Scegliere di accettare il dolore non significa esserne privi

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Dobbiamo partire dal riconoscere che la sofferenza è naturale, è parte della vita. E quando si soffre non sempre c’è un colpevole o una causa eliminabile: a volte è come va la vita.  Per questo l’atteggiamento più saggio sarebbe quello di accettare questo aspetto inevitabile della condizione umana, senza farsene abbattere o travolgere…anche se non è affatto facile. La sofferenza è inevitabile (a volte). Quanto meno, per le seguenti ragioni:

  • A volte non accade quello che vogliamo.
  • A volte accade quello che non vogliamo.
  • Tutto è impermanente, tutto cambia; quindi, prima o poi perderemo quello a cui teniamo.
  • Poiché siamo tutti diversi, e spesso vogliamo cose diverse, ci sarà sempre qualche disaccordo o conflitto con le altre persone.

E’ da notare che queste ragioni valgono per tutti, qualsiasi sia la loro condizione: non c’è modo di sfuggirle. Alcuni coltivano l’illusione che ci siano dei “trucchi” per sfuggire alla sofferenza (il denaro, il potere, la bellezza, la fede…), ma è tutto vano. Certo, la sofferenza può essere diminuita, sia con azioni concrete che con il giusto atteggiamento (gli insegnamenti del Buddha hanno questo scopo), ma la sua eliminazione totale è semplicemente illusoria. Anzi, ostinarsi ad eliminare la sofferenza può portare al risultato opposto.

La vita e il mondo non sono fatti a nostra misura

Il mondo non è fatto per renderci felici. Anche se ci piacerebbe tanto che lo fosse, e alcune religioni ci dicono che è così, non c’è alcuna prova a favore, ma ce ne sono molte contro. Non è il mondo che deve adattarsi a noi; piuttosto, siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo, se vogliamo realizzare quello che desideriamo.

Allo stesso modo, la vita non è fatta per renderci felici: l’esistenza, per sua stessa natura, è spesso dura, complicata e incerta. Per milioni di anni la mera sopravvivenza è stata un problema quotidiano, e tuttora lo è in molte parti del mondo. Elementi che rendono la vita difficile, come l’egoismo, l’avidità e la competizione, sono parte di ogni essere vivente (anche perché portano un vantaggio evolutivo). L’idea che l’esistenza possa – o debba – essere facile e senza problemi è profondamente ingenua e disinformata.

Poiché la vita non è fatta per renderci felici, aspettarci che lo faccia è egocentrico e infantile. La vita – semmai – ci offre delle opportunità per essere felici, ma sta a noi coglierle e svilupparle. La felicità personale non è mai scontata o un diritto (anche se a volte può arrivarci come dono inaspettato), ma è una creazione e una conquista che richiede impegno e risorse. Se non siamo felici e vorremmo esserlo, dovremmo chiederci cosa stiamo facendo, concretamente, per diventarlo.

(N.B.: dicendo che “il mondo (o la vita) non sono fatti per renderci felici”, non intendo certo dire che siano fatti per renderci infelici. Semplicemente non sono al nostro servizio, quindi non possiamo aspettarci che si occupino della nostra felicità; quel compito spetta a noi stessi)

Principali fonti di sofferenza

Di seguito elenco alcune delle principali fonti da cui proviene la nostra sofferenza. Averne chiara l’origine può aiutarci a gestirla meglio, ad accettarla (se non vi è alcun rimedio), oppure a cercare una possibile soluzione.

Sofferenza causata dagli altri

Quando la sofferenza è causata da altri esseri umani (dalle liti in famiglia alle guerre mondiali), è facile pensare che quelle persone siano cattive, stupide o ignoranti. Ma in molti conflitti non c’è chi ha “ragione” e chi ha “torto”, bensì ogni parte ha le sue ragioni. Quello che a te sembra sbagliato o assurdo, per altri può essere l’azione migliore: siamo tutti diversi, e vediamo le cose in modi differenti.

Questo vale anche per i presunti “bene” e “male”. Alcuni credono che, se eliminassimo il “male” (o i “cattivi”), la sofferenza sparirebbe. Ma chi decide cosa è bene o male? In genere, vediamo come “bene” ciò che è positivo per noi, e come “male” ciò che è negativo per noi. Ma quello che è male per qualcuno, potrebbe essere – e spesso è realmente – bene per qualcun altro. Inoltre, quello che ci sembra positivo oggi, potrebbe rivelarsi negativo domani. E allora, chi ha ragione?

In realtà, bene e male sono “categorie immaginarie”, giudizi arbitrari e soggettivi. Prendiamo l’esempio del leone che insegue la gazzella per mangiarla: chi ha ragione e chi torto? Quale animale dovrebbe morire, e perché? Ovviamente, sia il leone che la gazzella avranno sull’argomento pareri ben diversi… e così è per noi: spesso giudichiamo un evento “bene” o “male” a seconda se siamo nella posizione della gazzella o del leone.

Niente di personale

Inoltre, quando qualcuno ci ferisce, tendiamo a prenderla sul personale, a pensare che ce l’abbia con noi o che ci voglia male. Ma invece, molto spesso questo accade per ragioni che non c’entrano nulla con noi: quella persona potrebbe avere avuto una giornata storta, o è malato, o non ci ha compresi, o era distratto, o seguiva una sua necessità, oppure vede le cose diversamente da noi. Tenere presente questo ci aiuta a non vedere gli altri come “nemici” e noi stessi come “vittime”.

Allo stesso modo, quando la vita ci fa soffrire, il più delle volte non riguarda noi personalmente, non c’è un motivo per cui ci capita: non è che il mondo ce l’abbia con noi o che veniamo puniti per qualche ragione. Certo, a volte soffriamo perché commettiamo degli errori (se attraverso la strada senza guardare e mi investono, se non mi preparo per un esame e mi bocciano), ma queste non sono “punizioni” (non c’è una causa morale), bensì conseguenze; in questi casi, dobbiamo imparare dai nostri errori e migliorare, per evitare di ripeterli.

Sofferenza causata da noi stessi

A volte soffriamo per cause esterne a noi, senza che ne abbiamo colpa alcuna; altre volte, siamo noi stessi a causare gli eventi che ci fanno soffrire. E’ importante riconoscere quando è vero il secondo caso, e assumercene la responsabilità – altrimenti non sapremo cambiare, e continueremo a creare la nostra stessa sofferenza.

Due cause specifiche per cui a volte creiamo le nostre sofferenze, sono l’ignoranza e le illusioni (cioè credere a cose non vere). Per esempio, ci sono convinzioni diffuse che ci rendono infelici ma, finché non le mettiamo in discussione, continuiamo a seguirle. Oppure, non conosciamo le ragioni per cui le persone si attraggono e si piacciono (oppure no), e quindi ci muoviamo “a casaccio” nel mondo delle relazioni. Anche nell’ambito sentimentale, molti tendono a credere a pregiudizi e idee ingannevoli sull’amore, che portano ad infinite incomprensioni e scontri.

Non è mai abbastanza

A volte soffriamo perché vediamo la nostra vita in modo distorto: ci concentriamo sui lati negativi e trascuriamo quelli positivi. Per la maggior parte del tempo, la nostra mente funziona così: se nella tua vita hai nove cose positive ed una negativa, tenderai a soffrire per quell’una che non funziona, e trascurerai di apprezzare le nove che vanno bene.

Anche quando le cose ci vanno bene, di rado sappiamo goderci il momento presente; invece, tendiamo a desiderare altro e di più. Qualunque obiettivo raggiungiamo, non è mai abbastanza. Quindi viviamo proiettati verso una ipotetica felicità futura, invece di sentirci felici per quello che siamo e abbiamo. La felicità possibile nel presente ci sfugge perché siamo concentrati su quella immaginaria nel futuro.

Sofferenza causata dalle aspettative

Ogni volta che abbiamo un’aspettativa irreale o impossibile (sia verso il mondo esterno che verso se stessi), finiamo col crearci frustrazione e infelicità. Spesso non sono gli eventi in sé che generano la sofferenza, ma le aspettative che abbiamo in proposito: se ottengo 100 e mi aspettavo 200 sarò deluso; ma se ottengo 100 e mi aspettavo 50, sarò ben contento. Stesso evento, diversa reazione. Se siamo spesso frustrati da quel che ci capita, è bene chiedersi se le nostre aspettative siano esagerate. Se ci aspettiamo che tutto vada a modo nostro (il mondo, la vita, il comportamento altrui…), ci ritroveremo costantemente insoddisfatti.

Sofferenza causata dalla competizione

A volte soffriamo perché ci sentiamo spinti alla competizione:

  1. lo sforzo negli studi per acquisire competenze che diano maggiori opportunità;
  2. la lotta per ottenere un posto di lavoro, e poi per fare carriera;
  3. la conquista di un partner e la paura dei tradimenti, ecc.

Anche se queste situazioni ci possono apparire crudeli, in realtà sono anch’esse “naturali”, perché la natura stessa funziona secondo principi di “competizione darwiniana”. In natura, si è spesso alla ricerca di risorse (cibo, riparo, partner), e in lotta contro altri individui e condizioni avverse: i più adatti prosperano, i meno adatti stentano o periscono. Gli esseri umani hanno sviluppato la società anche per attenuare queste condizioni (per esempio, tramite leggi uguali per tutti e servizi condivisi), ma la competizione rimane alla base della nostra natura (tutti vorrebbero il meglio, ma non tutti possono averlo).

Non tutto il male viene per nuocere

La sofferenza non è solo negativa, presenta anche degli aspetti “luminosi” e utili:

  • Ci fa crescere, ci spinge a migliorare ed evolverci.
  • Ci insegna a comprendere la sofferenza altrui (se non abbiamo provato un dolore particolare, non possiamo capire chi si trova in quella situazione). Aumenta la nostra empatia e compassione.
  • Ci induce ad apprezzare le cose positive (se fosse tutto facile e scontato, non lo apprezzeremmo).
  • Quindi, per certi versi la sofferenza ci rende più umani, più tolleranti e più saggi.

Accogliere il dolore

Spesso il modo migliore per diminuire la sofferenza è non combatterla, ma accoglierla e sentirla – che è esattamente il contrario di quel che ci viene da fare. Quando proviamo del dolore, la nostra reazione istintiva è di opporci: vogliamo allontanarlo o annullarlo, facciamo di tutto per non sentirlo. Ma questo non lo elimina: tutto quel che otteniamo è distrarci temporaneamente, oppure nascondiamo quel dolore in qualche angolo del nostro inconscio – dove continua a influenzarci.

E’ per questo che i traumi dell’infanzia, le ferite che nascondiamo, la rabbia non espressa, continuano a covare in noi e ci provocano malesseri (a volte emotivi, a volte fisici): le emozioni represse non spariscono, vengono “congelate” dentro di noi. Salvo poi esplodere – spesso in modo esagerato e incomprensibile – quando siamo stanchi o stressati, o se qualcuno va a toccare un nostro punto debole.
Per non sentire le emozioni negative o spiacevoli, usiamo varie strategie difensive (alcune identificate da Freud sono la negazione, la dissociazione, la rimozione), oppure scivoliamo in qualche dipendenza (cibo, alcol, sesso, lavoro, shopping… i comportamenti compulsivi ci distraggono e ci “anestetizzano”).

Molti concentrano la propria vita sull’allontanare o eliminare la sofferenza, nella convinzione che ciò li farà stare bene o li renderà felici: ma questa è un’illusione che non funziona, anzi finiamo con lo stare peggio. Nei casi in cui la sofferenza sia inevitabile, prendersela o combatterla è inutile (e persino controproducente): farlo non fa che aumentare la sofferenza stessa. E’ molto più produttivo concentrarsi su quel che di positivo abbiamo nella nostra vita, e godercelo. Anche quando non possiamo diminuire l’oscurità, possiamo però aumentare la luce.

«d’Amore si Guarisce»

Se in cuor tuo sai di essere un adulto cresciuto troppo in fretta, sappi che purtroppo quelle attenzioni mancate, quella considerazione mai avuta, nessuno potrà restituirtela… ma tu, puoi fare per te stesso molto più di quanto stai facendo: puoi rinascere! Siamo davvero bravi a metterci in gioco per gli altri, ad impegnarci… ma quando si tratta di noi stessi, cala il buio e la confusione. Se hai voglia di mettere fine a quella trascuratezza che ti accompagna ormai da troppo tempo, sappi che ho scritto un libro, ed è il libro che io stessa avrei voluto leggere tantissimi anni fa, prima ancora di diventare una psicologa. S’intitola «d’Amore ci si ammala, d’Amore si Guarisce». Non farti ingannare dal titolo, non si tratta di un libro per cuori infranti ma di un prezioso manuale che raccoglie tecniche e strumenti per la propria emancipazione psicoaffettiva. Tutti possono ferirti ma c’è una persona che potrebbe essere SEMPRE lì a tenderti la mano, sempre lì a non farti mai sentire solo: quella persona sei tu! Ricorda: anche tu meriti la tua fetta di felicità in questa vita, abbi il coraggio di allungare la mano per prenderla! È tua, ti spetta di diritto. Il libro puoi trovarlo in tutte le librerie e a questa pagina Amazon.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Autore del libro Bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” Edito Rizzoli
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