Sei disordinato? Hai bisogno di ascoltare il tuo caos emotivo

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Sei disordinato? Allora sappi che non accumuli oggetti. Accumuli versioni di te che non hai avuto il coraggio (e la possibilità) di vivere… o lasciare andare. In questo articolo proveremo a esaminare il disordine da un punto di vista inedito, così da fornirti qualche spunto di riflessione. Per alcuni il disordine è una fase passeggera, per altri, invece, è semplicemente una modalità. In effetti nell’essere disordinati non c’è assolutamente nulla di male ma non possiamo negare che vi sono delle controindicazioni: non trovi mai ciò che ti serve, è più difficile occuparsi dell’igiene domestica, le superfici da pulire si moltiplicano! Insomma, il disordine rende difficile organizzarci con le attività quotidiane, e ci rallenta.

Gli spazi disordinati, però, non sono un caso: ci raccontano di vite rimaste in sospeso. Spesso chi vive nel caos si sente colpevolizzato. Viene visto come una persona priva di forza di volontà, pigra, disorganizzata o addirittura immatura. Ma cosa succederebbe se ti dicessi che il disordine non è un difetto, ma la conseguenza dei tuoi vissuti passati? Cosa succederebbe se ti dicessi che quel disordine ha un messaggio per te che puoi  comprendere per… comprenderti?

Non sei disordinato, se un accumulatore di sogni incompiuti

In psicologia, il disordine non è solo una questione pratica, ma una manifestazione narrativa. Un linguaggio. Ogni oggetto che lasci sul tavolo, ogni scatola mai svuotata, ogni vestito che non indossi più ma non riesci a donare, è un frammento di qualcosa che hai vissuto e non sai lasciare andare oppure che, a monte, non hai avuto il coraggio di vivere fino in fondo. Quindi ciò che hai bisogno di considerare non è il problema in sé ma la narrazione che dai di te stesso.

Per fare spazio ed essere ordinato (o addirittura, minimalista!) ti serve solo riscrivere la tua storia in modo più sincero. Il tuo spazio, infatti, è pieno di storie incompiute che hai troppa paura di lasciare andare e/o troppa paura per vivere.

Quel vestito del periodo in cui ti sentivi bene con te stesso, gli abiti che non indossi ma che ti ricordano come potrebbe essere. Quel diario che scrivevi tanti anni fa, quando ancora sognavi “cosa fare da grande”, la macchina fotografica che doveva farti diventare un’artista, l’attrezzatura da camping per quando ti proiettavi a uno status symbol fatto di avventura ed esperienze… E così vai avanti ma non accumuli oggetti. Stai accumulando potenziali inespressiVersioni di te, trame, identità… ma anche bugie, inganni, illusioni. Quelle del: «forse un giorno…», quelle incompiute che tratteniamo a noi solo per proteggerci.

La paura racchiusa in una domanda

Se decidi di fare spazio di ritrovi nel momento esatto in cui dovresti chiederti: questa storia è ancora vera? E abbiamo spesso troppa paura della risposta. Allora i nostri oggetti rimangono lì, in sospeso, come le nostre vite. Ecco perché il disordine è una questione di paura e non di mera organizzazione.

  • Paura di ciò che non è stato
  • Paura dell’inadeguatezza
  • Paura di ciò che non abbiamo mai avuto

Delle possibilità che non ci sono state concesse e delle possibilità che non ci siamo concessi perché nessuno ci ha mai insegnato a credere «abbastanza in noi» e allora, noi, in primis, non ci siamo sentiti abbastanza. È stato così che, le nostre sono rimaste potenzialità inespresse, FINO A ORA.

Gli oggetti che conserviamo sono promesse mancate

Fare ordine ci porterebbe a scendere a patti con ciò che abbiamo realmente vissuto. Ci costringerebbe a rivedere le nostre narrazioni, quelle che affondano le radici nell’infanzia e ci hanno tenuti al riparo da verità troppo dolorose.

Perché ciò che ci ferisce nel passato non è il passato in sé ma la consapevolezza che non siamo stati amati come avremmo avuto bisogno, la certezza che non siamo stati visti, contenuti, incoraggiati. Che nessuno ha davvero creduto in noi e così abbiamo iniziato a coltivare versioni idealizzate di ciò che “avremmo potuto diventare”.

Gli oggetti che conserviamo sono spesso promesse mancate. Strumenti che sembravano dire: “Con questo, ce la farai.” Testimoni silenziosi di una fiducia che avremmo voluto ricevere, ma che siamo stati costretti a cercare, anzi, a “raschiare” da soli, qui e lì, con le unghie e con i denti… mentre tutto ci viene contro.

Ecco perché fare ordine è così difficile. Perché significa guardare in faccia quel dolore, significa accettare che tante possibilità non ci sono mai state davvero concesse, che tante cose non sono andate come speravamo.

Ma proprio in quell’accettazione c’è un paradosso potente: scoprirai di non avere rimpianti, perché finalmente potrai vedere con lucidità e compassione che tutto ciò che doveva essere, è stato. E che ora, a differenza di allora, puoi smettere di trattenere ciò che non ti serve più… Perché è oggi, è con la consapevoelzza, è qui… ti trovi esattamente nel punto in cui tutto è ancora possibile. Solo l’elaborazione e la consapevolezza ti donano questa libertà e adesso puoi concedertele perché non ti serve più sopravvivere. Sei libero!

Un piccolo esercizio

Un esercizio utile può essere quello di dare un nome agli oggetti che conservavi. Chiamare quella scatola di utensili da cucina “l’accudente”, perché magari con quei dolcini volevi accudire e coccolare con il cibo le persone che ami/amavi. Lo scaffale di libri e riviste che non usi, possono essere visti come “il cacciatore di riscatto” perché attraverso quella meta avresti voluto riscatto agli occhi di qualcuno. Ma ripeto: ora sei libero. Se impari a definirti per ciò che sei, non hai alcun bisogno di riscatto.

Affrontare il dolore e… il disordine

Una trappola che si affronta quando ci troviamo a lasciare andare oggetti è quella dell’attaccamento per il passato.  Questa trappola ci fa tenere oggetti che non ci servono più non per affetto o nostalgia, ma per paura di affrontare il vuoto che lascerebbero. Ci convinciamo di conservare per amore del ricordo, ma in realtà stiamo evitando il lutto di ciò che non abbiamo mai avuto.

Ogni oggetto carico di passato è una piccola zavorra emotiva: non conservi solo un oggetto, ma un’illusione. L’illusione dell’amore, del supporto, della vicinanza, della fiducia che forse, in realtà, non abbiamo mai vissuto. E così resti fermo, immobile in un tempo che non esiste più e forse non è mai esistito.

Attenzione, non ti sto dicendo di gettare via oggetti-simbolo, ricordi… ti sto invitando a fare introspezione e qualora dovessi sentirlo, provare a congedare con gentilezza ciò che non ti serve più. Ciò che non definisce te oggi. Ciò che riflette solo ciò che poteva essere e non è stato.  Puoi ringraziare quell’oggetto per averti accompagnato, per il barlume di sicurezza che ti ha dato fin lì e poi lasciarlo andare.

Quando fai introspezione, capisci che il disordine ha tanto a che fare con la paura di guardarti alle spalle e fare un’analisi onesta di ciò che non ti è stato concesso. Un’analisi dolorosa ma anche liberatoria. Perché capire che tutto ciò che poteva essere, è stato.

Fare pace con ciò che è stato

Fare ordine, quello vero, quello che riscrive la tua narrazione, significa fare pace con ciò che è stato. Significa accettare che non siamo stati amati come avremmo voluto, che non ci è stato dato lo spazio, il sostegno, la fiducia per diventare ciò che potevamo.

Significa vedere in faccia le nostre mancanze, non come colpe, ma come realtà. E proprio lì, in quell’accettazione che c’è dolore, un dolore dal quale gli oggetti sparpagliati vogliono proteggerci. Ma noi non abbiamo più bisogno di questa protezione.  Da quel dolore, può arrivare la guarigione più silenziosa:
quella che ti sussurra che non hai davvero rimpianti, perché tutto ciò che doveva essere, è stato.

Non potevi fare di più, non potevi essere di più, non con ciò che avevi, non con ciò che hai davvero vissuto. E ora puoi smettere di conservare tutto ciò che serviva solo a colmare un vuoto.

Ora, però, ti trovi esattamente nel punto in cui tutto è ancora possibile

«Se il ricordo dell’adolescenza può suscitare rimpianti o spensieratezza, quelli dell’infanzia innescano sempre una certa nostalgia. È lì che scorgiamo la possibilità di ciò che per noi oggi rimane incompiuto, è lì che tutto era ancora realizzabile. Ma questa, in realtà, è soltanto un’immensa illusione. Nella nostra infanzia nulla era possibile se non quello che ci è capitato e ci ha portato a essere ciò che siamo oggi: è il bambino a compiere le conquiste ma solo quando i genitori lo consentono. La sensazione di nostalgia che molti di noi sperimentano ripensando all’infanzia non nasce per ciò che abbiamo vissuto ma per ciò che ci è mancato, per tutto quello che poteva essere e non è stato, per ciò che non abbiamo avuto: le conquiste mancate di cui non abbiamo alcuna colpa.

Un bambino non esercita alcun controllo, può solo limitarsi a rispondere agli stimoli manifestati
dall’ambiente di sviluppo. Mentre per un adulto le cose sono molto diverse. È nella vita adulta che tutto
diventa realmente possibile. È quando un individuo diventa padrone di sé che si dischiudono le vere possibilità. Ricorda, ti trovi esattamente nel punto in cui tutto è ancora possibile, ti servono solo fiducia, autonomia e iniziativa. Ti serve autoaccudimento. E se sono carenti, sappi che puoi cominciare a conquistarle in ogni momento. Ti prenderò per mano e ti condurrò, passo passo, a queste conquiste nei capitoli che verrano» – Tratto dal mio libro bestseller «il mondo con i tuoi occhi», disponibile a questa pagina amazon e in tutte le librerie.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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