Rincorrere chi non ti vuole: cosa si nasconde davvero dietro questo bisogno

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

C’è un momento, in ogni storia sbilanciata, in cui ti ritrovi a rincorrere qualcuno che si sta allontanando. E tu lo sai, lo senti. Non è più lì. Non c’è presenza, non c’è ritorno. Ma tu corri. E non perché sei ingenuo o perché non ti accorgi della realtà. Corri perché non puoi non farlo. Come se fosse un riflesso. Come se da quella corsa dipendesse la tua sopravvivenza emotiva.

Quella rincorsa ha il sapore dell’abbandono antico. Della paura di non essere amato. Del bisogno di essere visto e scelto, una volta per tutte. Eppure, più rincorri, più l’altro fugge. Più ti sforzi, più ti perdi.

Questo articolo nasce per raccontare proprio questo meccanismo così umano e doloroso. Perché rincorriamo chi non ci vuole? Perché torniamo a bussare a porte che si sono già chiuse? Perché restiamo impigliati in relazioni a senso unico, anche quando sappiamo di meritarci molto di più?

La risposta non è mai banale. Si annida nelle esperienze affettive precoci, si radica in modelli inconsci di attaccamento e trova espressione anche nel nostro cervello, che registra ogni rifiuto come una minaccia alla sopravvivenza. Capire tutto questo non serve solo a dare un nome al dolore, ma a trovare una via d’uscita che sia davvero nostra.

Rincorrere chi non ci vuole: molto più di una “mancanza di autostima”

Chi rincorre, spesso, non è debole. È ferito. E quando inseguiamo chi non ci sceglie, non stiamo cercando davvero l’altro. Stiamo cercando una conferma. Una prova, finalmente, che siamo degni d’amore. Che valiamo abbastanza da essere voluti, da essere tenuti.

Questa rincorsa si confonde con la speranza, ma è un travestimento. In realtà, stiamo tentando di riscrivere un copione antico in cui qualcuno – spesso nella nostra infanzia – ci ha fatto sentire non abbastanza. Troppo difficili. Troppo bisognosi. Troppo invisibili.

E allora oggi rincorriamo perché inconsciamente vogliamo correggere quella storia. Vogliamo che qualcuno, finalmente, ci scelga nonostante tutto. Ma quella scelta non arriva. E invece di fermarci, rincariamo la dose. Perché se ci arrendessimo, significherebbe ammettere che il dolore di allora non ha mai trovato riparazione.

A livello psicoanalitico: la ripetizione come tentativo di riparazione

La psicoanalisi parla di “coazione a ripetere”: un fenomeno per cui l’individuo si ritrova a ripetere – senza rendersene conto – situazioni che gli hanno procurato dolore. Non per infliggersi sofferenza, ma nel disperato tentativo di cambiarne il finale.

Quando rincorri qualcuno che ti rifiuta, molto spesso sei dentro questa dinamica. Non ami quella persona per com’è, ma per quello che rappresenta: una possibilità di riparazione. È la madre distratta che oggi potrebbe vederti. Il padre distante che ora potrebbe dirti che sei importante. Il primo amore che hai perso e che speri, ora, di riuscire a trattenere.

Solo che la riparazione non avviene mai. Anzi: ogni volta che vieni ignorato, rifiutato o sminuito, il trauma originario si riattiva. E tu, senza accorgertene, lo vivi di nuovo. Come se la ferita si aprisse ogni volta più in profondità.

Eppure non riesci a smettere. Perché rinunciare a rincorrere significherebbe accettare che quella ferita non verrà mai sanata da qualcun altro. Che la salvezza che cerchi, forse, non arriverà dall’esterno.

A livello neuroscientifico: il cervello in allarme e la dipendenza affettiva

Dal punto di vista neurobiologico, rincorrere chi non ci vuole attiva le stesse aree cerebrali coinvolte nella dipendenza da sostanze. La dopamina, neurotrasmettitore del desiderio e della ricompensa, viene prodotta in grandi quantità proprio quando la gratificazione è intermittente.

Questo significa che, paradossalmente, più l’altro ti respinge a intermittenza (sparisce, torna, ti illude), più il tuo cervello si “incolla” a lui. Si crea un meccanismo simile al gioco d’azzardo: ogni piccolo segno di attenzione ti fa sperare nella vincita, e così continui a giocare anche se perdi continuamente.

Inoltre, il rifiuto attiva il sistema dell’allarme emotivo, in particolare l’amigdala: è la parte del cervello che rileva i pericoli e ci prepara alla reazione (lotta o fuga). Quando l’altro si allontana, il tuo sistema entra in allerta: sto per essere abbandonato. L’ansia aumenta, il bisogno di riavvicinamento diventa urgente. Non è solo psicologico. È biologico.

E se da piccoli siamo cresciuti con un attaccamento insicuro – ad esempio con genitori imprevedibili, critici o assenti – il cervello ha appreso che l’amore va rincorso, conquistato, mai dato per scontato. Ed ecco che, da adulti, inseguiamo anche chi non ci vuole. Non perché ci piace soffrire, ma perché il nostro sistema nervoso è stato programmato a lottare per amore.

Quando rincorri, chi stai cercando davvero?

A un certo punto, se ci fermiamo a riflettere, ci accorgiamo che l’altra persona è diventata una figura simbolica. Non è lui o lei, in sé. Ma quello che rappresenta: l’approvazione perduta, l’amore mai ricevuto, il sentirsi finalmente abbastanza.

Allora rincorrere diventa una forma di attaccamento al proprio passato. Non vuoi lasciare andare quella persona perché, in realtà, non hai ancora lasciato andare quel bambino che sperava di essere amato incondizionatamente. Quel bambino che si sforzava, che faceva il bravo, che si adattava pur di sentirsi visto.

Ecco perché il dolore è così profondo. Perché stai rincorrendo qualcosa che non può tornare da fuori. È dentro di te. E ha bisogno di essere visto – da te.

Smettere di rincorrere: non è disinteresse, è guarigione

Smettere di rincorrere non significa smettere di amare. Significa imparare a scegliere relazioni che non ti fanno sentire in pericolo. Significa lasciare andare chi non è in grado di vedere il tuo valore, non perché sei troppo o sbagliato, ma perché non è il tuo luogo.

Significa togliere il bisogno d’amore dal piano della sopravvivenza e riportarlo su quello del desiderio. Smettere di dire: “senza di te sto male” e iniziare a dire: “con me sto bene, e voglio qualcuno che lo rispetti”.

Questo non avviene da un giorno all’altro. Serve tempo. Serve accoglienza per il dolore che c’è sotto. E soprattutto serve un nuovo modo di parlarsi, di prendersi per mano nei momenti in cui si sente quel vuoto riemergere. Ma accade. A poco a poco, accade.

Non hai bisogno di correre per essere amato

Se hai letto fin qui, è probabile che tu abbia rincorso anche tu. Magari tante volte. Magari una soltanto, ma ti è bastata per sentirti consumato. Non vergognarti di questa corsa. È stata la tua strategia di sopravvivenza. È ciò che hai imparato quando hai creduto che l’amore andasse meritato, inseguito, trattenuto con la forza.

Ma adesso puoi fermarti. Puoi iniziare a dire a te stesso: non devo essere rincorso per essere amabile. Non devo conquistare nessuno. Chi mi ama non scappa. Chi mi vede, resta.

Il bisogno che hai sentito – così feroce e instancabile – non è debolezza. È solo la voce del tuo bambino interiore che chiede amore, che chiede attenzione. E adesso, sei tu a poterlo ascoltare. Sei tu a poterlo scegliere. Non esiste amore più profondo del momento in cui smetti di rincorrere l’altro e inizi a camminare verso di te.

E se queste parole ti hanno toccato, se ti sei rivisto in questa corsa e vuoi davvero spezzare il cerchio, il mio libro Il mondo con i tuoi occhi può aiutarti a farlo. Non è una storia da leggere, ma un viaggio dentro di te: per ricostruire il tuo senso di valore, per riconoscere le ferite, e per imparare a dare amore proprio lì dove nessuno aveva mai guardato. Perché tu non sei fatto per rincorrere. Sei fatto per essere incontrato. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon

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Ti aspetto lì per continuare il viaggio.