Quando tutto sarà finito: l’inizio del dopo

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L \\\'Autore di questo articolo è uno psicologo o psicoterapeuta.

Nei colloqui fatti in questi giorni, tra le tante riflessioni che questo tempo diluito porta con sé, si aggiunge anche questa. Ora siamo fermi, obbligati all’inerzia per proteggere noi stessi e gli altri.

Dapprima pensavamo che, una volta arrivato il virus nel nostro paese avremmo saputo contenerlo e gestirlo. Abbiamo sostenuto che alcuni casi isolati non ci avrebbero fermato e i nostri primi sentimenti, testimoniati dai nostri hashtags sono stati #litalianonsiferma e #noinoncifermiamo, persuasi che fosse solo una scocciatura da gestire nel più breve tempo possibile.

Poi è successo…
Non era più possibile far finta di niente e per la prima volta, le nostre generazioni di bambini, adolescenti, giovani e adulti hanno dovuto confrontarsi con la realtà: non erano più cose lontane e distanti, ma si stava diffondendo qualcosa di serio nelle nostre strade familiari e sicure.

Non era più il tempo di uscire, essere impavidi era diventato essere incoscienti.

Così, un po’ scocciati un po’ spaventati, abbiamo fermato la maggior parte delle nostre attività e sono cambiati i nostri hashtags: #iorestoacasa e #andràtuttobene. Ripetuto come un mantra e appeso ai nostri balconi.

Due settimane di stop forzato avrebbero gestito e arginato il problema. Sono state le settimane dei canti sui terrazzi, della riscoperta del tempo famigliare e della socializzazione a distanza.

Piano piano però, in queste settimane si è fatto strada il dubbio che non sarebbe stato sufficiente. Quei quindici giorni di “ferie forzate” che, in qualche modo sapevamo come tamponare in termini di gestione del tempo e delle risorse (anche economiche), sono stati allungati fino a ipotetiche date da destinarsi e sono comparsi i primi episodi di violenza civile (alle Poste, nei Supermercati, ecc…).

Adesso davvero stanno finendo le “vecchie” cose da fare e da smaltire e cosa rimane?

Stiamo scrivendo “usciremopresto” e si azzardano le prime circolari per consentire limitate passeggiate per i bambini.

Ma usciremo presto per tornare dove?

Adesso che abbiamo visto i nostri anziani poter essere “sterminati” per l’ingresso di una minuscola entità biologica nella casa di riposo in cui li ritenevamo al sicuro e, a volte, potevamo dimenticarceli.

Adesso che abbiamo visto che esistono persone disposte a continuare a lavorare in prima fila nonostante i rischi e altre capaci di andare a razziare un supermercato solo per il proprio benessere.

Adesso che sappiamo che alcune cose possono essere fatte a distanza migliorando in efficienza, mentre altre proprio no? Adesso che ci siamo resi conto che siamo vulnerabili anche noi, nonostante ce lo fossimo dimenticato.

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità.

Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità.

La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.

Questo estratto del discorso tenuto da Papa Francesco nei giorni scorsi, al di là della connotazione religiosa che ognuno di noi può dare o meno, ci offre un’immagine fedele del contesto in cui, pieni di “non ho tempo”, conducevamo le nostre vite.

All’inizio pur di non fermarci, ci ripetevamo che il virus (ma più in generale la malattia) colpiva solo gli anziani. Ora che quegli anziani sono i nostri genitori e nonni questo non ci rincuora più e ci mancano i momenti in cui potevamo vederli e abbracciarli.

I bambini erano da portare a scuola e alle infinite attività pomeridiane e farle saltare erano solo disservizi, allarmismi e mancanza di buona volontà nella gestone. Ora che il difficile ruolo di educatori è tutto sulla famiglia sembrano un po’ più comprensibili certe scelte.

Il lavoro occupava sempre più tempo in termini di ore e il suo stress ci seguiva fino a casa. Magari non sapevamo ritagliarci degli spazi ed eravamo sempre nervosi senza tempo per i nostri cari o magari non ci piaceva per niente quello di cui ci occupavamo.

Adesso sembra impossibile aver dato un senso alla vita e a tante nostre giornate solo sulla base di litigi e problematiche lavorative. I nostri famigliari somigliavano a dei coinquilini di cui ci ricordavamo poco e adesso quelli con cui condividiamo casa sono con noi h24 e altri ci mancano tremendamente.

Di tutte queste cose, così familiari fino a poco tempo fa, eravamo presi a concentrarci solo sugli aspetti più negativi. Tutto era una scocciatura, il passato e il futuro potevano essere idealizzati nel ricordo e nell’attesa e il presente non aveva valore.

Questo è l’inizio del dopo

E’ stato detto: ”Questo è l’inizio del dopo” e gli addetti ai lavori ci hanno anticipato che non sarà semplice, ma sarà una ripresa lenta e graduale, che ci richiederà cauti e consapevoli.

Ci arriveremo inevitabilmente provati e preoccupati e dovremo gestire tante cose di ordine pratico, ma questo sarà poi. Non ci siamo ancora.

Adesso siamo qui, nel dubbio, nell’incertezza, nella vulnerabilità… Ci eravamo già prima e ci siamo sempre stati, tutti, ma non volevamo vederlo perché faceva paura. Ora ci possiamo concedere il lusso di ammetterlo:

L’INCERTEZZA SPAVENTA

Per questo cerchiamo con ogni mezzo di controllarla e ridurla al minimo e, quando ciò non è possibile, ci sembra di aver perso i nostri punti fermi e possiamo diventare aggressivi perché ci sentiamo minacciati.

Rimaniamoci dentro questa sensazione, non a vita (assolutamente!), ma quel tanto da ricordarci che valore hanno i nostri sforzi e i traguardi raggiunti, che importanza occupano i nostri affetti e che anche nelle situazioni più buie abbiamo già dimostrato quanto coraggio possediamo e quello è un punto fermo che non ci poterà via nessuno.

Se la sofferenza vi ha resi cattivi l’avete sprecata” – #liniziodeldopo

Autore: Stefania Canil, psicologa (psicoterapia e nutrizione)
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