ipotesi ed a considerare in questo modo più facilmente evidenze ad esse favorevoli e/o a cercare di valutare come conferme le informazioni disponibili.

Utilizzare pseudoscienze come l’astrologia o test/sondaggi psicologici generici, altro non é che cercare quella scorciatoia di cui il nostro cervello ha bisogno e che ci permette di tranquillizzarci momentaneamente, perché crediamo di aver trovato un modo facile e veloce per conoscere meglio noi stessi e quanto sta accadendo o accadrà. Questi bias, nella loro accezione conoscitiva generale, fanno parte di quella scorciatoia che si basa alla fine su pregiudizi e metodi per nulla scientifici.

La capacità di credere in noi stessi è alla base del nostro miglior modo di vivere, solo con ciò ci sentiamo capaci di azioni in grado di cambiare quanto può accadere, non lasciando il tutto nelle mani della fortuna. A volte, per cambiare, bisogna essere capaci di cambiare noi stessi, le nostre abitudini, per intravedere nuovi orizzonti.

Per Einstein “follia è fare la stessa cosa più e più volte e aspettarsi risultati diversi”; ma quante volte noi siamo ripetitivi eppure ci aspettiamo che le cose cambino?

È importante aver chiaro nella nostra mente quello che vogliamo e dove vogliamo andare e iniziare a incamminarci verso quel punto. Le avversità non devono scoraggiarci ma diventare spunto e prova da superare per renderci più forti e andare oltre. Quindi, va bene concedersi qualche minuto di relax, divertirsi, magari con gli amici o le amiche a scoprire chi siamo, ma facciamolo con la giusta leggerezza.

NOTA BENE: i test psicologici (quelli seri!) trovano applicazione in ambiti molto disparati, dalle selezioni universitarie, a test che si fanno in ambito lavorativo per individuare i punti di forza di ciascun lavoratore. Psicologi e psichiatri utilizzano i test psicologici per comprendere il funzionamento e il comportamento di una persona allo scopo di arrivare a una corretta diagnosi di un disturbo psicologico di salute mentale e al corrispondente trattamento. Ma è tutta un’altra storia!

A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
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