Se il “desiderare” fonda il proprio criterio di esistenza sulla “necessità di..”, ovvero sulla mancanza di qualcuno o qualcosa, bisognerebbe spostare l’attenzione dal “voler/dover” al considerare attentamente qualcosa nelle sue relazioni e conseguenze.
Desiderare l’altro significa considerarlo?
Desiderare ha in sé la matrice della distanza, di quello spazio da colmare che, essendo vasto, non può che accendere il “desiderio di”.
Considerare è invece l’atto intenzionale che può essere rivolto o non rivolto volutamente verso ciò che rientra nella sfera di azione. La considerazione dipende dall’attività volitiva del soggetto mentre il desiderio è più vicino alla distanza siderale, all’oltre, alla dimensione della fantasia che proietta nel là ed allora, più che nel qui ed ora. Il desiderio è la distanza fra noi e il sogno, è più vicino alla tendenza a fantasticare che non a riflettere.
Considerare significa invece integrare l’altro da me, vuol dire rimandare l’attenzione all’altro nell’adesso. Considerare è colmare una distanza in modo che l’altro percepisca che può essere parte integrante del mondo di chi prende in considerazione.
La presenza dell’altro può essere assenza nel momento in cui viene meno la considerazione
Pur vivendo insieme, in una realtà dove le persone si incontrano e si scontrano quotidianamente, non è detto che vi sia considerazione. Senza considerazione c’è il senso di vuoto, pur essendo in presenza di.
La considerazione si fonda quindi sul prestare attenzione, sul desiderio di entrare in contatto, sul colmare la distanza fra me e l’altro. Senza attenzione non c’è la “relazione considerevole”, ovvero quel tendere verso l’altro per sentirlo come parte di me nel suo svelarsi.
Non vi è svelamento dell’altro senza l’intenzione di considerare. E senza svelamento non c’è possibilità di lettura dell’altro. Insomma, prendere in considerazione l’altro vuol dire restituire il senso di esistenza all’interno del mondo di quella specifica relazione.
La relazione, sia essa di coppia che di amicizia, svilisce quando cessa la considerazione, ovvero il desiderio di svelamento dell’altro nelle sue dimensioni, più o meno intime. La considerazione nasce allora dal desiderare, dall’impegno verso l’accorciamento di una distanza in modo che possa avvenire quel processo di disvelamento arricchente e nutriente.
Ma se ciò che viene vissuto rientra in una dimensione di “datità”, ovvero come qualcosa di scontato, ovvio, di già vissuto, utilizzato e scoperto, ecco che la considerazione viene meno.
Il desiderio d’altra parte, si nutre di distanza, di tutto ciò che va oltre il semplice dato di fatto. Il rinnovamento diventa allora la parola chiave per riaccendere il desiderio e poter riattivare la considerazione, ovvero quel donare valore all’altro da me in quanto portatore di esperienze nuove, inedite e nutrienti.
Il fallimento di molte relazioni è decretato proprio dall’impossibilità di accendere il desiderio necessario e dare quindi carburante al motore della considerazione. Complice di tutto questo è il congelamento all’interno di routine, di abitudini e modi di fare considerati come ovvi, necessari e indiscutibili.
La sicurezza di e per, crea solide basi per voltarsi altrove, lontani dal qui ed ora. Le basi del dato per certo fa virare verso l’inquieta tensione per l’altrove. Perdersi il presente delle relazioni significa abbandonarsi alle lusinghe del “potrebbe” e del “chissà”.
Sto con te ma il mio desiderio va altrove
Il dubbio sulle relazioni vissute come insignificanti potrebbe nascere dall’incapacità di scardinare quei meccanismi impliciti che costringono ad orientare il faro del desiderio sempre in una direzione prestabilita.
Le relazioni si esauriscono rapidamente quando viene ritenuto indiscutibile che l’andamento dei fatti non possa che essere quello che già c’è. C’è di più. L’incistimento in ruoli definiti, il dover essere in una determinata modalità perché così è sempre stato, non fa che confermare aspettative altrui e frustrare l’accensione della curiosità.
Ciò che scade in una relazione non sono le persone coinvolte, sono le modalità di interazione che mettono in campo quelle modalità ormai svelate che sono date come ovvie. Se viene a mancare quella zona velata, quella dimensione “non messa in piazza”, difficilmente potrà accendersi il desiderio per. Nessuno desidera ciò che è dato come già visto, come scontato.
Forse occorrerebbe recuperare una dimensione della riservatezza, di un’intimità soggettiva non espressa sempre comunque, una opacità che non può essere resa trasparente dagli sguardi superficiali.
Occorrerebbe andare forse contro a quello che viene fatto con i social, dove spesso e volentieri è possibile sapere tutto di chi, in qualsiasi momento, rende pubblica la propria vita privata. Questo non fa che sortire, alla lunga, un effetto opposto.
Mettendo a nudo tutto ciò che sono, sempre e comunque, progressivamente l’attenzione e la considerazione viene meno. Non posso incuriosirmi per ciò che, svelandosi, non lascia intravedere un velamento, un nascondersi che mi spinga verso il desiderio della scoperta.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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