Psicologia dell’avarizia: cosa si nasconde dietro il comportamento dell’avaro?

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor
L'avaro non è buono nei confronti di nessuno, pessimo nei confronti di sé stesso. Publilio Siro
L’avaro non è buono nei confronti di nessuno, pessimo nei confronti di sé stesso.
Publilio Siro

Avaro, spilorcio, taccagno… sicuramente questi aggettivi ci ricordano qualcuno che conosciamo, ad esempio una persona che puntualmente non trova il portafoglio quando si deve pagare il conto al bar, al ristorante….

L’avarizia non ha nulla a che fare con la mancanza di soldi e con la necessità oggettiva di risparmiare. Come spiegare questo comportamento? Come giustificare la necessità di mettere costantemente da parte dei soldi?  E’ bene precisare che la l’avaro non si accorge della delusione che arreca agli amici; d’altra parte, come potrebbe, dal momento che ogni giorno depriva se stesso senza accorgersene?

L’avarizia non è cattiveria, quanto piuttosto una forma di insensibilità al bisogno altrui. L’avaro non percepisce davvero il disagio della famiglia costretta a stringere la cinghia, non si accorge della delusione degli amici feriti dalla sua scarsissima disponibilità, dai trucchetti meschini cui ricorre per non offrire mai, non ricambiare, non gioire insieme. Insomma, non è cosciente di quanto con il suo comportamento toglie agli altri.

Spesso chi è avaro è anche iper-crontrollante nei confronti degli altri, è sospettoso, malizioso, machiavellico. Va in cerca di continue conferme circa l’altrui opportunismo, perché sembra essere amaramente persuaso che al mondo esistano due sole categorie di persone: i falsi e gli ingenui. Rifugge dai primi, commisera e sfrutta i secondi.

Questo fa degli spilorci persone affettivamente isolate, anche quando riescono a mantenere rapporti stabili, a sposarsi e ad avere figli. La sola forma di relazione che li rassicura è la dominanza, la possibilità di gestire gli affetti con la stessa rigida parsimonia con cui adoperano il denaro.

I gradi dell’avarizia

Avarizia giustificata

Ovviamente ci sono gradi diversi del vizio. Niente di strano se si spende con misura, con attenzione, ma senza negare a se stessi e agli altri, piaceri e comodità: siamo nella normalità, ognuno sceglie come preferisce vivere, se in maniera più o meno spartana.

Avarizia patologica

Esistono persone con un nutrito conto in banca che patiscono il freddo (perché il riscaldamento costa), che mangiano poco e male (il conto del supermercato è una sofferenza), che si avvelenano (peccato buttare un alimento o un farmaco solo perché scaduti), che non si curano (per non affrontare le parcelle del medico), e così via.

Genesi dell’avarizia, come nasce questo malessere?

Tale padre, tale figlio…ci sono diverse teorie che danno rilievo a un imprinting familiare: crescere con genitori troppo parsimoniosi porta spesso a seguirne l’esempio, a non tradire una filosofia e una consuetudine di famiglia. Anche se c’è chi si ribella e si trasforma in uno spendaccione, così i figli di scialacquatori possono diventare per reazione attentissimi allo spicciolo.

Avarizia: teoria di Freud

“L’avaro soffre di stitichezza“. Secondo il padre della psicoanalisi, dietro la tirchieria c’è un’enorme, inconfessata insicurezza negli affetti fondamentali, una ferita profondissima e antica. Non a caso spesso negli avari è presente un sintomo psicosomatico chiaro: la stipsi.

Per Freud, lo sviluppo del bambino è diviso in varie fasi: la fase orale, in cui predomina il piacere che proviene dalla bocca, totale nel momento dell’allattamento; quella anale, il periodo il cui il piccolo impara l’uso del vasino; quella genitale, che corrisponde all’inizio dell’organizzazione adulta della personalità.

Il seme dell’avarizia è nella fase anale, quando il piccolo impara che, controllando il corpo, può far contenta o meno la mamma, quell’onnipotente oggetto d’amore da cui dipende per il suo nutrimento sia fisico sia affettivo, e da cui teme di essere abbandonato. Scopre che l’attività del dare o del trattenere gli regala un certo potere sulle emozioni degli adulti e nello stesso tempo procura anche un certo piacere. Se il bambino è poco amato e rassicurato, con una madre anaffettiva e nel contempo attenta alle regole e alla disciplina, può diventare esageratamente dipendente da questo gioco del controllo.

Secondo Freud, inoltre, c’è un’altra spiegazione per la psicologia dello spilorcio: il più delle volte, dietro un avaro, c’è una madre che magari non è capace di amare, ma sa benissimo controllare, onnipotente e imperversante. Ecco spiegato il motivo per cui spesso siano avari quegli uomini che non si sposano per non condividere con una compagna le proprie cose, e anche perché non riescono a sfuggire al controllo materno.

Nella testa dello spilorcio

Più che dall’aspirazione alla ricchezza, l’avaro è tormentato dallo spettro della scarsità. Non vuole, come comunemente si immagina, arricchirsi alle spalle degli altri ma, piuttosto, teme che il dare qualcosa a qualcuno possa rovinarlo, possa turbare il fragile equilibrio psicologico su cui basa la sua idea della realtà. Così, chi vive nell’avarizia vede il male dove non c’è alcun male, travisa la generosità con la stupidità, scambia la disponibilità con l’opportunismo e vede il successo altrui come il risultato di illeciti e di macchinazioni.

Per concludere…
L’avidità è una forma di dipendenza che può, paradossalmente, limitare la nostra libertà personale, costringendoci a vivere in funzione del soddisfacimento dei desideri e senza peraltro essere mai soddisfatti e felici.  Cechiamo di capire e scovare quello che ci manca davvero…solo così potremo guarire dai desideri infantili insoddisfatti.

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