Più dai meno ottieni: non lasciare che gli altri ti usino

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Tutti noi pretendiamo rispetto dagli altri, ma rispettiamo noi stessi? Per quanto possa sorprenderci, la risposta è ovvia: non sempre. Penso che qualche volta sia capitato a tutti di sentirsi usato. Succede quando pensiamo che qualcuno si approfitti di noi. A volte ci sentiamo usati quando ci accorgiamo di aver dato a questa persona più di quanto abbia dato a noi.

Ma ci sentiamo usati anche quando ci sentiamo costretti a fare qualcosa per l’altro senza riuscire a dire di no (e già sentendoci in colpa per ciò che faremo!). “Non riesco a farmi valere!”, è quello che diciamo a noi stessi quando ci sentiamo intrappolati in certi meccanismi disfunzionali. Molte volte sorridiamo o “stendiamo un velo pietoso” se qualcuno ci fa sentire a disagio,  è come se indirettamente gli dicessimo “puoi mancarmi di rispetto, te lo concedo”.

La paura di non essere normale

Non è semplice liberarsi da certe etichette che ci sono state appiccicate addosso e magari inconsapevolmente. Tuttavia è più doloroso tenersele se si considerano le conseguenze a lungo termine. Se nessuno ti ha mai detto bravo/a, sono orgoglioso/a di te, questo non significa che sei una persona fallita. Se nessuno ti ha mai abbracciato e detto ti voglio bene, questo non significa che non meriti amore.

E il motivo per cui accettiamo di “farci usare” risiede proprio nel fatto che fatichiamo ad accettarci! Pensiamo di essere sbagliati, diversi, “strani”. Vediamo gli altri come “normali”, e pensiamo che loro non abbiano le difficoltà che ci affliggono, le paure che ci angosciano, i difetti che ci disturbano, le ingiustizie che subiamo. Insomma, temiamo di non essere normali (qualsiasi cosa voglia dire).

Ma la verità è che nessuno è normale: tutti hanno difficoltà, paure e difetti simili ai nostri (chi più, chi meno), ma fanno di tutto per nasconderlo. La normalità non esiste realmente, è un valore soggettivo e arbitrario; e il concetto di normalità viene spesso spinto da chi cerca di manipolarci (quindi diffida da chi ne fa una bandiera, come amici o partner giudicanti, genitori rigidi, personaggi influenti).

Vai bene come sei

Per uscire da quella trappola distruttiva, bisogna coltivare l’idea risanatrice per cui sono come sono, e va bene così. Questo non vuol dire negare i miei difetti, né giustificare i miei errori, ma convivere serenamente con la mia imperfetta umanità. Non vuol dire nemmeno rinunciare a migliorare; posso sempre scegliere di migliorare, ma perché lo desidero, non perché mi sento sbagliato

Ogni volta che mi accorgo di giudicarmi, svalutarmi o disprezzarmi, posso scegliere consapevolmente di accantonare quei pensieri tossici, e ripetere a me stesso “io merito”. All’inizio è probabile che la nostra mente rifiuti l’idea nuova, perché abituata a quella autodistruttiva, e ci ritroviamo a pensare cose come “Come posso andare bene?!? Sono così scarso / incapace / brutto / inutile / fallito…”; non importa, continua a coltivare l’idea positiva, e pian piano questa prenderà spazio nella tua mente.

“Sei come sei e va bene così”

Non è necessario fare tutto, non sbagliare mai, o essere impeccabili: basta provare a fare del proprio meglio con i mezzi di cui disponiamo. Se sei ossessionato dalla convinzione che non sei abbastanza, o che dovresti fare molto di più, considera questi punti:

  • Si può raggiungere la perfezione?
    Ovviamente no, non è di questo mondo, e la frase proverbiale “Nessuno è perfetto” ce lo ricorda.
  • Si può evitare di sbagliare?
    Certamente no, visto che persino individui straordinari come Aristotele, Newton ed Einstein hanno commesso errori clamorosi.
  • Si può arrivare all’eccellenza?
    Non posso escluderlo, ma a pro di che? Eccellere in ciò che si fa richiede moltissimo tempo e impegno, per cui è alla portata di pochi. Io per esempio, aspiro a essere una persona “media”, e in questo non c’è nulla di male. L’idea che “se non arrivi in cima non sei nessuno”, è una condizione che potrebbe rendermi nevrotica e mai soddisfatta.

La vita non ci ripara dalla sofferenza

Un vecchio aforisma della terapista Daphne Rose Kingma recita “Far pace col proprio corpo, accettarlo così com’è, alimentarlo con le proprie cure, nutrirlo bene, mantenerlo in forma con l’esercizio, ammirarne gli aspetti più belli, onorarlo con vestiti comodi, trattarlo come se fosse un tempio, divertirsi in esso come se fosse una sala da ballo, essere in soggezione di fronte ad esso come se fosse un palazzo reale: tutte queste sono espressioni di gentilezza verso se stessi.” Beh quanto ha ragione!

Il mondo non è fatto per renderti felice o per ripararti dalla sofferenza. La vita non ti deve nulla, e nessuno ha il dovere di amarti. Quindi la responsabilità di soddisfare i tuoi bisogni, o di non farti calpestare dal prossimo, è solo tua, e di nessun altro. Un bambino, essendo debole e impotente, ha bisogno che altri se ne occupino, un adulto sa badare a se stesso. Prima accetti questa responsabilità verso te stesso, e più sarai in grado di migliorare la tua vita. Finché ti nascondi dietro scuse e alibi, aspettandoti che siano gli altri a occuparsi di te, sperimenterai solo delusioni e frustrazioni…..sarai sempre facile preda di chi vuole approfittarsi di te.

Quando la tua situazione non ti piace, o non ottieni quello che vuoi, non è il mondo che deve cambiare, ma sei tu che puoi farlo. Ragion per cui.. se vuoi smettere di sentirti usato, tutto quello che ti serve è togliere il tuo bisogno dalle mani in cui TU l’hai messo.

Sai quale è la mia più grande aspirazione?

Premetto che amo i complimenti ed essere apprezzata nel mio lavoro ma la mia più grande aspirazione è soprattutto “accettarmi” sempre, essermi sempre amica con le mie luci e le mie ombre. Sì, sempre. Quando fallisco, quando faccio degli sbagli, quando mi sento incompresa. Purtroppo spesso fatichiamo a immaginare cosa voglia dire volere bene a se stessi. Eppure, non puoi immaginare quanto possa essere utile trattare se stessi come se fossimo il nostro migliore amico:

  • Se il mio amico commette un errore, glielo dico con calma, senza aggredirlo
  • Sono paziente con i suoi limiti, e perdono le sue piccole mancanze
  • Lo incoraggio, lo sostengo e provo gioia per ogni suo successo (anche se piccolo)
  • Noto e apprezzo tutte le sue qualità

Comportarsi in tal modo con se stessi può sembrare banale, ma quanto ci piacerebbe che qualcuno ci trattasse così? E perché quel qualcuno non potresti essere tu stesso? Ricordati che sei l’unica persona con cui passerai ogni giorno della tua vita: gli altri vanno e vengono, ma tu sarai sempre con te. Vale quindi la pena imparare a far sì che la tua stessa compagnia sia una gioia, e non un tormento.

Un «non merito nulla, sono destinato a compiacere gli altri», può trasformarsi in «merito chi mi rispetta». In fondo non è affatto facile mettersi in gioco e sforzarsi di capire cosa ci porta a cadere sempre in mani sbagliate richiede molto coraggio. Già che ti stai cimentando in questa impresa, è ammirevole.

Come ho scritto nell’introduzione del mio primo libro “Riscrivi le pagine della tua vita“, sì, si nasce due volte, la prima quando veniamo al mondo, quando siamo impotenti e inermi dinanzi a tutto, la seconda, invece, quando prendiamo consapevolezza del nostro potere e iniziamo a a darci il valore che meritiamo. Nel libro ho raccolto molti strumenti, esercizi psicologi e teorie utili a comprenderti. Leggendo il libro scoprirai che, seppur complesso, sei una persona meravigliosa che aspetta solo l’occasione giusta per vivere la vita che merita! Se hai voglia di acquisire nuove consapevolezze, su di te e sulle dinamiche in ogni ambito, è il libro giusto per te. Puoi trovarlo in libreria e a questa pagina Amazon.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Autore del libro Bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” Edito Rizzoli
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