Quando il troppo, è troppo: sindrome da Burnout

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Illustrazione da: depositphotos.com

Il burnout è una sindrome psicologica da stress lavorativo caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e riduzione della percezione dell’efficacia personale (Maslach et al., 1996), in effetti la traduzione del termine è bruciarsi, dissolversi. Essa è caratterizzata da cambiamenti fisiologici, comportamentali, cognitivi ed emotivi.

La sindrome colpisce generalmente le helping professions, quelle professioni relative all’area socio-sanitaria che prevedono il contatto diretto e prolungato con altri esseri umani.

In ogni caso il burnout può interessare ogni operatore che è in contatto con le persone: insegnante, educatore, guardie carcerarie, in sintesi ci si può riferire a tutti quei lavori caratterizzati da coinvolgimento emotivo, stati di ansia e tensione. – Sirigatti et al., 1988

Questa sindrome insorge quando nasce uno squilibrio tra le richieste professionali e la capacità personale di sostenerle dando vita a un senso di frustrazione, demoralizzazione e basse difese da stress lavoro-correlato (Carlini et al., 2016).

Il burnout, oltre a conseguenze dirette sulla persona, ha i suoi effetti anche a livello lavorativo-organizzativo in termini di assenteismo, turnover, assenze per malattia e abbandono lavorativo.

Quali sono i sintomi del burnout?

La sindrome del burnout è di natura multidimensionale, le sue principali manifestazioni sono: l’esaurimento emotivo: rappresenta il nucleo principale della sindrome che porta i lavoratori a percepirsi come incapaci di trovare un equilibro psicologico e di autoregolarsi. Talvolta potrebbe insorgere un senso di vuoto, come se si avesse la sensazione di non poter offrire più niente agli altri. I sintomi tipici includono: depressione, rabbia, impazienza, irritabilità, litigiosità, affaticamento fisico, continue cefalee, nausea, tensioni muscolari, disturbi del sonno (Tomei et al., 2008);

La depersonalizzazione: insorgono sentimenti e atteggiamenti cinici verso i pazienti/clienti, questa insensibilità potrebbe portare i lavoratori a provare distaccoindifferenzanegatività verso gli altri, sé stessi e verso il lavoro (Maslach et al., 1996).

La riduzione dell’efficacia personale porta i lavoratori a valutare sé stessi in ottica negativa, durante il lavoro con i pazienti, infatti, potrebbero sentirsi infelici e insoddisfatti della loro realizzazione lavorativa.
Ci si disimpegna verso il lavoro e di conseguenza la qualità lavorativa diminuisce.

A livello personale, inoltre, il burnout potrebbe essere associato a conseguenze personali come stanchezza fisicainsonniaabusi di alcool e droghe problemi di coppia o familiari. Tutto ciò potrebbe avere dei risvolti sia per i lavoratori stessi che per i pazienti/clienti in trattamento in quanto potrebbe influire sulla qualità delle cure e dei servizi garantiti. Lo stress da burnout, secondo le classificazioni psicologiche, si può manifestare con:

  • un errato rapporto tra la persona e il suo lavoro. La persona ha la sensazione di essere inadeguata, non riesce ad adattarsi alle mansioni che le vengono richieste e si rinchiude nella negatività del suo isolamento psichico;
  • un calo dell’impegno e della produttività. Anche se il lavoro di per sé offre prospettive di carriera o di realizzazione personale, il soggetto lo percepisce come un fallimento e non è più motivato a svolgerlo al meglio;
  • delle problematiche emozionali. Possono manifestarsi tensioni e sentimenti (impossibili da gestire) di frustrazione, ansia, paura o rabbia verso se stessi, il proprio vissuto, i colleghi e l’attività, fino alla perdita del controllo.

Quali sono i fattori di stress che potrebbero causare il burnout?

I fattori di stress di tipo lavorativo che contribuiscono all’insorgenza della sindrome possono essere (Sirigatti et al., 1988):

  • tipo di mansione attribuita;
  • stile organizzativo aziendale;
  • mancanza di supporto dei colleghi;
  • mancanza di supporto dei dirigenti;
  • eccesso di richieste in rapporto alle risorse disponibili;
  • scarsa definizione dei confini professionali;
  • ambiguità delle richieste di prestazione;
  • mancanza di feedback circa il lavoro svolto.

Una serie di studi ha messo in evidenza come la disponibilità di una rete di supporto tra colleghi e un sostegno presente e tempestivo da parte dei dirigenti, potrebbero favorire il recupero di uno stato di equilibrio psicologico dopo una fase di esaurimento emotivo.

È indubbia, inoltre, la teoria in base alla quale le caratteristiche personologiche individuali portino le persone a reagire in modo diverso allo stress determinando, per alcuni, una sorta di vulnerabilità allo sviluppo della sindrome. Le differenze individuali riguardano:

  • remissività e passività nei rapporti con gli altri;
  • comportamenti ostili, ansiosi;
  • difficoltà di adattamento ai cambiamenti;
  • difficoltà a distinguere e mantenere la distanza tra coinvolgimento personale e professionale;
  • difficoltà a controllare i propri impulsi ostili;
  • impazienza;
  • scarsa tolleranza alla frustrazione;
  • bassa autostima;
  • ricerca costante di approvazione.

Quali lavoratori sono maggiormente esposti al burnout?

La sindrome del burnout colpisce maggiormente le persone di 30-40 anni, non sposate e con un livello culturale elevato, non si registra una differenza tra i sessi. Numerose ricerche hanno dimostrato come in alcuni ambiti professionali si verifichi una prevalenza della manifestazione della sindrome, questi sono: area medica della salute mentale e fisica (psichiatria, oncologia e chirurgia dei trapianti)(Fothergill et al., 2016); area dei servizi sociali; area dei servizi pubblici e ambiente detentivo (Schaufeli et al., 2000).

In generale, le professioni più a rischio di burn-out sono quelle che vedono contesti lavorativi che richiedono ripetute relazioni interpersonali e relazioni con il pubblico.

Quali strategie poter adottare per fronteggiare il burnout?

Gli interventi dovrebbero essere rivolti sia all’ambito lavorativo che a quello personale, privilegiando sicuramente l’ottica di prevenzione e minimizzazione delle conseguenze della sindrome del burnout (Maslach , 2011).
L’intervento sui fattori ambientali è destinato all’intera organizzazione in relazione al singolo individuo.

A livello individuale potrebbe essere utile:

  • adottare tecniche di rilassamento volte a imparare a gestire, e ridurre, l’attivazione psicofisiologica;
  • lavorare sulla consapevolezza e riconoscimento dei propri punti di forza e debolezza;
  • sviluppare abilità efficaci di fronteggiamento delle situazioni stressanti;
  • ampliare il proprio supporto sociale.

I diritti del lavoratore

Il lavoratore che incorre in una sindrome da burnout ha la possibilità di far valere i propri diritti solo se lo stress causa una patologia vera e propria. Lo stress in quanto tale, infatti, non è misurabile, ed è tenuto in considerazione dalla medicina del lavoro solo se si sviluppa in una malattia professionale psichica o fisica.

Se, per esempio, la sindrome da burnout conduce a un disturbo depressivo maggiore, allora al lavoratore è riconosciuta una forma di invalidità, che si manifesta in una diminuzione della capacità di lavorare (dal 10% all’80%, a seconda della gravità diagnosticata).

Sul piano fisico, invece, la sindrome da burnout può causare dolori e problemi a diversi organi, dal cuore al fegato; tali condizioni patologiche vanno ovviamente valutate caso per caso. Qualora esse generino difficoltà tali da garantire il riconoscimento dell’invalidità, il lavoratore ha diritto naturalmente a forme di assistenza apposite.

È possibile, tra le altre cose, che venga assegnato un assegno di invalidità ordinario o civile. Se la sindrome da burnout conduce a conseguenze gravissime (fino al 100% di invalidità) è possibile anche veder riconosciuta la pensione di invalidità. Inoltre, per le assenze giustificate, anche per le cause del burnout valgono le medesime condizioni che si applicano alle altre patologie, comunque emerse o suscitate.

Come proteggersi da un lavoro usurante

Non ci sono ricette universali, ma alcuni suggerimenti possono aiutare.

  1. Sul lavoro. È importante mantenere la calma e non reagire in modo emotivo agli stressor del lavoro.
  2. Fuori dal contesto lavorativo. È utile prendersi del tempo per se stessi, anche solo qualche minuto al giorno, per rilassarsi e ricaricare le energie.
  3. Fuori dal contesto lavorativo. È fondamentale anche mantenere una buona routine di sonno e riposo: dormire almeno 7-8 ore a notte permette di recuperare le forze e gestire meglio lo stress.
  4. Fuori dal contesto lavorativo. È importante coltivare relazioni positive e sviluppare una buona rete di supporto: condividere le proprie preoccupazioni con persone di fiducia aiuta a ridurre lo stress.

Autore: Dalila Manti, psicologa e psicoterapeuta. Specializzata presso l’Istituto Santa Chiara
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