Ricorda sempre queste 2 cose se vuoi trovare il vero amore

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

C’è un momento, nella vita di molti, in cui capiamo che non ci basta più “stare in coppia”: desideriamo un amore che non ci consumi, che non ci chieda di spegnerci per essere scelti, che non confonda il brivido dell’imprevedibilità con la profondità del sentirsi visti. Il vero amore non è una formula magica, né un “colpo di fortuna”; è un incontro possibile quando alcuni prerequisiti interiori sono maturi.

L’errore più frequente è credere che l’amore sia un sentimento che “accade” e che il resto si aggiusterà da sé

In realtà, ciò che chiamiamo “innamoramento” è spesso la riattivazione di mappe antiche: ricorrenze emotive, profumi di casa anche quando quella “casa” è stata fredda o instabile. Il cervello cerca il familiare, non necessariamente il buono: questo vale nelle scelte, nelle abitudini e, soprattutto, nei legami.

Se vuoi incontrare il vero amore, ricorda sempre due cose. La prima riguarda il rapporto con te stesso: l’amore comincia da dentro. La seconda riguarda il legame: l’amore è incontro tra due interi, non fusione di due metà. Queste non sono frasi fatte: sono le condizioni minime perché il sentimento possa radicarsi, crescere e restare.

Prima cosa da ricordare: il vero amore inizia da te

Tutti cerchiamo l’amore, spesso fuori da noi: nelle relazioni, negli sguardi, nelle conferme altrui. Ma il punto di partenza è molto più vicino di quanto immaginiamo. Prima di poterlo riconoscere e custodire negli altri, il vero amore deve nascere dentro di noi, come un terreno fertile che sa accogliere e nutrire.

Perché senza un “me” solido non esiste un “noi” sano

Senza una base interna sufficientemente stabile, ogni dinamica affettiva rischia di diventare una negoziazione continua per essere rassicurati, confermati, placati. È comprensibile: se nella storia emotiva ci sono state carenze, invalidazioni, amori condizionati (“ti voglio bene se…”), il partner finisce per essere investito del compito di riparare ciò che non è stato. È un compito impossibile: nessun legame adulto può riscrivere da solo la nostra infanzia.

Da un punto di vista psicoanalitico, quando la mancanza originaria non è stata mentalizzata, cerchiamo nell’altro l’oggetto che la colmi: alterniamo idealizzazione (sei perfetto, mi salverai) e svalutazione (non mi dai abbastanza, non capisci). Il partner diventa schermo di proiezioni: non vediamo chi è, vediamo cosa speriamo/presumiamo che sia per noi. Il risultato è la relazione-altalena, dove l’intensità sostituisce l’intimità.

Le neuroscienze della familiarità (che a volte fa male)

Sul piano neurobiologico, le memorie emotive implicite — tracce che non passano dalla narrazione cosciente — orientano le nostre previsioni di realtà. L’amigdala è un radar che segnala sicurezza/minaccia sulla base del già vissuto; l’ippocampo contestualizza, la corteccia prefrontale può modulare, ma solo se c’è consapevolezza e regolazione. Quando non c’è, il sistema “sceglie” ciò che riconosce: partner sfuggenti se l’amore è stato intermittente, partner controllanti se l’accudimento è stato invasivo, partner freddi se abbiamo appreso che chiedere era pericoloso o inutile. La familiarità placa l’ansia nel breve periodo (“mi sembra casa”), ma riproduce nel lungo gli stessi dolori.

Autostima, autoaccudimento e confini: i tre pilastri

  1. Autostima realistica: non grandiosa, non autodenigratoria. È la capacità di riconoscere il proprio valore senza confronti tossici. Chi ha autostima realistica non implora attenzioni né teme di perderle a ogni silenzio.
  2. Autoaccudimento: sapersi calmare, organizzare la propria energia, prendersi cura del corpo e dei bisogni emotivi primari (riposo, alimentazione, movimento, relazioni nutrienti). Senza autoaccudimento, la relazione diventa la “farmacia” per ogni stato interno.
  3. Confini personali: saper dire “no” e saper tollerare il no dell’altro. Il confine non è muri che escludono, ma porte che regolano il passaggio. Un confine sano protegge dal sacrificio identitario e dall’invasione.

Indicatori pratici: come capire se “parti da te”

  • Quando l’altro tarda a rispondere o cambia un programma, riesci a restare presente senza scivolare nell’allarme o nel controllo?
  • Sai esprimere un bisogno senza mascherarlo da rimprovero o da prova d’amore?
  • Riesci a distinguere ciò che ti serve per stare bene da ciò che desideri per arricchire la relazione?
  • Dopo un conflitto, sai farti capire con chiarezza invece di sperare che l’altro intuisca i tuoi pensieri non detti?
  • Riesci ad accogliere la stanchezza o la distanza dell’altro senza leggerla come disamore verso di te?
  • Sai accettare che l’altro non sia sempre disponibile senza viverlo come una minaccia al legame?
  • Riesci a comunicare le tue paure senza trasformarle in pretese?
  • Quando non ricevi conferme, sai calmarti da solo invece di pretendere che l’altro colmi subito il tuo vuoto?
  • Sai rispettare i confini dell’altro senza sentirti escluso o messo da parte?
  • Se l’altro non reagisce come speravi, riesci a non leggerlo come un rifiuto personale?
  • Ti permetti di mostrare vulnerabilità senza temere di perdere valore agli occhi di chi ami?
  • Sai ascoltare davvero l’altro senza preparare dentro di te la tua contro-argomentazione?
  • Quando emergono differenze di opinione, riesci a restare curioso invece che difensivo?
  • Riesci a chiedere vicinanza senza paura di sembrare debole?
  • Quando sbagli, sai chiedere scusa senza sentirti annientato?

Se a più di queste domande rispondi “no”, non è una condanna: è una mappa di lavoro. Nessuno “arriva” perfetto all’amore; si arriva disponibili a riconoscere e curare le proprie zone fragili.

Dalla reattività alla responsabilità affettiva

Un passaggio decisivo è trasformare la reattività (risposta automatica guidata da allarme) in responsabilità affettiva (risposta intenzionale guidata da senso e valore). Sul corpo questo si sente: il respiro si fa più basso e regolare, la mandibola si allenta, la mente smette di cercare prove a carico. Non si tratta di reprimere: si tratta di regolare. Il corpo impara che non ogni silenzio è abbandono, non ogni distanza è disamore, non ogni divergenza è attacco.

Esempi concreti

La trama dell’intermittenza: Marta si innamora di chi “va e viene”. Quando c’è, sente euforia; quando sparisce, vive nel panico. L’intermittenza è familiare: da piccola, carezze e rimproveri erano intercambiabili. Finché lo riconosce, può scegliere legami più continui, anche se all’inizio sembrano “piatti”. Non sono piatti: sono stabili.

Il copione del salvatore: Luca sceglie partner da “sistemare”. La sua identità si nutre nel prendersi cura più che nell’essere visto. Ma il salvataggio genera debito e risentimento. Quando smette di farsi terapeuta in casa, scopre che essere scelti per sé è più prezioso che essere indispensabili.

L’evitante funzionale: Serena teme la dipendenza e confonde autonomia con solitudine organizzata. Lavora, produce, si tiene lontana. Ma il distacco è armatura. Imparare la co-dipendenza sana (posso appoggiarmi senza perdermi) è la sua cura.

Seconda cosa da ricordare: il vero amore è relazione, non fusione

All’inizio di ogni storia sembra naturale desiderare di perdersi nell’altro: messaggi continui, pensieri che occupano ogni spazio, la sensazione di voler diventare “uno solo”. Ma l’amore autentico non è la dissolvenza dei confini: è l’incontro tra due persone che restano intere, capaci di sostenere la propria identità mentre scelgono di condividere la vita.
La differenza non separa: nutre il legame. La fusione può sembrare intensità, ma alla lunga soffoca. La vera intimità nasce quando due individui imparano a restare sé stessi dentro la relazione, senza paura che questo li allontani.

La differenza che salva: due soggetti, un legame

La fusione seduce: promette pace perché elimina il confine. Ma il confine è ciò che consente il desiderio e la libertà. Amare non è diventare uno, è restare due capaci di creare un “noi”. Il noi non inghiotte, ospita; non cancella, integra; non pretende, ascolta. La misura della qualità relazionale non è l’assenza di conflitto, ma la capacità di riparazione.

Attaccamento: quando il bisogno traveste l’amore

  • Attaccamento ansioso: iperlettura dei segnali, paura dell’abbandono, richiesta continua di conferme. La relazione è un barometro emotivo in perenne tempesta.
  • Attaccamento evitante: svalutazione del bisogno, idealizzazione dell’autosufficienza, ritiro davanti all’intimità. La relazione è sorvegliata, come una casa con allarme sempre inserito.
  • Attaccamento sicuro: interdipendenza matura; si può chiedere, negare, negoziare, riparare. Il corpo percepisce spazio: si respira.

La buona notizia: gli stili non sono gabbie eterne. Con consapevolezza e pratica relazionale, si può tendere a maggiore sicurezza. Il partner non è il terapeuta, ma la relazione può essere ambiente correttivo se entrambe le parti partecipano in modo responsabile.

Neurochimica dell’amore: tra legame e dipendenza

Nel primo innamoramento, dopamina (ricompensa/novità) e noradrenalina (attivazione) creano focus e slancio; l’ossitocina favorisce fiducia e legame; endorfine e vasopressina contribuiscono alla coesione. Il rischio? Confondere l’alta attivazione con profondità. L’altalena emotiva (ti cerco/ti sfuggo, ti idealizzo/ti svaluto) mantiene alto il rilascio dopaminergico e crea dipendenze relazionali. Il vero amore, quando matura, cala l’intensità oscillante e aumenta la qualità dell’intimità: non “meno”, ma “più fine”. È come passare dal rumore all’armonia: meno clangore, più risonanza.

Segnali di fusione (da riconoscere e sciogliere)

  • Controllo mascherato da cura: “Ti scrivo ogni mezz’ora perché mi preoccupo”. In realtà monitoro per quietare la mia ansia.
  • Gelosia idealizzata: “Se non sei geloso non ci tieni”. La gelosia cronica non misura l’amore, misura l’insicurezza.
  • Annullamento dei confini: “Quello che è tuo è mio, quello che è mio è tuo” in versione rigida, in cui l’individuo scompare.
  • Pensiero unico: differire diventa tradimento. In coppia matura, dissentire è possibile senza minacciare il legame.
  • Dissolvenza del mondo personale: amici, passioni, spazi propri evaporano. All’inizio può sembrare romanticismo; nel tempo diventa impoverimento.

Che cos’è, allora, una relazione “nutriente”

  • Spazio e tempo: c’è prossimità emotiva senza richiesta di reperibilità totale.
  • Linguaggio chiaro: bisogni detti in prima persona (“Io ho bisogno di…”), non processi all’altro (“Tu non fai mai…”).
  • Ritualità: i piccoli riti (messaggi del mattino, un giorno fisso per noi, il saluto prima di dormire) danno continuità; non sono gabbie, ma cuciture.
  • Riparazione: dopo un conflitto, non si fa finta di niente; ci si incontra, ci si ascolta, si scambiano scuse e richieste.
  • Progetto: non necessariamente figli o casa, ma intenzionalità condivisa (crescere, imparare, esplorare). Il progetto orienta e protegge dai vortici.

Copione tossico vs. copione maturo

Ogni relazione si costruisce anche attraverso frasi ripetute, piccoli copioni che con il tempo diventano veri e propri automatismi. Alcuni di questi dialoghi interni ed esterni sono tossici, perché basati sulla paura, sul controllo o sul ricatto emotivo; altri, invece, sono maturi, perché lasciano spazio alla libertà e alla crescita reciproca. Riconoscere la differenza è fondamentale per capire se stiamo alimentando un amore che nutre o un legame che logora.

  • Tossico: “Se non fai come dico, non mi ami”.
  • Maturo: “Anche quando non la pensiamo allo stesso modo, voglio capirti”.
  • Tossico: “Senza di te non esisto”.
  • Maturo: “Con te scelgo di esistere anche meglio”.

Cosa succede quando dimentichiamo queste due cose

Quando non partiamo da noi e cerchiamo la fusione, mettiamo in atto previsioni di realtà che autoriproducono il passato: scegliamo persone che confermano la nostra idea di valore (scarso o condizionato), ci agganciamo a chi promette pace breve (altalena dopaminica), evitiamo chi è stabile perché “non ci dice niente” (confondendo calma e noia). Il risultato è una economia emotiva in deficit: spesa altissima (controllo, ansia, ipervigilanza), poca resa (sicurezza, progettualità, crescita).

Il corpo lo sa: sonno disturbato, iperattivazione, somatizzazioni (nodo allo stomaco, tensioni cervicali, fame emotiva o perdita di appetito), pensiero ruminativo. Non è debolezza caratteriale: è un sistema che tenta di regolarsi con mezzi spezzati. Il cambiamento avviene quando ci fermiamo e vediamo il copione: “Questa attrazione è intensa perché mi è familiare? Sto rincorrendo un bisogno antico? Posso restare qui, respirare, scegliere diversamente?”.

Ricordare le due cose — partire da sé e restare due — non garantisce l’assenza di dolore (nessun legame è privo di fatica), ma protegge da quel dolore che non insegna nulla, quello che ripete, prosciuga e confonde.

Prepararsi a un amore che resta

Trovare il vero amore non è cercare il partner perfetto, ma diventare il partner capace di amare bene: un sé che si sa reggere e un noi che sa accogliere. Ricorda sempre:

  1. Il vero amore inizia da te: senza autostima realistica, autoaccudimento e confini, l’altro diventa farmaco o nemico.
  2. Il vero amore è relazione, non fusione: la differenza custodisce il desiderio; la somiglianza lo nutre; la riparazione lo fa crescere.

Se oggi ti senti fragile, insicuro, bloccato o inadeguato… non stai esagerando. Stai semplicemente dando voce a un dolore antico, un dolore che non ha ancora trovato accoglienza. Ogni volta che ti fermi, che resti con te stesso, che provi a dirti quelle parole che avresti voluto ascoltare da bambino… qualcosa inizia, lentamente, a guarire.

È proprio da questa consapevolezza che nasce il mio nuovo libro “Lascia che la felicità accada.” Non è un semplice saggio, né una raccolta di riflessioni: è un percorso guidato che ti accompagna a rileggere la tua storia emotiva con occhi nuovi. Pagina dopo pagina, ti aiuta a riconoscere le memorie che porti dentro — i modi di pensare, reagire e amare ereditati — e a separarti da ciò che non ti appartiene più. Perché la felicità non si rincorre: la si crea quando smettiamo di farci governare dal familiare che fa male e impariamo a scegliere, con coraggio, ciò che parla davvero alla nostra vita. Ed è lì che la felicità accade. Il libro è già disponibile a questo link su Amazon…ti aspetto tra le pagine

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