Rimuginare. Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa parola, o l’abbiamo pronunciata noi stessi? Moltissime. Nella mia esperienza è forse la parola che, insieme alla parola “ansia”, ho sentito pronunciare più spesso.
Probabilmente, tutti sappiamo cosa significa, ma andiamo a vedere cosa ci dice il dizionario: “Rimuginare significato: Rimescolare, rimestare, frugare, rivoltando qualcosa. In senso figurativo: agitare nella mente un pensiero, un’idea”.
Rimuginare sul passato, sul presente e sul futuro
Rimuginare consiste dunque nel preoccuparsi, temendo di non essere in grado di fronteggiare temuti problemi futuri e, soprattutto, immaginando che possa accadere il peggio (Sassaroli, Ruggiero, 2003). I pensieri e le immagini che vengono evocate sono vissute come incontrollabili e il loro scopo è quello di prevedere e prevenire eventuali eventi minacciosi e negativi costruendo e ipotizzando le possibili soluzioni.
Questo rende perfettamente l’idea di quanto accade nella nostra mente quando attiviamo questa strategia di pensiero disfunzionale: rimestiamo e rigiriamo continuamente attorno ad un concetto, un episodio, un ricordo passato o un’idea, ripercorrendo ricorsivamente le stesse circolari catene di pensiero, senza realmente addivenire ad alcuna soluzione.
Rimuginare in psicologia
In psicologia, con il termine RIMUGINARE o RIMUGINIO si intende una attività di pensiero, verbale o astratto, ripetitiva e circolare, spesso associata alla produzione e successiva focalizzazione su immagini mentali indicative di possibili scenari considerati minacciosi e negativi.
La RUMINAZIONE è invece un processo cognitivo caratterizzato da una modalità di pensieri disfunzionale focalizzata prevalentemente sugli stati emotivi interni e sulle conseguenze negative che da essi si teme possano provenire.
Il rimuginare fa parte di un processo di autoregolazione, coinvolta nella gestione delle emozioni e “caratterizzata da una forma di attenzione intensa e sostenuta catalizzata su se stessi, che comprende l’elaborazione perseverativa e autoreferente (preoccupazioni, rimuginazioni), l’attivazione di autocredenze disfuzionali e il monitoraggio di stimoli (vissuti come n.d.r.) minacciosi” (A. Wells: “Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia”), in cui il contenuto specifico delle preoccupazioni e la natura delle rimuginazioni varia in base al disturbo di fondo.
Il rimuginio, la ruminazione e la ruminazione rabbiosa sono modalità di pensiero ricorsivo e disfunzionale caratterizzate ed accomunate da alcuni aspetti tipici:
1. Ripetitività
Si tratta di pensieri o catene di pensieri che si ripetono ricorsivamente procedendo in senso circolare e autoreferenziale o autoalimentante. Tipicamente non permettono di arrivare ad una conclusione definitiva.
2. Negatività
La qualità di questi pensieri è di tipo negativo o addirittura catastrofico ed è focalizzata su ciò che è accaduto (nel tentativo mentale di modificarlo o trovarvi una spiegazione soddisfacente) o su ciò che di terribile potrebbe accadere;
3. Mancanza di controllo
L’individuo percepisce tale attività mentale come automatica e al di là del suo potere di controllo volontario. Senso di impotenza legato alle rimuginazioni.
4. Contenuti
Si tratta di contenuti mentali prevalentemente verbali (frasi, parole) o eidetici (immagini e scene mentali) relativi al passato (rimuginare sul passato vissuto come screditante, spaventoso, fonte di vergogna e/o dolore…), o ad un futuro vissuto come minaccioso / spaventoso.
5. Non portano all’azione
In un suo divertente ed utile libro (“Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”), lo psicoterapeuta Giulio Cesare Giacobbe scrive: “Un pensiero che dà luogo all’azione non è una sega mentale. Un pensiero che NON dà luogo all’azione è una sega mentale”, sottolineando in tal modo come i contenuti ed i processi di pensiero caratteristici del rimuginare siano del tutto astratti e privi della capacità di condurre all’azione; ma anzi tali da ripiegarsi su se stessi, oppure ampliarsi estendendosi a contenuti più o meno vagamente associati al contenuto principale o di partenza, costruendo un processo di falso problem solving che richiede un enorme dispendio di tempo ed energie mentali, finendo spesso per abbassare il tono dell’umore o amplificare il vissuto di paura e minaccia.
Ma se tali modalità di pensiero sono tanto dannose quanto inutili, perché sono così diffuse?
La rimuginazione come trappola: penso, dunque risolvo
Inizialmente, si cominciano a utilizzare le modalità di pensiero rimuginativo con la credenza di fondo che esse siano la strategia più utile ed efficace per risolvere situazioni identificate come problematiche o minacciose, per affrontare i problemi futuri, per ridurre eventuali sensi di colpa, inadeguatezza o rabbia, o per cercare rassicurazioni su ciò che si è fatto, detto, sulle reazioni che altri hanno avuto ecc.
In generale, possiamo affermare che le rimuginazioni oworry, rappresentano inizialmente per il soggetto una efficace strategia di fronteggiamento o coping, finalizzata a dare sollievo immediato ad uno stato mentale spiacevole che può essere di rabbia, colpa, dubbio e incertezza o preoccupazione ansiosa. Dunque vengono adottate nella speranza portino a trovare una soluzione dunque un sollievo.
La rimuginazione causa un’amplificazione del disagio
In realtà, l’esito concreto di tali processi di pensiero è l’amplificazione del disagioe, nel medio-lungo periodo, la percezione di sé come passivi ed impotenti rispetto ai pensieri, che prendono il sopravvento occupando tempo ed energie e allontanando l’azione o il sollievo dal disagio iniziale. In questo senso, rimuginare su tematiche spiacevoli o percepite come minacciose può condurre a – o perpetrare e amplificare – stati depressivi più o meno intensi.
Molti pazienti affermano e credono infatti, di non avere alcuna possibilità di interrompere o rinunciare alle rimuginazioni, finché non si fa loro concretamente provare che, in determinate condizioni (le tecniche di Mindfulness in questo contesto rappresentano uno strumento prezioso), il rimuginio può essere sospeso o ridotto.
Occorre dunque ricordare come il rimuginare non rappresenti una soluzione reale ed efficace ai problemi, né sia in grado di dare un vero e duraturo sollievo da certi stati spiacevoli: piuttosto li amplifica, li complica e li fa perdurare.
Pensare e ripensare dunque non è la soluzione per sentirsi meglio, per cambiare il passato né per venire a capo delle incertezze che fanno parte della vita.
Come smettere di rimuginare
Come smettere di pensare troppo e male? Prima di tutto occorre distinguere: una cosa è vivere e sentire interamente i propri stati d’animo e le proprie emozioni spiacevoli, rendendosene consapevoli, accogliendole amorevolmente e lasciandole dolcemente andare; altra cosa è partire per la tangente ruminando pensieri su pensieri, al fine di cercare soluzioni o alternative a problemi che forse non si presenteranno mai, o nel tentativo di cambiare o modificare un evento passato (rimuginare sul passato).
Dunque, a meno che non si stia cercando di risolvere un problema reale (nel qual caso si tratterebbe di un pensiero che dà vita ad un’azione), è bene imparare a tollerare alcuni stati spiacevoli che comunque non troverebbero soluzione nel rimuginare: lo possiamo fare con la meditazione, con la Mindfulness, o molto più semplicemente ricordando a noi stessi di tornare nel presente e di agire in esso.
1) Impegniamoci in attività concrete che assorbano la nostra attenzione<:
Fare una passeggiata, fare giardinaggio, riordinare la casa o fare le pulizie, svuotare gli armadi, lavare i piatti, fare la manicure, disegnare o colorare (esistono numerosi libri ricchi di bellissimi mandala da colorare a piacere e persino delle app da scaricare sul cellulare) e così via;
2) Rimuginare a scadenza
Dedichiamo al rimuginare un tempo, un luogo ed un momento specifico: ad esempio diciamoci che ogni sera, da un certo orario e per un certo lasso di tempo (programmiamo una sveglia ed un timer di durata prestabilita per farlo correttamente) ci dedicheremo solamente a preoccuparci intensamente di quella certa cosa;
3) Monitoraggio
Scriviamo i pensieri e le catene associative di pensieri, preoccupazioni e immagini che ci attraversano la mente sul diario, senza giudizio critico così come vengono, e rileggiamoli prendendo da essi una distanza critica.
Se possiamo fare poco, facciamo quel poco; ma facciamolo! Sarà sempre meglio che pensare e preoccuparsi senza poter agire ma anzi evitando di stare nel presente, con le emozioni che ne fanno parte.
A cura di Annalisa Barbier, psicoterapeuta
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