“Le fragilità fanno parte di noi. Ci appartengono e in quanto tali vanno amate. È bene che non infieriamo, ma ci riconciliamo con esse”. Inevitabilmente possono verificarsi situazioni che provocano in noi sofferenze più o meno grandi che ci coinvolgono a livello emotivo e possono riguardare sia la nostra sfera personale che quella professionale: il partner che ci ha deluso, una relazione familiare invasiva o dolorosa, un capo che ci maltratta, un tradimento, un torto subito
Non dobbiamo vergognarci delle nostre ferite
A tutti succede di soffrire, prima o poi. Il vero problema è ignorarle, credere che il tempo e le distrazioni le guariscano. È vero che il tempo e le distrazioni aiutano a curarle ma solo se, prima di tutto, le abbiamo scoperte, osservate, comprese e chiuse. Non si tratta neanche di chiudere un capitolo della nostra vita per non ritornarci più sopra; la questione è, piuttosto, lasciare che la ferita rimargini, affinché, voltandoci indietro, non faccia più male. Prenderci cura delle nostre ferite ci consentirà di trasformarle in un’occasione per imparare e, soprattutto, superare la paura che le ha causate.
Le ferite emotive vanno trattate nello stesso modo delle ferite fisiche. I passi da seguire sono simili a quando curiamo un taglio o quando riceviamo un urto. Il fatto che questo tipo di ferita sia invisibile a volte ci porta a ignorare il nostro dolore, a voltarci dall’altra parte; rischiamo, così, che la ferita emotiva si infetti, non si rimargini bene e che finisca per lasciarci ancora più rimpianti.
Le questioni irrisolte sono quelle che non sono state ancora definite
Ci sono alcuni errori frequenti da evitare e alcune domande che sarebbe meglio non farsi perché il rischio è quello di rimanere bloccati nella sofferenza. “Perché proprio a me?”, “Perché è successo questo?”, “Cosa ho fatto di sbagliato?”, “Perché quella persona mi ha fatto questo torto?”, “Cosa c’è che non va in me?”…
Ti suonano familiari, vero? La verità è che non serve a nulla torturarsi con mille domande se non a cadere in una spirale di sofferenza senza via di uscita. La mente, infatti, si affligge spesso con domande senza risposta, così si finisce per smarrirsi nella confusione e nel dolore. Ma non preoccuparti perché se ti riconosci in queste frasi esiste un modo semplice e senza sforzo per interrompere questi interrogativi estremamente dannosi.
Chiudere i conti in sospeso è un lavoro che va fatto prima di tutto con se stessi: non si tratta di avere necessariamente un confronto con le persone coinvolte, né di compiere forzatamente azioni per riparare oggi a ciò che è successo in passato. Spesso ha più a che fare con un lavoro profondo di accettazione, con la scelta di lasciar andare e di integrare l’accaduto nella nostra vita, anche se l’evento in questione coinvolge persone che vediamo tutti i giorni.
Il tempo è fondamentale per riprenderci dai traumi emotivi
Con il tempo riusciamo a dare un senso a ciò che è accaduto, accettiamo il passato e voltiamo pagina. Infatti, i traumi causano di solito un terremoto psicologico, quindi abbiamo bisogno di tempo per recuperarci, per guardare dentro di noi e renderci conto che non siamo più la stessa persona…qualcosa è cambiato! Dopo il forte choc emotivo possiamo sentirci bloccati, abbiamo bisogno di tempo per ritrovare noi stessi, per capire, accettare e persino imparare a convivere con questa nuova persona che siamo diventati. Superare le nostre ferite interiori comporta:
- Essere compassionevoli con noi stessi, sentirci a casa come il bambino nel grembo materno
- Riconciliarci con le nostre immagini idealizzate e imparare ad accettarci.
Il rifiuto di noi stessi
Naturalmente il successo, la popolarità e il potere possono essere una grande tentazione, ma la loro forza di seduzione deriva spesso dal fatto che sono parte di una più grande tentazione, quella del rifiuto di noi stessi. Quando si dà ascolto alle voci che ci chiamano indegni e non amabili, allora il successo, la popolarità e il potere sono facilmente percepiti come soluzioni attraenti.
Ma la vera trappola è il rifiuto di noi stessi. Mi stupisco sempre di come cadiamo in fretta in questo tipo di processo mentale disfunzionale. Appena qualcuno ci accusa o ci critica, appena ci sentiamo rifiutati, lasciati soli o abbandonati, ci troviamo a pensare: “Questo prova ancora una volta, che non sono nessuno/a”.
Invece di assumere una posizione critica al riguardo, o cercare di capire quali sono i nostri e altrui limiti, tendiamo a colpevolizzarci, non solo per ciò che abbiamo fatto, ma per ciò che siamo. Il mio lato oscuro dice: “Non sono buono/a, merito di essere messo/a da parte, di essere dimenticato/a, rifiutato/a e abbandonato/a”.
Come sappiamo quando siamo pronti per ricominciare di nuovo?
L’amor proprio a volte viene seriamente messo in discussione dalle esperienze passate. Le diverse forme di rifiuto generano sofferenza, indipendentemente dalle condizioni in cui si verificano. Feriscono qualsiasi essere umano. Ognuno è diverso, e anche i traumi e le lesioni lo sono. Normalmente, questo processo si conclude in modo naturale, perché si tratta di un momento normale dalla durata limitata; la sua evoluzione procede fino al momento del superamento del trauma, fortificando la nostra maturità e la nostra crescita personale
Essere pronti a proseguire richiede tempo e non esiste una regola precisa, devi imparare a connetterti con ciò che hai dentro e ascoltare i segnali che ti invia il tuo “io”. Ma in generale, una persona è pronta a proseguire quando esistono almeno due delle seguenti condizioni:
1. Il dolore è diminuito
Guardandoti alle spalle ti rendi conto che, anche se la ferita è lì, non fa più male. Infatti, probabilmente cominci a ricordare più spesso gli aspetti positivi che quelli che ti causavano danni.
2. Hai imparato
Quando analizzi ciò che è accaduto, riesci a dargli un senso e capisci dove hai sbagliato. Quando assumi l’esperienza e questa ti arricchisce come persona.
3. Vivi in modo disincantato ciò che ti è successo
Quando ripensi agli eventi del passato senza sentirti in colpa o cercare colpevoli, significa che hai spogliato la situazione della sua drammaticità iniziale.
Tempo per pensare, tempo per imparare
D’altra parte, il tempo è fondamentale anche per imparare dagli errori che abbiamo fatto. Se usciamo da un rapporto di coppia traumatico, per esempio, e ci buttiamo immediatamente tra le braccia di un’altra persona, non avremo avuto abbastanza tempo per capire dove abbiamo sbagliato. In realtà, è proprio questo uno dei motivi per cui le persone si trovano spesso coinvolte in relazioni che non vanno mai a buon fine. Non si sono concesse il tempo necessario per crescere.
Il tempo permette di prendere la necessaria distanza emotiva dal dlore, in modo tale che possiamo giudicare il nostro comportamento e le decisioni da una prospettiva più obiettiva e da una posizione distaccata. Di conseguenza, saremo in grado di assumere la nostra parte di responsabilità e crescere. Al contrario, se ci affrettiamo, rischiamo di commettere gli stessi errori, andando a sbattere ripetutamente contro lo stesso muro. Purtroppo, ci sono ancora molte persone che credono che “un chiodo scacci l’altro”! Eppure, ciò di cui abbiamo bisogno è solo fermarci per raccogliere le forze e ricomporre i pezzi.
9 indicatori che siamo guariti dalle nostre ferite emotive
È importante andare avanti, a tutti i costi, perché sarà un punto di svolta che ci mette alla prova. A volte la cura consiste nell’aprire gli occhi alla realtà, altre risolvere una situazione dolorosa, tagliar corto o, semplicemente, piangere. Il tempo è fondamentale per riprenderci dai traumi emotivi, con il tempo riusciamo a dare un senso a ciò che è accaduto, accettiamo il passato e voltiamo pagina. Infatti, i traumi causano di solito un terremoto psicologico, quindi abbiamo bisogno di tempo per recuperarci, per guardare dentro di noi e renderci conto che non siamo più gli stessi, qualcosa è cambiato.
Dopo il forte choc emotivo possiamo sentirci bloccati e abbiamo bisogno di tempo per ritrovare noi stessi, per capire, accettare e persino imparare a convivere con questa nuova persona che siamo diventati. Quali sono gli indicatori del nostro cambiamento?
- Quando accettiamo di non essere degli eroi, né delle persone perfette, ma delle persone limitate
- Quando ci rivolgiamo amorevolmente alla parte di noi che rifiutiamo. Essa ci appartiene. È parte di noi. E anche questa va amata. E tanto più non la combattiamo, ma la accettiamo, tanto più ci sentiremo in armonia con noi stessi e con gli altri.
- Quando sperimentiamo che abbiamo dei difetti, ma che noi non siamo i nostri difetti. Abbiamo delle colpe, ma non siamo le nostre colpe
- Quando non diventiamo più responsabili dei pensieri che affiorano dentro di noi, ma solo del modo in cui li gestiamo. Non saremo cattivi quando certi pensieri ci opprimono, né ci colpevolizzeremo se in noi esistono vanagloria, odio, gelosia, pensieri di natura sessuale.
- Quando gli eventi spiacevoli del passato non condizionano il nostro presente
- Quando accettiamo le delusioni che viviamo ritenendo che esse fanno parte della nostra esistenza
- Quando non ci facciamo più condizionare dai giudizi e dalle valutazioni degli altri e iniziamo a credere in noi stessi e al nostro valore
- Quando riusciamo a perdonarci. Soltanto quando riusciamo a perdonare le nostre debolezze, le fragilità relazionali, spirituali, caratteriali queste perderanno la loro forza distruttiva e si trasformeranno in punti di forza.
- Quando smettiamo di fare confronti con le altre persone che riteniamo più brave, più intelligenti, più capaci di noi. Si tratta piuttosto di vedere, per usare un’immagine, il nostro giardino, i nostri fiori, i nostri frutti e apprezzarli, anziché vedere sempre i fiori e i frutti del giardino accanto.
Prendiamoci tutto il tempo di cui abbiamo bisogno per guarire e ricominciare di nuovo
In sintesi ricordiamo a noi stessi di iniziare da dove siamo ora e con quello che abbiamo a disposizione, facendo qualcosa che non abbiamo mai fatto prima e che sia pienamente nelle nostre possibilità, perché anche una sola azione coerente con ciò che è importante nella nostra vita è un passo in più verso un’autentica felicità
Il mio libro…
Se hai voglia di fare introspezione, guardarti dentro e metterti davvero in gioco, sappi che ho scritto un libro, ed è il libro che io stessa avrei voluto leggere tantissimi anni fa, prima ancora di diventare una psicologa. S’intitola «Riscrivi le Pagine della Tua Vita». C’è una persona che non dovrebbe deluderti mai: quella persona sei tu! Ricorda: anche tu meriti la tua fetta di felicità in questa vita, abbi il coraggio di allungare la mano per prenderla! È tua, ti spetta di diritto. Puoi trovare il libro in tutte le librerie e su Amazon, a questa pagina. Sarà il regalo più bello che tu possa farti.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Autore del libro Bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” Edito Rizzoli
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