Scoprire cos’è che mi rende diverso e unico rispetto all’altro

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Psicologo e Pedagogista, esperto in bioenergetica orientale.

autorealizzazione

La fusionalità è una condizione che non consente di definire se stessi perché i confini fra sé e l’altro non sono ancora stati tracciati. E’ in questa fase iniziale che non esiste il senso di sé e dell’altro da sé; impossibilitati ad intenzionare si è dipendenti ed inconsapevoli.

Tutta la storia dello sviluppo umano e sociale è storia della separazione, individuazione e della differenziazione.

Spesso accade che seppur questi processi si manifestino attraverso la crescita corporea ed il raggiungimento di una certa autonomia, ciò può non realizzarsi totalmente a livello psicologico, cristallizzando il soggetto all’interno di una sfera di comportamenti che gli impediscono di uscire dalle dipendenze tipiche dello stato di fusione con le figure di accudimento.

Sono le paure o gli eventi traumatici che possono in qualche modo deviare il flusso formativo bloccando il processo di crescita ed impedendo al soggetto di uscire dalla tappa di sviluppo nella quale si trova. Si spiegano così gli eterni adolescenti, il senso di deresponsabilizzazione, i comportamenti egocentrici e narcisistici tipici dell’infanzia.

Il benessere dell’uomo è determinato dal rispetto del proprio mandato, ovvero quello di diventare se stesso. Divenire se stessi significa cercare progressivamente di uscire dal viluppo (nel senso di intricato, di intreccio confuso di fili, ecc.) affinché ciascuno prenda consapevolezza di sé e delle personali attitudini.

La realizzazione del sé: scoprire cos’è che mi rende diverso e unico rispetto all’altro

La realizzazione di sé è l’apice di un processo tras-formativo che prevede una iniziale necessità di separazione dalle figure di accadimento affinché l’altro sia vissuto come “diverso da me” attraverso la definizione dei confini ed il riconoscimento progressivo dell’altro. L’altro è differente da me e separato e con questi posso entrare in relazione ed allontanarmi attraverso un incessante gioco di approssimazione e di distanziamento.

Non posso sentire l’altro come differente da me se non mi pongo ad una distanza che mi consenta di mettere a fuoco “me soggetto” dall’altro posto oltre me stesso.

Ma il senso dell’ulteriore, della differenza come operazione costante per non inciampare in una sommatoria confusa e fusa di parti, è solo il primo passo verso la definizione di sé in senso fisico, psicologico e sociale.

Occorre successivamente individuarsi e differenziarsi, ovvero scoprire cos’è che mi rende diverso e unico rispetto all’altro. Il senso di unicità e di auto-appartenenza sono il fondamento necessario per rispettarmi come “differente da e rispetto a“.

La scoperta di sé

Qui entra in gioco la scoperta di sé, l’esperienza con i suoi frutti e l’accettazione delle parti anche scomode con le quali ci scontriamo, oscillando incessantemente fra il desiderio di espellerle e la difficoltà di integrarle.

Rabbia, frustrazione, accettazione e pace con se stessi sono un po’ le componenti dell’incessante gioco della formazione umana e della storia dell’individuo nell’incontro con se stesso.

Rimane indubbio che riuscire ad individuarsi rimanga una delle fasi più difficile da realizzare. Individuarsi è affermazione di sé attraverso l’essere diverso dall’altro e questo deve ahimè avvenire in un contesto sociale dove le forze omologatrici del consumismo si fanno estremamente sentire. E’ difficile essere unici in una realtà che ci vuole inquadrati e ben definiti secondo una logica del dover essere in un determinato modo.

Lo schema dell’omologazione dà sicurezza perché infonde la certezza dell’andar bene rispetto agli altri.

Incontrare se stessi ed affermarsi nella propria unicità significa rompere questa logica ed accettare la paura di non andar più bene, di non essere più al sicuro per aver disobbedito a chi, dall’esterno, impone le leggi del vestire, del consumare, dell’ascoltare musica, ecc.

Essere se stessi significa trovare dentro di sé l’orientamento e la regola di conduzione, svincolandosi dal senso di sicurezza che ci viene offerto dall’esterno attraverso l’obbedienza agli schemi della logica consumistica di mercato. Spiegava bene Barbara Fabio (B. Side, Fucecchio, Firenze) ricercatrice nell’ambito dell’immagine: contrariamente al detto, è sempre l’abito che fa il monaco.

Questo sta a significare che anche la ricerca dell’immagine, in senso puramente estetico, può essere o non essere un modo per dare forma e sostanza della propria autenticità. In poche parole il vestire può essere un modo per comprimere e mascherare la propria autenticità se dettata dal voler rincorrere la moda oppure un modo per svelare se stessi e la personale volontà di affermazione/differenziazione se dettata dall’ascolto di sé e delle personali inclinazione.

Insomma, le forze esterne tendono ad omologare e ricacciare il soggetto in una condizione di fusionalità e dipendenza mentre quelle interne spingono in modo da favorire l’eliminazione delle scorie di inautenticità orientando il soggetto verso il compimento di se stesso.

Pratiche bioenergetiche

Nell’ambito delle pratiche bioenergetiche integrate propongo sessioni di lavoro in cui il soggetto sperimenta il senso del confine fra sé e l’altro attraverso l’avvicinamento e l’allontanamento fisico, utilizzando lo sguardo e la voce. Si tratta di capire per ognuno il senso di sé e dei propri confini, capire quanto ci metta in soggezione lo sguardo dell’altro o il suono della sua voce quando si fa forte e minaccioso.

Il senso di sé lo si può anche ricavare attraverso l’altro andando a tracciarne la sagoma corporea fingendo di avere un pennarello in mano, oppure provando a disegnare la propria figura su un foglio e successivamente distendersi su una grande carta in maniera che l’altro possa tracciare con una matita la nostra reale sagoma corporea.

Dal confronto fra il disegno di noi stessi e la reale forma rappresentata dal compagno, aiuta a capire la percezione che abbiamo di noi stessi rispetto alla nostra reale presenza fisica.

Partire quindi dallo spessore fisico dei nostri confini, dalla percezione delle dimensioni di noi stessi significa poter iniziare a lavorare sul senso di adeguatezza/inadeguatezza quando, attraverso l’altro, sperimentiamo il senso di accettazione/non accettazione.

A quali compromessi sono disposto a scendere per farmi accettare?
Quanto pesa il senso di disapprovazione?
Sono in grado di uscire dalla sicurezza che mi infonde l’approvazione altrui?
Adeguatezza ed approvazione sono in sintonia con la realizzazione delle mie aspettative?
Sono me stesso nella condizione dell’altrui accettazione?

Sono queste auto-interrogazioni che consentono al corpo di esprimersi attraverso l’imbarazzo, la paura, la rabbia o la vergogna così da poter accogliere quelle parti di noi che, attivandosi, consentono un nuovo superamento di noi stessi in vista di una nuova e maggiore autenticità.

A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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