La psicologia, sopratutto la psicologia sociale, da molti anni studia i processi di manipolazione del singolo o delle masse, per capire quali sono le dinamiche e le variabili che la rendono possibile. Pensiamo, per esempio, alla seconda guerra mondiale, che è stata teatro di atrocità disumane, compiute da esseri umani. Molti studiosi si sono chiesti come questo sia stato possibile.
Quali sono state le dinamiche che hanno trasformato normali persone in freddi assassini? Milgram attraverso un suo famoso esperimento, dimostrò che il timore di contraddire l’autorità e l’obbedienza, possono portare a compiere gesti deplorevoli. Non solo, ma dalle analisi effettuate su alcuni criminali di guerra è emerso che altre variabili come: la necessità di conformarsi al sistema, l’incapacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, sono altre motivazioni che possono spiegare alcuni comportamenti disumani. Ma… quando si può parlare di manipolazione psicologica?
Che cos’è la manipolazione psicologica?
La manipolazione psicologica è un processo attraverso il quale si cerca di influenzare l’altro, distruggendo la sua autonomia decisionale attraverso lo sfruttamento emotivo e la distorsione mentale.
L’obiettivo di tutto ciò è quello di ottenere la sottomissione, il controllo e/o la dipendenza della vittima, ed anche per ottenere benefici o privilegi. In questo “gioco” entrano in scena due protagonisti: il manipolatore ed il manipolato (la vittima), che hanno caratteristiche personologiche specifiche che rendono possibile l’instaurarsi di tale dinamica.
Il manipolatore ha tendenzialmente bisogno di dominare l’altro nelle relazioni interpersonali, mancanza di principi etici e morali, scarsi livelli di empatia e il forte bisogno di raggiungere gli scopi. Ovviamente farà qualsiasi cosa per non mostrare il suo vero sé, e quindi, sopratutto nella fase iniziale del rapporto, si mostrerà una persona rispettabile, della quale avere fiducia, carismatica e generosa. Per questo motivo, non sempre il “manipolato” si rende conto di cadere nella sua trappola, oppure, quando se ne rende conto, è spesso troppo tardi.
Di contro, la vittima, è generalmente una persona con forte bisogno di approvazione e scarsa assertività. Va da sé, che inevitabilmente l’incontro di queste caratteristiche, conduce il manipolatore ad avere strada facile per creare uno squilibrio di potere in suo favore.
Il manipolatore può essere dovunque: sul posto di lavoro, nella cerchia degli amici… oppure in casa, infatti di frequente sono proprio i/le partner a mettere in atto la manipolazione.
Prendere in ostaggio la capacità decisionale dell’altro
La parola d’ordine del manipolatore è: CONTROLLO. Controllare, prendere in ostaggio la capacità decisionale dell’altro, è questo l’obiettivo del manipolatore, perché solo così può raggiungere i suoi obiettivi, e lo fa proprio attraverso il controllo.
Pensiamo, per esempio alle sette, emblema della manipolazione psicologica, s’impossessano del sé della persona, di ciò che sente, ciò che prova e ciò che pensa. Il controllo riguarda ogni aspetto della persona:
– Comportamento
La vittima spesso viene isolata dal suo contesto sociale e familiare. Le vengono limitate le uscite con gli amici e i contatti con i familiari, questo ha un razionale. Infatti l’isolamento rende la persona più vulnerabile in quanto le viene a mancare la “protezione” da parte dei cari, che invece porrebbero rappresentare un ostacolo alle attività del manipolatore. Non solo, ma il controllo avviene anche sulle abitudini della vittima (alimentazione, abbigliamento ecc), in modo da privarla della sua identità.
– Pensiero
Il manipolatore attua un vero e proprio indottrinamento, rendendo impossibiel alla vittima l’elaborazione autonoma dei pensieri e “sostituendoli” con i propri.
– Emozioni
Vengono indotte nella vittima alcune emozioni come senso di colpa o paura, attraverso punizioni, premi o giudizi critici. Al fine di evitare queste spiacevoli emozioni, la vittima si trova costretta ad assecondare il manipolatore. È a tutti gli effetti una strategia di ricatto emotivo.
Alcune tattiche del manipolatore
Per assicurarsi il controllo sulla sua vittima, il manipolatore mette in atto particolari tecniche di manipolazione psicologica.
Il giudizio e la critica. Costantemente il manipolatore critica e giudica, senza però basi fondate, al fine di instillare nella vittima la convinzione di “essere sbagliata”.
Comportamento passivo-aggressivo. Il manipolatore mette in atto la “tattica del silenzio”, dove appunto il silenzio viene utilizzato come arma per insinuare l’incertezza nella mente della vittima. Il silenzio quindi è una sorta di attacco emotivo nei confronti della persona manipolata che inizierà a nutrire dubbi su sé stessa ed il proprio comportamento.
Aggressività e generalizzazioni. Alzare il tono della voce, imporsi nelle discussioni sono le strategie che più spesso vengono utilizzate dal manipolatore. Così facendo crea un clima ti tensione, paura ed una serie di emozioni negative che favoriscono la vulnerabilità della vittima.
La comunicazione confondente. Non solo, la tendenza del manipolatore è proprio quella di utilizzare il linguaggio e le dissertazioni per ottenere ciò che desidera. I suoi discorsi però sono tendenzialmente basati su frasi di senso comune e generalizzazioni, ma mascherati da un lessico che non permette di rendere immediatamente percepibile la sua scarna comunicazione.
Non è sempre facile intercettare le intenzioni del manipolatore, infatti agisce in maniera subdola e clandestina in modo da non essere scoperto e poter quindi proseguire indisturbato verso il suo obiettivo. Conoscere la personalità del manipolatore e come agisce, può essere di grande aiuto per intercettare la dinamica che mette in atto prima ancora di cadere nella sua trappola.
Veronica Rossi, Psicologa e Mental Coach
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