Segnali che hai conflitti inconsci non risolti

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Io voglio, ma qualcosa mi trattiene. So che non devo, ma qualcosa mi spinge nella direzione opposta. Cosa mi succede? La risposta è da ricondurre al concetto di conflitto interiore già ampiamente studiato da Lewin. Per Lewin si ha conflitto quando una persona è costretta a scegliere fra obiettivi o corsi d’azione incompatibili, contraddittori o mutuamente esclusivi. Cioè quando l’azione necessaria a raggiungere l’uno impedisce automaticamente alla persona di raggiungere l’altro. “Una situazione in cui le forze di valore approssimativamente uguale ma dirette in senso opposto, agiscono simultaneamente sull’individuo” .

A livello psicologico si è innescata una lotta  all’interno dell’Io: due forze opposte e di pari intensità richiedono entrambe la soddisfazione

Un dilemma in cui un motivo ci allontana dall’altro, esigendo un adeguamento interno. In alcuni casi, alla base del conflitto interno vi sono ragioni legittime, infatti, possiamo  essere attratti sia da una decisione che dall’altra. Per esempio, essere indecisi  tra due carriere universitarie che ci piacciono entrambe.

Vi sono però casi in cui le ragioni che alimentano il conflitto interno acquisiscono una valenza negativa: quando nessuna delle opzioni ci attrae, ma ci sentiamo obbligati a prendere una decisione. Per esempio, decidere se restare con il partner che non si ama più o lasciarlo e assumersi il rischio di restare soli. Questo può essere un classico esempio di conflitto interno in cui entrambe le soluzioni sono percepite come negative e frustranti.

Certo, i conflitti interni funzionali possono generare  tensione e stress ma quelli negativi sono più invalidanti dato che possono causare molta ansia e angoscia. In genere, sono conflitti che non si risolvono facilmente, il che porta chi ne è vittima a una condizione di impotenza in quanto intrappolato nelle sue stesse incongruenze.

Ma i conflitti sono sempre così evidenti? Parliamo di conflitto latente

Non sempre i conflitti si manifestano a livello cosciente e questo avviene quando non si è in grado di identificare chiaramente la fonte della nostra ansia. E’ il caso dei conflitti latenti. Percepiamo il disagio emotivo (paura, ansia, rabbia, ostilità), ma non capiamo le cause.

Alla base del conflitto latente vi sono resistenze emotive. Vogliamo intensamente qualcosa, ma inconsciamente ci rifiutiamo di goderne, provarla o lottare per essa. È una contesa, anche se non siamo pienamente consapevoli del perché ci stiamo contenendo. Di conseguenza, si attiva un disallineamento tra i nostri desideri, bisogni, pensieri e comportamenti.

Esempi  di conflitti latenti

La condizione di conflitto non riconosciuto può comportare sintomatologie anche di natura fisica. Tramite i sintomi, il corpo stesso diventa “campo di battaglia” per le parti in conflitto. Nella “somatizzazione” il sintomo può a volte manifestare in forma simbolica il tipo di conflitto che esprime; ad esempio, l’astenia (sensazione di stanchezza fisica) può simboleggiare il dispendio di energie ad opera di un conflitto che lascia poche forze all’individuo; il vomito può indicare il rifiuto di affrontare una relazione inaccettabile; il prurito o meglio la dermatite può rappresentare una forma di autoaggressività dovuta a sentimenti contrastanti: odio mescolati a sensi di colpa. Possiamo essere vittime di diversi tipi di conflitti latenti, alcuni dei più comuni sono:

1. Conflitto etico

Questo conflitto si innesca quando si evidenziano due o più convinzioni contraddittorie sul comportamento etico. A livello cosciente prevale una credenza ma nel profondo nutriamo una credenza opposta, che di solito abbiamo paura di riconoscere, ma che sta esercitando una forza dall’inconscio che ci destabilizza. Quando, per esempio,  accettiamo un sistema di valori che ci viene imposto dalla famiglia o dalla società (religione, ideologia politica), ma su cui non abbiamo riflettuto e che va contro alcuni dei nostri impulsi, desideri e bisogni.

2. Conflitto dell’immagine di sé

Si innesca quando ci comportiamo in un modo discordante da ciò che pensiamo di essere. Un esempio? Ci piace mantenere un comportamento tranquillo e pacato, ma quando siamo di fronte a una provocazione, reagiamo aggressivamente.

Questo conflitto latente comporta solitamente un problema di accettazione: preferiamo attenerci all’immagine positiva che ci siamo formati di noi stessi e negare le caratteristiche che consideriamo indesiderabili. Questo conflitto porta non pochi problemi, rifacendomi all’esempio precedente: anche se cerchiamo di ignorarla, l’indole aggressiva non sparisce  per magia, continua a pulsare determinando frustrazione, irritazione e condizionando inevitabilmente il nostro comportamento.

3. Conflitto interpersonale

Questo conflitto implica un’ambivalenza interna, emerge sotto forma di risentimento o tensione. I conflitti interpersonali sono piuttosto comuni e coinvolgono la sfera familiare e relazionale: ambienti che ci rendono più vulnerabili e sensibili e di conseguenza generano molta paura e resistenza.

In particolare, si estrinseca quando ci sentiamo costretti a comportarci in un modo che non percepiamo come autentico, solo perché si suppone che sia quello che dobbiamo fare. In contesti lavorativi e familiari, potrebbero esistere delle “norme implicite” a cui sottostare, una sorta di regolamento che abbiamo tacitamente accettato ma che genera in noi un conflitto.

4. Conflitto sentimentale

Anche nelle relazioni si riscontrano spesso conflitti latenti. Molte volte si ricorre al litigio, alle offese e alle provocazioni estenuanti pur provando sentimenti di amore o affetto. Per fare un esempio piuttosto semplice citerò il buon vecchio Freud, il quale ci spiega che “quando un uomo e una donna litigano, è perché tra loro esiste una latente attrazione sessuale, ovvero sono pazzamente innamorati, ma non lo vogliono ammettere”.

Freud,  con questa osservazione ci spiega che due persone (o due gruppi, per estensione), quanto più litigano, paradossalmente tanto più si amano, ed hanno evidentemente bisogno l’uno dell’altra per scoprire profondamente se stessi nella loro individualità più autentica.

Ciò non significa che dietro ogni litigio e ogni forma di provocazione c’è amore. Tale conflitto si manifesta solo in determinate circostanze, quando non si vuole accettare o ammettere il sentimento verso una determinata persona. Un esempio? Negare il sentimento d’amore per un persona che non corrisponde a standard ideologici di “partner ideale” (da un punto di vista sociale, economico, fisico….).

Perché sorgono i conflitti latenti?

Non sempre si è pronti ad elaborare un conflitto, questo perché le nostre risposte interiori sono inadeguate al nostro mondo esterno. Ecco che il conflitto interno viene confermato da un ulteriore conflitto esterno.

L’elaborazione di un conflitto interno andrebbe a minare la nostra identità. L’elaborazione della forza inconscia che causa il conflitto, infatti, si contrappone con l’immagine che abbiamo di noi stessi o del mondo: individuare il conflitto significherebbe mettere in discussione troppe cose e la nostra mente odia le incertezze! Per fugare ogni dubbio, la nostra mente attiva una sorta di meccanismo di difesa atto a mascherare ulteriormente la forza inconscia: crediamo che quel desiderio o istinto ci renderà in qualche modo più vulnerabile e per questo lo concepiamo come qualcosa da evitare a ogni costo.

Di fronte a situazioni che necessitano elaborazione di nuove risposte, noi risultiamo impreparati: cerchiamo di fornire sempre risposte vecchie perché sono quelle che determinano più certezze. Nella situazione di frustrazione è naturale che si sviluppi dentro di noi un conflitto latente, tuttavia l’idea di mettere in dubbio il nostro modo di essere o la percezione che abbiamo del mondo, è troppo difficile da accarezzare.

Come puoi risolvere un conflitto latente

Molti degli impulsi che sperimentiamo come la paura, la rabbia e l’ostilità, vengono culturalmente disapprovati. Sin dalla nascita veniamo integrati nel tessuto sociale con le sue regole morali (cioè impariamo spesso ciò che è giusto e ciò che non lo è), apprendiamo che certi contenuti psicologici sono “pericolosi” o “minacciosi”, così sviluppiamo dei meccanismi che ci consentono di nasconderli. Prima impariamo a nascondiamo agli altri, poi a noi stessi.

Il punto è che nascondere un contenuto psicologico non risolve nulla e a lungo andare genera solo ansia, angoscia e frustrazione. Nella vita quotidiana la fonte di quest’ansia o della frustrazione può essere associata a tanti eventi simbolici: anche risolvendo l’evento, ce ne sarà un altro che genererà il medesimo malessere. A ogni problema risolto, se ne presenterà un altro e un altro ancora… Come risolvere? La chiave sta nel permettere a questi conflitti latenti di accedere alla coscienza al fine di analizzarli razionalmente.

Gestire i conflitti latenti non significa risolverli perché ogni atto comunicativo nasconde un possibile germe di conflitto. Condizione necessaria è interpretare il conflitto come un problema da riconoscere.Dobbiamo capire che i conflitti latenti sono un’opportunità per conoscerci. Dopo tutto, la presenza di un conflitto implica la necessità di affrontare alcune verità. Accettare che il nostro “io” è in continua evoluzione e che uno dei nostri compiti più importanti nella vita è proprio riscoprirci ed evolverci, ci aiuterà ad abbassare le barriere razionali e sviluppare una mentalità più elastica in cui i conflitti latenti non vengono visti come minacce, ma come opportunità d’introspezione e cambiamento.

Quindi, accettando lo schema della cooperazione anziché quello della competizione agguerrita, possiamo elargire a noi stessi la possibilità di accedere alle nostre emozioni più profonde e concederci la facoltà di aprirci ad esse, per poter osservare più da vicino e senza timore quelle parti di noi che non conosciamo, che ci fanno paura, e che soltanto la relazione con l’altro può far emergere in maniera più eclatante. Si tratta di un invito a scrollarci di dosso gli “strati” che col tempo abbiamo costruito così da connetterci con la nostra vera essenza. Il modo ideale per allineare bisogni, desideri, pensieri e comportamento.

Lasciare andare è un atto che richiede coraggio

Un famoso detto napoletano recita: “Acqua ca nun cammina, fa pantano e feta” (acqua che non scorre si intorbidisce e fa cattivo odore). Questo vecchio proverbio rende pienamente il concetto: tutto quello che non lasciamo fluire si sedimenta dentro di noi, lasciandoci con energie “sporche” che ci affaticano.

Certo, non è semplice capire quale sia il tempo migliore per andare oltre. In generale, ogni volta che la memoria ci richiama alla mente attimi dolorosi del passato, e questi influenzano la nostra realtà nel presente, siamo imprigionati in un tempo che non ci rappresenta più. Senza il peso dei pensieri negativi, il dolore, la sofferenza, riusciremo a camminare a passo svelto in questo folle viaggio che è la vita. Lasciare andare non significa arrendersi, al contrario: vuol dire accettare la sfida e imparare a non avere bisogno di niente, se non di quello che ci consente di essere felici.

Trova la parte di te  che non rimugina ma sente, che non pensa ma sa, che non dubita e vive, fiduciosa nel fatto che non ti manca nulla in questo momento né per essere felice, né per affrontare le difficoltà. Se vuoi che da questo momento qualcosa di straordinario entri nella tua vita, crea uno spazio da riempire.. di cose belle, di momenti felici, di persone amorevoli ed esperienze meravigliose. Insomma, riempi di senso la tua vita perché ti porta a dare un immenso valore al presente. Ti porta ad Esserci.

È dentro di te che troverai l’ascolto, la comprensione, l’amore, la considerazione e la stima mancati. È con i tuoi occhi che potrai dire «wow». Non ci sarà nessuno da stupire, le bellezze che ti porti dentro non dovranno essere “scoperte” da nessuno se non da te stesso! Se hai voglia di iniziare questo cammino, ti consiglio la lettura di due manuali di psicologia.

Sono i libri che io stessa avrei voluto leggere ancor prima di laurearmi in psicologia. Manuali perfetti per imparare a conoscersi e guardarsi per ciò che si è e non più per come ti hanno fatto sentire.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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