Prima di pensare che stia andando tutto male, leggi queste 6 cose

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono giorni in cui ogni cosa sembra franare. Giorni in cui ci si sente invisibili, inadatti, in ritardo su tutto. Il cuore è stanco, la mente confusa, e anche le piccole sfide quotidiane appaiono come montagne invalicabili. In questi momenti, il dialogo interiore si trasforma in un martello impietoso: “Tanto sbaglio sempre”, “Niente ha senso”, “Non cambierà mai niente”. È facile pensare che stia andando tutto male.

6 cose da ricordare quando pensi che tutto vada storto

Ma proprio quando ti sembra di essere più fragile, stai attraversando una fase in cui potresti anche scoprirti più autentico, più vero. Il dolore, se ascoltato senza paura, può insegnare. Non si tratta di romanticizzare la sofferenza, ma di darle un senso. Di ricordare che anche il buio ha una sua funzione biologica: ci costringe a rallentare, a guardare dentro, a cambiare strada. Ecco allora 6 cose da ricordare prima di pensare che tutto stia andando a rotoli.

1. I tuoi pensieri non sono la realtà, ma solo uno stato della mente

Quando sei travolto dall’ansia o dalla tristezza, il tuo cervello attiva un filtro di allarme. È come se indossassi occhiali grigi: tutto sembra più pesante, più distante, più ostile. Questo accade perché l’amigdala – il nostro “sensore” di pericolo – è iperattiva nei momenti di stress, mentre la corteccia prefrontale, che regola la lucidità e il pensiero critico, rallenta le sue funzioni. In parole semplici: non riesci a vedere chiaramente.

Ma il fatto che oggi tu pensi di essere sbagliato, solo, o senza via d’uscita non significa che lo sei davvero. Significa solo che il tuo sistema nervoso è sotto pressione. Quando si regola, anche la visione del mondo cambia. Non a caso molte persone, rileggendo vecchi pensieri scritti in momenti difficili, faticano a riconoscersi. È come se fossero stati scritti da un altro sé.

Ricorda: il tuo stato mentale è mutevole, non sei tu.
Tu sei anche quello che verrà, non solo quello che senti ora.

2. Se ti sembra di non avere più energie, forse è perché hai lottato troppo

Chi pensa che stia andando tutto male spesso si rimprovera di non essere abbastanza forte. Ma nella maggior parte dei casi, non sei debole: sei esausto. Il corpo e la mente sono progettati per sopportare picchi di stress solo temporaneamente. Se vivi in ipercontrollo, in iperadattamento o nella paura costante di essere giudicato, è normale che arrivi il crollo.

Questa forma di stanchezza emotiva non è pigrizia, né fragilità: è il risultato di una lunga esposizione a stati di allerta, spesso invisibili anche a te stesso. Il sistema nervoso autonomo, quando resta troppo tempo in modalità “sopravvivenza”, si disorganizza. Non riesci più a distinguere il pericolo reale da quello simbolico. È allora che cominci a interpretare ogni evento come minaccia e ogni fallimento come identità.

Ricorda: la tua stanchezza è un messaggio, non una colpa.
Hai bisogno di cura, non di giudizio.

3. Non sei fermo: stai elaborando

In una cultura che misura il valore personale con la produttività, fermarsi fa paura. Ma ci sono momenti in cui l’inattività esterna corrisponde a un’intensa attività interna. A volte, il silenzio che giudichi vuoto è invece un tempo di elaborazione invisibile: stai metabolizzando una perdita, una delusione, un cambiamento. Anche se non ne sei del tutto consapevole, il tuo sistema emotivo è al lavoro per riorganizzare la tua storia.

La psicoanalisi ci insegna che l’elaborazione psichica è come la digestione: ha bisogno di lentezza, di spazio e di ascolto. Ciò che oggi ti appare come apatia, o “assenza di senso”, è in realtà un modo per proteggerti dall’invasione di stimoli troppo intensi. È un tempo di sospensione fertile, in cui si sedimenta ciò che ti ha attraversato.

Ricorda: non stai fallendo, stai trasformando.
Ogni fase buia ha una funzione evolutiva, anche se non la vedi subito.

4. Il dolore che provi è legittimo, anche se gli altri non lo capiscono

Uno degli aspetti più laceranti della sofferenza è sentirsi soli nel provarla. Magari attorno a te nessuno se ne accorge. Oppure, chi se ne accorge minimizza: “Dai, c’è di peggio”, “Devi solo pensare positivo”, “Non è poi così grave”.
Questo tipo di risposte, anche se non intenzionalmente violente, possono farti sentire inadeguato nel dolore. Come se stessi sbagliando a sentire ciò che senti.

Ma non esiste una scala oggettiva del dolore. Il tuo vissuto è valido, anche se per gli altri è incomprensibile. La sofferenza non si misura in centimetri, ma in ferite invisibili, spesso legate a storie antiche. Forse oggi soffri non solo per ciò che accade, ma per tutto ciò che è rimasto sospeso in passato.

Ricorda: non hai bisogno del permesso di nessuno per stare male.
La tua sensibilità non è un errore, è un linguaggio prezioso.

5. Non tutto sta andando male: è solo che non riesci più a vederlo

Nei momenti di sconforto, il cervello attiva un fenomeno chiamato attenzione selettiva negativa. In pratica, cominci a notare solo ciò che conferma la tua sensazione di fallimento. Le cose belle, anche se ci sono, sembrano invisibili. È un meccanismo di difesa paradossale: la mente preferisce essere coerente piuttosto che felice.

Inoltre, la sofferenza spesso generalizza: un problema in un’area della vita (ad esempio il lavoro o una relazione) viene proiettato su tutto il resto. Ma se ti fermi un attimo e osservi con onestà, potresti accorgerti che qualcosa sta funzionando ancora: magari un amico che ti ascolta, un libro che ti consola, una parte di te che nonostante tutto resta viva e curiosa.

Ricorda: il buio non è ovunque, è solo più visibile adesso.
Ciò che oggi non vedi, domani potrebbe tornare a brillare.

6. Stai imparando a conoscerti in profondità

Soffrire, per quanto possa apparire sterile e crudele, è anche un’esperienza trasformativa. Nei momenti di crisi, emergono parti di te che di solito restano nell’ombra: la tua rabbia, la tua vulnerabilità, la tua vera voce. È un’occasione – scomoda ma preziosa – per rimettere in discussione vecchie maschere, automatismi, illusioni.

Magari ti stai accorgendo di quanto hai sacrificato per essere accettato. Di quanto hai finto di stare bene per non deludere gli altri. O di quanto hai fatto finta di non avere bisogno di nessuno, quando invece avresti voluto solo essere tenuto tra le braccia.

Soffrire ti restituisce a te stesso. Ti costringe a chiederti: “Di cosa ho davvero bisogno?”, “Chi sono quando smetto di cercare di piacere?”, “Cosa sto proteggendo con questo dolore?”.

Ricorda: dentro questo dolore c’è un seme di verità.
E conoscerti davvero vale più di ogni certezza apparente.

Non stai cadendo, stai guarendo

A volte, il dolore è solo il segnale che stai tornando a casa. Non la casa fatta di mattoni, ma quella fatta di te: la tua voce autentica, i tuoi bisogni dimenticati, le tue emozioni non ascoltate. Smettere di fingere forza, lasciarsi attraversare dalla fragilità, è un atto di coraggio enorme.

E se in questo momento ti sembra che stia andando tutto male, fermati un attimo. Respira. Rileggi queste parole. Ricorda che il tuo valore non dipende dalla prestazione, né dall’approvazione altrui.
Hai già superato molto più di quanto tu riesca a riconoscere.
E forse non sei rotto: stai solo fiorendo in una forma diversa.

Se hai sentito risuonare dentro di te alcune di queste parole, forse è arrivato il momento di iniziare a guardarti con occhi nuovi. È proprio da quel punto in cui ti sembra di non avere più nulla che può nascere una vita costruita su di te, non sugli standard degli altri.

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