Quando fai un percorso introspettivo, un buon esercizio terapeutico consiste nel “dialogare” con l’emozione o meglio, con la parte di te ferita che genere quell’emozione. È un esercizio molto semplice per chi ha già ha imparato a conoscersi (mediante un buon percorso terapeutico e attraverso la lettura dei miei libri). Come funziona? Si sceglie un’emozione ingombrante, quella che più invalida la propria vita e si inizia a parlare con lei come se fosse davanti a noi. Se nell’articolo «Cara Ansia, cosa vuoi da me e perché torni sempre?», ti ho proposto un dialogo con l’ansia, nel presente testo ti proporrò, con delicatezza, un tête-à-tête con la tua rabbia. Se la tua rabbia potesse parlarti ti direbbe tutto ciò che non hai mai avuto il coraggio di ascoltare.
La rabbia è un’emozione ombrello. Che significa? Che arriva per mascherare/coprire altre emozioni, pertanto porta con sé sempre numerosi messaggi. Per esempio, in caso di conflitto o rottura con la persona amata, talvolta proviamo rabbia o rancore, ma sotto ci sono tante sfumature diverse, può esserci:
- Delusione: “Non pensavo sarebbe finita così. Mi aspettavo altro.”
- Senso di ingiustizia: “Ho dato tanto. Perché non è bastato?”
- Paura: “E se non riuscirò mai più ad avere un legame così?”
- Vergogna o insicurezza: “Cosa dice questo su di me? Sono stato rifiutato?”
- Tristezza: “Ho perso non solo una compagna (o un compagno), ma anche una quotidianità, un’identità”
Quello che senti non è mai solo rabbia. Anche quando questa rimane in forma inespressa. Quando la rabbia non si manifesta verso l’esterno, ma resta dentro e si comprime, spesso diventa:
- Autopunizione
- Vergogna mascherata
- Dolore non espresso
- Bisogno di perdonarsi, ma senza riuscirci
E qui si apre un tema profondo: il perdono di sé. Non per dimenticare o giustificarsi, ma per poter iniziare a costruire una nuova forma di dignità, anche dopo gli errori.
Cosa vuole comunicarci la rabbia cronica?
La rabbia cronica non nasce dal nulla. È spesso la voce di un passato inascoltato, la traccia emotiva lasciata da un’esperienza prolungata di impotenza. Quando ci sentiamo impotenti per troppo tempo, in particolare durante l’infanzia o in contesti relazionali in cui il potere era sbilanciato – come il rapporto genitore-figlio – qualcosa dentro di noi si spezza. Cresciamo con il senso di non poter fare nulla per cambiare le cose, anche quando ci sforziamo con tutte le nostre forze.
Quella rabbia che oggi percepiamo come ingestibile o “esagerata” è spesso il risultato di bisogni ignorati, di emozioni negate, di un’incomprensione che si è sedimentata. Da piccoli, potevamo solo subire: non potevamo scegliere, non potevamo andarcene, non potevamo dire basta. E così, quella frustrazione silenziosa ha iniziato a covare dentro di noi. Col tempo, si è trasformata in una rabbia che oggi prende il posto della nostra voce. Una rabbia che vuole gridare: “Non è giusto. Nessuno mi ha visto. Nessuno mi ha ascoltato.“
In questo senso, la rabbia cronica è un sintomo. È la conseguenza di un’impotenza appresa, che ha radici profonde e che merita ascolto, non giudizio. La sua presenza ci chiede di tornare indietro, di riconoscere dove abbiamo perso potere su noi stessi… e di cominciare, finalmente, a riprendercelo.
Da un punto di vista neurobiologico
Dal punto di vista neurobiologico, quando viviamo esperienze ripetute di impotenza e sopraffazione, il nostro sistema nervoso si adatta a uno stato di iperallerta: l’amigdala – la sentinella emotiva del cervello – resta attiva, pronta a reagire anche a minacce minime. Il sistema limbico, sovrastimolato, diventa il centro delle risposte impulsive, mentre la corteccia prefrontale – la parte più razionale e regolatrice – non si è allenata a esercitare il suo ruolo. La sua azione, infatti, necessita di calma e stati di sicurezza, non è “automatica”, smettiamo di esercitarla in quei contesti in cui ci sentiamo minacciati. È lì che lo scatto d’ira arriva con tutta la sua prepotenza. Ma se quella rabbia potesse parlarci, allora, anche la corteccia prefrontale più pigra si attiverebbe per ascoltarla. Allora ti chiedo di leggere quanto segue.
Se la tua rabbia potesse parlarti, ti direbbe che…
«Tu mi chiami rabbia ma io porto con me solitudine, delusione, senso di non valere…
Porto notti in cui non c’era nessuno.
Porto il gelo dei silenzi.
Porto l’eco di frasi che hanno fatto troppo male.
Sono nata il giorno in cui ti hanno ferito e non hai potuto rispondere. Quando hai dovuto ingoiare parole, accettare silenzi, sopportare mancanze. Io ero lì, impotente come te, sentivo tutto.
Quando potevo, dal canto mio, ce l’ho messa tutta. Ti ho difeso quando nessuno ti credeva. Ho urlato quando eri invisibile, nulla cambiava: nessuno ci ha ascoltato.
Allora oggi arrivo come un’esplosione. Ogni minima mancanza mi riporta a quella voragine lì. A quel senso di ingiustizia, a quel mancato ascolto, a quel sentirmi invisibile e incompreso. Allora quando arrivo esplodo, esplodo per non farti sentire di nuovo piccolo, di nuovo impotente, di nuovo inascoltato (solo!).
Lo so, mi esprimo in modi che ti spaventano ma ti prego, non trattarmi come hanno fatto tutti con te. Non trattarmi con superficialità: sii profondo. Ascoltarmi. Chiedimi perché sto urlando.
Urlo dal dolore. Dalla vergogna. Dal tuo bisogno antico di essere ascoltato. Il mio grido chiede solo: guardami, riconoscimi, abbracciami. Fallo tu, stammi vicino come non hanno fatto loro.
Io sono il testimone di ciò che hai vissuto. Il portavoce di quella parte di te che ancora oggi aspetta qualcuno che dica: «È vero, è stato ingiusto. Ti prego, perdonami. Ora ti vedo. Ora capisco». Ma sai uno cosa? Quel qualcuno puoi essere tu. Puoi imparare a dirtelo tu.
Se impari a riconoscermi, se impari a vedermi (e a vederti), se impari a guardare i bagagli che porto, possiamo trovare un altro modo. Un modo più gentile (per non ferire più). Ma per farlo, abbiamo bisogno di guarire queste antiche ferite; quelle che io, da sempre, cerco di difendere.
Non sono contro il mondo. Sono con il mondo solo che ho paura. Dimmi che sei un adulto ormai, dimmi che non siamo più bambini impotenti, ti prego. Dimmi che mi vuoi bene.»
Dietro la tua rabbia c’è solitudine e smarrimento. Prenditene cura
Ormai è chiaro, ciò che senti non è solo rabbia. È solitudine. È smarrimento. Puoi alleggerire il peso di quei carichi guardandoti meglio dentro. Trasformando il senso di impotenza appresa in sicurezza. Perché è vero, da piccoli potevamo solo subire: non potevamo scegliere ma adesso siamo adulti. Possiamo scegliere di prenderci cura di noi. Possiamo decidere di darci tutto l’ascolto e la comprensione che ci è mancata.
Se vuoi imparare ad ascoltare la tua rabbia, invece di esplodere in infiniti loop tra senso di ingiustizia e irrisolto, hai bisogno di costruire il tuo senso di sicurezza. Quella dimensione entro la quale l’amigdala e il sistema limbico non saranno più iperattivi, quella sensazione in cui la tua corteccia prefrontale trova la condizione ideale per funzionare al meglio. Per regolarti e regalarti tutto il sostegno di cui hai bisogno. La verità è che abbiamo appreso a essere impotenti ma non lo siamo. Se vuoi imparare a conoscerti, a dialogare con le parti di te ferite e soprattutto, se hai voglia di affermarti, il mio libro «il mondo con i tuoi occhi», ti svelerà tanto. Ha già aiutato decine di migliaia di persone. Puoi trovarlo a questa pagina amazon così come in qualsiasi libreria.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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