Sentirsi di non valere: 6 cose da ricordare per tornare a credere in te stesso

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono momenti in cui anche la persona più forte vacilla. In cui il rumore del mondo si fa più forte del nostro battito, in cui la voce interiore si confonde con quella delle vecchie ferite. A volte basta una parola sbagliata, una delusione, uno sguardo mancato… e dentro si apre un vuoto. In quel vuoto, spesso, prende forma un pensiero sordo e corrosivo: “Forse non valgo abbastanza.”

È un pensiero che non si dice ad alta voce

Resta lì, sottopelle, ma orienta gesti, decisioni, relazioni. È il pensiero che ci fa accontentare, che ci spinge a chiedere poco, a pretendere meno, a perdonarci ancora meno. Ed è anche il pensiero che ci isola, perché il sentirsi “non abbastanza” genera distanza, chiusura, silenzio.

Ma da dove nasce davvero questa sensazione? È qualcosa che ci appartiene per natura? O è qualcosa che abbiamo imparato a credere? Per rispondere, dobbiamo immergerci nella nostra storia, esplorare i legami affettivi più antichi, e osservare i meccanismi inconsci che regolano la nostra autostima.

La psicoanalisi ci insegna che l’identità si costruisce attraverso lo sguardo dell’altro. E che se quello sguardo è stato assente, incoerente, svalutante, il senso di valore personale si incrina. Ma possiamo ricostruirlo. Non con frasi motivazionali, ma con consapevolezza profonda. Con pazienza, con delicatezza. E con verità.

Ecco allora 6 cose da ricordare quando ti senti di non valere. Non sono slogan, ma chiavi psicologiche profonde per iniziare a riscrivere il rapporto che hai con te stesso.

1. La tua autostima non nasce da te: è il risultato di uno sguardo appreso

Secondo la teoria psicoanalitica, la percezione di sé si costruisce attraverso un meccanismo chiamato rispecchiamento: il bambino percepisce chi è attraverso il modo in cui viene visto, accolto, nominato. Se l’ambiente affettivo è invalidante o disattento, il bambino non impara a sentirsi “degno di amore”, ma “amabile solo a certe condizioni”.

Questo è l’inizio di ciò che chiamo amore condizionato interiorizzato: una forma di amore per sé stessi che dipende sempre da qualcosa – dai risultati, dal comportamento, dal giudizio degli altri. Non ci si sente mai “abbastanza” semplicemente per esistere.

Sul piano neurologico, le esperienze precoci di accudimento modulano lo sviluppo del sistema limbico e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, legati alla regolazione dello stress. Un attaccamento insicuro porta a una iperattivazione dell’amigdala, cioè a una maggiore reattività emotiva ai segnali di rifiuto o disconferma.

Cosa ricordare: Se ti senti spesso “non all’altezza”, probabilmente stai guardando te stesso con gli occhi di chi non ti ha mai davvero visto.

2. Non sei tu ad avere un vuoto: ti è stato trasmesso

Molte persone vivono con la sensazione di avere dentro un vuoto difficile da spiegare. Un senso di mancanza, come se ci fosse qualcosa di sbagliato o incompleto. Questo vuoto è, spesso, il risultato di una carenza affettiva primaria. In termini psicoanalitici, è ciò che Winnicott definiva deprivazione ambientale precoce.

Il bambino che non viene contenuto emotivamente sperimenta un vuoto non simbolizzabile, che in età adulta può trasformarsi in fame d’amore, dipendenze relazionali, autosvalutazione cronica. Si cerca di colmare il vuoto attraverso relazioni sbagliate, perfezionismo, compiacenza o ritiro.

Neuroscienze e psicoanalisi convergono su un punto essenziale: il senso di sé si sviluppa in un contesto relazionale. E se il vuoto viene negato, represso o medicalizzato, invece che accolto, continuerà a dettare la nostra narrazione interna.

Cosa ricordare: Quel vuoto non è una colpa né un difetto: è una ferita, e può essere curata con relazioni che nutrono davvero.

3. Non è vero che ti mancano le risorse: ti mancano le autorizzazioni interiori

Molti adulti che si sentono “non abbastanza” non mancano di talento, sensibilità o intelligenza. Ma si auto-limitano. Come se dentro ci fosse una voce che dice: “Non dovresti osare”, “Non meriti di stare bene davvero”, “Attento a non far soffrire gli altri con la tua felicità.”

Queste voci sono ciò che in analisi transazionale si chiamano messaggi genitoriali interiorizzati. Sono come comandi silenziosi, imparati nell’infanzia e mai più messi in discussione. Possono essere frasi dette esplicitamente (“Non montarti la testa”, “Non fare il passo più lungo della gamba”) oppure vissuti impliciti, trasmessi attraverso colpa e vergogna.

Le neuroscienze ci mostrano che questi schemi diventano vere e proprie tracce sinaptiche, percorsi neurali preferenziali che si attivano automaticamente in presenza di stimoli simili al passato.

Cosa ricordare: Spesso non sei tu a sabotarti. È una parte antica che ha bisogno di sentirsi libera di essere e di ricevere.

4. L’autosvalutazione è una difesa, non una verità

Quando una persona si svaluta, inconsciamente sta tentando di prevenire un dolore maggiore. È un meccanismo di difesa chiamato identificazione con l’aggressore: per proteggersi dalla sofferenza del rifiuto o dell’umiliazione, si anticipa la ferita svalutandosi da soli.

Questo meccanismo ha una logica antica: meglio colpevolizzarsi che sentirsi impotenti. Svalutarsi dà un senso (illusorio) di controllo: “Se non valgo, allora capisco perché gli altri mi trattano così. È colpa mia.” Questo protegge da emozioni più dolorose come l’abbandono, la rabbia repressa o il bisogno inascoltato.

Ma vivere identificati con chi ci ha feriti è come portare avanti la loro opera. E questo è il momento in cui serve scegliere: voglio continuare a crederci? O voglio iniziare a disobbedire?

Cosa ricordare: La tua svalutazione non è obiettività. È un’abitudine emotiva, e puoi imparare a smascherarla.

5. Chi ti ha fatto sentire “di troppo” era emotivamente immaturo

Una delle convinzioni più dolorose che ci portiamo dietro è questa: “Se non mi hanno amato come desideravo, è perché c’era qualcosa di sbagliato in me.”

Ma la realtà è un’altra: spesso, chi ci ha feriti non era capace di amare in modo maturo. Genitori anaffettivi, partner svalutanti, figure educative rigide… ognuno ha amato come ha potuto, in base ai propri limiti e alle proprie ferite non elaborate.

Da adulti possiamo iniziare a separare ciò che ci è stato dato da ciò che meritavamo. Possiamo finalmente smettere di misurare il nostro valore sulla base della loro incapacità di amarci.

Cosa ricordare: Se ti hanno fatto sentire sbagliato, è perché non sapevano come accogliere la tua verità. Non perché la tua verità fosse sbagliata.

6. Il tuo valore non si conquista: si riscopre

Viviamo in una cultura che ci insegna a “meritarci” tutto: amore, rispetto, cura. Ma il valore personale non è qualcosa da ottenere. È qualcosa da riconoscere. E soprattutto: da smettere di negare.

Il lavoro psicologico più profondo non è “diventare qualcuno”, ma disimparare l’idea di non essere abbastanza. È tornare a casa dentro di sé. È imparare ad abitare la propria voce anche quando trema. È offrirsi uno sguardo nuovo, finalmente libero dalle vecchie lenti.

La neuroplasticità ci insegna che il cervello è in grado di modificare i suoi circuiti anche in età adulta. Più pratichi uno sguardo amorevole verso te stesso, più rafforzi le reti neurali legate alla fiducia, alla calma e alla connessione.

Cosa ricordare: Non devi diventare perfetto per sentirti degno. Devi solo iniziare a smettere di negarti.

Sei più della tua ferita

Se ti capita spesso di pensare di non valere, di sentirti “fuori posto” o inadeguato, voglio dirti una cosa con tutto il cuore: non sei solo. E soprattutto: non sei sbagliato.

Molti di noi hanno imparato a nascondere la loro luce per adattarsi, per essere amati, per non deludere. Ma il vero cambiamento inizia quando smettiamo di voler essere accettati da chi non sa vederci, e iniziamo a riscoprirci attraverso occhi nuovi.

Ogni ferita che hai subito ha una sua eco, ma non deve essere la tua identità. Dentro di te esiste ancora quella parte che è rimasta viva, che ha continuato a sperare, a cercare, a sentire. Quella parte è la tua verità più autentica. E da lì puoi ricominciare.

Nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi”, ho voluto raccontare proprio questo: un viaggio emotivo per imparare a guardarsi con uno sguardo che non giudica, che non condanna, ma accoglie e ricostruisce. Perché guarire non significa cancellare il dolore, ma trasformarlo in un terreno fertile. Per vivere una vita che finalmente ti assomigli.

E se oggi senti di non valere, sappi che è solo una voce, non una verità. La verità è che sei qui, stai cercando, stai leggendo. E questo è già il primo segno che dentro di te esiste qualcosa che non ha mai smesso di credere. Per immergerti nella lettura e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon oppure in qualsiasi libreria

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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