Chi soffre della sindrome di Cassandra vuole dimostrare il proprio valore a ogni costo per non sentirsi svalutato. Mette costantemente alla prova se stesso e cade spesso nella trappola della profezia che si autoavvera.
In psicologia e in sociologia, una profezia che si autoavvera è una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa e non perché vi siano concrete basi in grado di condurre a quella determinata conseguenza. La persona che soffre della sindrome di Cassandra tenderà a sbagliare perché è ciò che si aspetta da se stessa.
Sindrome di cassandra: dal mito alla psicanalisi
Il nome “Sindrome di Cassandra” o “Effetto Cassandra” si origina dalla mitologia greca. Cassandra, figlia di Priamo (Re di Troia) era famosa per la sua bellezza tanto che anche Apollo ne fu ammaliato. Apollo, dio dell’olimpo, per conquistare la fanciulle le fece il dono della Profezia ma quando Cassandra rifiutò le avances romantiche di Apollo, egli offeso sferrò una maledizione. Apollo si assicurò che nessuno potesse credere agli avvertimenti di Cassandra così che le sue profezie divenissero la più tremenda delle maledizioni.
Nella Sindrome di Cassandra sono proprio le “profezie” intese come “aspettative negative” a condannare chi ne soffre. Il termine Complesso di Cassandra fu usato per la prima volta nel 1949, dal filosofo francese Gaston Bachelard. La sindrome di Cassandra contiene in sé complesse tendenze (auto/etero) colpevolizzanti, sullo schema della personalità corporativa e delle dinamiche vittimali del capro espiatorio e della sostituzione vicaria.
La scarsa autostima si annida dentro ogni Cassandra
La sindrome di Cassandra fa sentire, chi ne soffre, costantemente svalutato. Carenze affettive durante la prima e seconda infanzia hanno plasmato un’identità che si basa sulla ricerca dell’approvazione altrui, sulla mancanza di autostima e sulla tendenza a farsi carico di ogni responsabilità.
Nella sindrome di Cassandra è sempre presente una tendenza a dimostrare il proprio valore, il mezzo tramite il quale guadagnarsi il rispetto e l’amore altrui. Come risposta, però, si ottiene solo rifiuto. Il motivo? La ricerca dell’approvazione si basa proprio sulla profezia che si autoavvera.
Sindrome di Cassandra: la condanna a una vita infelice
L’effetto Cassandra genera cambiamenti psicologici molto importanti, si parte dalle distorsioni cognitive fino a sfociare nella ricerca del controllo e nella volontà di appagare l’altro. La mancanza di controllo si manifesta quando chi soffre di questa sindrome si sforza per ottenere l’approvazione altrui, approvazione che non arriva e che genera sensazione di sconfitta e inutilità.
L’aspetto più rilevante della Sindrome di Cassandra è proprio questo: se gli altri la sottovalutano allora anche “Cassandra” stessa inizierà a farlo. In questo scenario qualcuno tende a colpevolizzare eccessivamente se stesso e altri, invece, spostano il focus delle proprie frustrazioni sull’altro, in modo assolutistico. Si perde un’obiettività sui fatti. In entrambi i casi, la sorte è già segnata: Cassandra è destinata a una vita triste e di insuccessi, perché immeritevole o perché chi la circonda non è stato capace di apprezzarla. Se il rifiuto che viene dall’esterno è doloroso, quello interno, auto-inflitto, è ancora più terribile.
“La vita è come una ruota che gira… prima o poi, tutto torna”
E’ così che si consola chi soffre di Sindrome di Cassandra. Non si tratta di una frase di consolazione che molti possono affermare a se stessi in un momento di sconforto, magari a seguito di un torto subito. Chi soffre di Sindrome di Cassandra fa di questo motto un vero e proprio stile di vita.
Impossibilitata a trarre gioie e soddisfazioni dalla vita, si rifugia nella convinzione che, prima o poi (anche nell’aldilà) tutti i nodi verranno al pettine. Anche in questo caso possiamo rifarci alla mitologia greca. Cassandra “predice che il male verrà e avverte che la punizione che seguirà sarà tremenda e il lutto sorgerà“.
Incapace di prendersi le sue gioie, chi soffre di questa Sindrome tende a rimuginare.
L’essere umano vive una tendenza universale alla negazione (nel nostro vivere estremamente proiettati al futuro, neghiamo l’esistenza della morte). La persona con Sindrome di Cassandra vede una tendenza alla negazione ancor più spiccata, nega il suo valore, nega la sua capacità di difendersi dalle angosce ed esalta il senso di colpa in se stessa e nei presunti persecutori.
Tre caratteristiche base della Sindrome di Cassandra
In uno studio del 1988, la psicoanalista junghiana Laurie Layton Schapira, esplorò il complesso di Cassandra e lo identificò in tre caratteristiche:
- Tendenza a creare relazioni disfunzionali con il cosiddetto “Archetipo di Apollo”.
Cioè chi soffre di questa sindrome finirà a legarsi sempre con chi conferma la sua profezia di non valere, con chi non riesce a valorizzarla, accettarla e amarla. - Tendenza alla somatizzazione
Le sofferenze emotive diventano fisiche, chi soffre di questa sindrome è lunatica, tendete all’isteria e all’emicrania facile. - Tendenza alla negazione
Quando qualcuno le mette di fronte la realtà dei suoi meccanismi disfunzionali, nega scaricando le responsabilità e le colpe sugli altri o su un presunto “non valore” interiore.
La psiconalista junghiana Schapira vede il complesso di Cassandra soprattutto come il risultato e come genesi della relazione disfunzionale con l’archetipo Apollo. L’Archetipo Apollo ha difficoltà nel creare legami, problemi di comunicazione e incapacità di entrare in intimità con l’altro. Lo psicoanalista Bolen suggerisce che una “persona Cassandra” può diventare sempre più insicura o addirittura più isterica e irrazionale quando si trova in relazioni disfunzionali con l’archetipo Apollo. Così, quando descrive le sue esperienze ad amici o parenti, finisce per scoprire incredulità nel prossimo.
Il complesso esita in una profonda frustrazione per l’incapacità di agire tempestivamente ed efficacemente: Cassandra finisce per distruggere se stessa mentre trova conferma della propria ideologia di salvezza, provoca, proprio per questo, la catastrofe collettiva annunciata.
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Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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