“Sei sempre distratto!” – Gli stati mentali dissociativi

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor
Illustrazione: Radhika

«Sei sempre con la testa tra le nuvole!» oppure «…hei! Ma ascolti quello che dico, ci sei?» o ancora «ma come fai a non ricordarlo, ne abbiamo parlato questa mattina?!». Queste sono le tipiche frasi che, chi attraversa stati mentali dissociativi può aver sentito spesso. Certo, c’è anche chi è semplicemente distratto, infatti è importante non cadere nell’equivoco, i meccanismi dissociativi psicopatologici non hanno nulla a che fare con la classica distrazione o una fisiologica e momentanea dissociazione legata a meccanismi automatici ormai impressi nella nostra mente.

Chi è distratto, può, per esempio, mettersi al volante e dimenticare di svoltare all’uscita dell’autostrada predeterminata, oppure guidare con il “pilota automatico” e ritrovarsi a casa senza sapere bene come.

In questo caso si tratta di un tipo di dissociazione “non patologica”, molto diversa  dai fenomeni dissociativi implicati nella psicopatologia. Nel caso dei processi intrinsecamente esclusi dalla percezione cosciente si ha semplicemente a che fare con il normale processamento delle informazioni da parte della mente umana, che funziona attraverso moduli esecutivi automatici e virtualmente indipendenti (per capirci, è proprio come guidare percorrendo una strada che la nostra mente già conosce e quindi nel fare quella determinata operazione, cadiamo in automatismi e ci distacchiamo mentalmente dal contesto reale del presente, la nostra mente va altrove).

Per lo stesso principio, può succederci di chiudere la porta di casa e andare via ma, in secondo momento, potrebbe sorgere il dubbio di aver compiuto o meno quel gesto. Anche in questo caso si tratta di una dissociazione non patologica ma indotta da automatismi. E’ chiaro che il termine “dissociazione” è, in sé, molto generico e può riferirsi a:

  • incapacità di concentrazione
  • “sognare a occhi aperti”
  • avere dubbi sull’aver svolto o meno una determinata azione
  • avere una percezione diversa della realtà indotta da uno stato mentale alterato

Sono diversi i fattori che possono dirti se si tratta di una dissociazione patologica o meno.

Cosa significa dissociazione e quali sono le cause?

Nell’accezione più ampia, il termine dissociazione «significa semplicemente che due o più processi o contenuti mentali sono non associati o non integrati. Solitamente si assume che questi elementi dissociati dovrebbero essere integrati nella consapevolezza cosciente, nella memoria e nell’identità» (Cardeña, 1994).

La dissociazione può essere descritta come una continua o momentanea esclusione della consapevolezza, come un’alterazione dello stato di coscienza, dove l’individuo o alcuni suoi aspetti diventano disconnessi o disinnestati l’uno dall’altro.

Nel DSM-IV, la dissociazione è descritta come: «Alterazione marcata delle funzioni usualmente integrate della coscienza, memoria, identità o percezione dell’ambiente. L’alterazione può essere improvvisa o graduale, transitoria o cronica» (American Psychiatric Association). Ci sono diverse teorie, tutte molto valide, sul perché s’innesca uno stato mentale dissociativo. La dissociazione può essere prodotta da emozioni percepite come fortemente disturbanti, può essere la conseguenza di un disturbo post traumatico da stress, da episodi traumatici, da singoli episodi o abusi subiti e ripetuti nel tempo.

In pratica, chi sperimenta stati mentali dissociativi patologici manca della capacità di modulare determinate emozioni e quindi, in questo contesto, la dissociazione è intesa come strategia di difesa per sottrarsi al dover vivere determinate emozioni considerate intollerabili. Qualora non si dovesse risalire a una causa determinata nel vissuto disadattivo del paziente, tra le spiegazioni più generiche vi è l’intolleranza allo stress oppure, una più generica alterazione biochimiche patologica.

Gli stati mentali dissociativi

Nell’accezione più psicopatologica del termine, la dissociazione può essere associata ad alterazioni tali da causare, in chi soffre di disturbo dissociativo dell’identità, un netto distacco dal sé e/o dalla realtà, fino a percepire la realtà del tutto distante o anche diversa da ciò che è, fino a mancare della capacità di riconoscere l’immagine di se stesso proiettata allo specchio.

Come accade? Già ho accennato alle cause nel paragrafo precedente, ma volendo semplificare il tutto, posso dire che quando si verifica un evento stressante o traumatico, la nostra mente si sovraccarica e, nell’impossibilità di elaborare l’accaduto, mette in atto strategie disfunzionali al fine di proteggersi. Una delle risposte possibili è proprio la dissociazione, cioè, la nostra mente si divide e ci riserva uno spazio dove poterci ritirare al riparo da qualsiasi stimolo esterno. Ciò significa che la nostra mente vuole proteggerci dall’essere sopraffatta.

Quando sentiamo un pericolo (reale o solo percepito), oppure quando incombe uno stress, nei soggetti più tolleranti insorge uno stato ansioso, mentre in chi soffre di dissociazione, la mente va a caccia di quello spazio sicuro dividendosi e separandosi dalla realtà. In questo modo evita di viversi l’ansia o qualsiasi emozione che causa un sovraccarico.

In casi limite, la dissociazione può essere talmente cronica da innescarsi anche in caso di noia, rabbia, ansia o semplicemente a seguito dello stimolo della fame! Qualsiasi stimolo è vissuto come minaccioso e intollerabile perché manca un’identità ben strutturata in grado di far fronte a qualsiasi impulso interno o esterno.

Insomma, gli stati mentali dissociativi funzionano come un rifugio che la nostra mente può usare disconnettendosi dal resto del mondo e talvolta anche da se stessi. Il risultato non è sempre piacevole (dipende dalle esperienze soggettive e da quanto è cronicizzato il fenomeno dissociativo) ma sempre, quando è patologico, ha conseguenze tangibili sulla vita quotidiana di chi soffre di questo disturbo.

E’ importante specificare che è difficile, se non impossibile, esplorare se stessi e il mondo quando parti della propria identità vengono tagliate fuori (dissociate). E’ altrettanto impossibile esprimere a pieno il proprio potenziale e dare il meglio di sé se, a priori, ci stiamo precludendo qualcosa.

Il caso clinico di Maria che ci racconta la sua storia:

Già da bambina gli insegnanti lo dicevano a mia madre “sua figlia vive in un mondo tutto suo, non è presente“. Maria aveva subito abusi emotivi proprio dai suoi genitori ed è lì che è iniziata la sua fuga dalla realtà, è lì che la sua mente ha iniziato a dissociarsi per l’incapacità di una bambina di poter elaborare eventi così dolorosi. Solo da adulta, poi, Maria si è resa conto che la sua memoria aveva forti lacune.

“Mia sorella mi riferiva di conversazioni che non sapevo proprio di aver avuto. Quando i miei amici mi raccontavano di serate passate insieme, io stentavo a credere di esserci stata! Non ricordavo la trama di un determinato film, ne di aver bucato la gomma con il mio amico Luigi, durante la nostra vacanza a Firenze, c’erano interi pezzi della mia vita mancanti e non sapevo spiegarmi il perché. 

Non c’era solo questo, a volte mi sentivo totalmente estranea anche nel contesto più familiare. Non riuscivo a riconoscere la mia immagine proiettata allo specchio e a volte percepivo come un estraneo anche il mio fidanzato!”

Questo appena esposto è un caso limite che si è risolto dopo un inteso lavoro psicoterapeutico.

Come uscirne?

Trattare gli stati mentali dissociativi in psicoterapia o addirittura dover fronteggiare un disturbo dissociativo di personalità, non è affatto compito semplice, sia per il paziente che vive il problema sia per il professionista. Con la terapia, ma soprattutto con una buona alleanza terapeutica (alleanza tra paziente e psicoterapeuta/psicoanalista) è possibile sviluppare un senso graduale di continuità con un paziente sempre più presente e integrato.

Dove prima c’era l’esperienza della fuga da se stessi e dalla realtà (con l’innesco dei meccanismi dissociativi), dopo un buon lavoro psicoterapeutico potrebbero esserci concentrazione e connessione con se stesso e con gli altri; il lavoro psicoterapeutico verte sul creare ponti stabili e sicuri tra le parti dissociate e quindi creare una nuova unione per integrare le varie parti del sé frammentato in caso di disturbo dissociativo di personalità. Quando la dissociazione è indotta da un trauma o da esperienze di abusi, spesso “basta” elaborare il trauma per eliminare i sintomi correlati, un lavoro che -a mio parere- le psicoterapie con approccio psicodinamico possono gestire egregiamente.

Autore: Anna De Simone, life & mental coach
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